Adozioni in KirghizistanAdozioni, la grande truffa: “15mila euro per un bambino che non potevamo adottare”

Tra Italia e Kirghizistan un’organizzazione avrebbe truffato gli aspiranti genitori italiani. Il 2 febbraio si tiene a Savona l’udienza preliminare. Quattro persone, tra cui la presidente dell’ente Airone e i suoi referenti kirghisi, sono accusati di truffa

Hanno speso decine di migliaia di euro a testa. Hanno aspettato a lungo i propri figli adottivi, dopo averli incontrati, senza mai poterli portare più a casa. Per poi scoprire che quei bambini, in realtà, non erano adottabili. Avevano madri, padri e zii, o erano stati già adottati da altre famiglie. Ora venti coppie italiane si presentano in tribunale come le vittime di quella che potrebbe essere una delle peggiori truffe sulle adozioni in Italia. Il 2 febbraio si tiene a Savona l’udienza preliminare del processo, che coinvolge l’ente adottivo Airone Onlus di Albenga, accusato di aver truffato gli aspiranti genitori con la promessa di adottare 21 bambini dal Kirghizistan. Un gruppo criminale internazionale, si legge nelle capo d’imputazione, ha prodotto documenti falsi sulle sentenze di adozione, continuando a rassicurare i genitori in attesa e a chiedere loro ripetuti versamenti di denaro tramite Western Union. I bambini sarebbero stati usati come «merce di scambio», approfittando di persone che «erano animate da uno spiccato desiderio di crearsi una famiglia».

Dopo le denunce delle famiglie, a processo sono finiti Silvia La Scala, presidente di Airone, la vicepresidente Orietta Maini, poi deceduta, la collaboratrice e traduttrice Inna Troukhan, oltre ai referenti kirghisi Alexander Angelidi e Venera Zakirova. La procura di Savona contesta l’associazione per delinquere finalizzata alla truffa, con l’aggravante della minorata difesa. Ossia dell’aver approfittato della vulnerabilità delle coppie in attesa delle adozioni, «propense a versare notevoli somme di denaro e talora forse poco avvedute nel ricevere le confuse e false informazioni».

Un bambino vale l’altro

Le due responsabili di Airone avevano proposto a decine di coppie l’adozione in Kirghizistan, «indicandolo come Paese nel quale era più facile e veloce portare a termine procedure di adozioni di minorenni», si legge nelle carte. Così in tanti hanno accettato, producendo i documenti richiesti, e inviando denaro in più tranche fino a raggiungere somme che superano anche i 12mila euro.

Dopo il primo viaggio delle cosiddette “coppie pilota” nel maggio 2012, l’ente comunica alle altre famiglie che la procedura di adozione si è svolta correttamente e che si può proseguire. Nella lista delle coppie in attesa ci sono anche Fabio Selini e la moglie Gessica, che tramite Airone avevano già adottato una bambina russa. «Avevamo fiducia nell’ente», dice Fabio Selini, che da anni racconta la sua storia per evitare che sul caso cali il silenzio. È il 2011 quando danno il mandato all’ente. Da Airone, scrivono i magistrati, continuano a rassicurare la coppia sul buon esito dell’operazione, li informano del deposito della documentazione, pur non avendo in realtà ottenuto ancora l’accredito dal Kirghizistan e nonostante fossero a conoscenza del pericolo del blocco delle adozioni da parte del Paese.

Dopo poco arriva anche anche l’abbinamento tra la coppia e un bambino di nome Michail. In apparenza sembra andare tutto liscio. Fabio e la moglie preparano il viaggio a Bishkek, capitale del Kirghizistan. Ma a questo punto si presentano i primi intoppi. A una settimana dalla partenza, il viaggio viene rimandato per apparenti motivi burocratici. E dopo quasi un anno dall’ente arriva la notizia che Michail non è più adottabile «perché era comparso lo zio del piccolo».

Da Airone propongono così la sostituzione con un altro bambino di tre anni di nome Vladimir. A giugno 2012 finalmente Fabio, Gessica e la loro figlia volano in Kirghizistan per conoscere Vladimir e qui vengono presi in carico dai referenti locali di Airone, Angelidi e Zachirova. «Abbiamo trascorso otto giorni con Vladimir», racconta Selini. «Siamo usciti dall’istituto, siamo andati al luna park, al parco, abbiamo fatto il bagnetto, il sonnellino, mangiato insieme, mia figlia ha giocato con suo fratello. Insomma, siamo stati una famiglia». Ma dopo questi otto giorni, di Vladimir non avranno più notizia. «Gli abbiamo detto “torniamo presto”, ma non abbiamo mantenuto la promessa».

In quei giorni, i due referenti di Airone in Kirghizistan hanno anche accompagnato la coppia a un’udienza per l’adozione davanti a giudici che poi si sarebbero rivelati falsi (si parla di “uffici apparentemente pubblici”), svolgendo poi un’altra udienza addirittura in albergo. E quando venivano sollevati dei dubbi sulle procedure, arrivavano puntuali le rassicurazioni.

Alla fine, dopo il rientro in Italia, da Airone spediscono la comunicazione che la sentenza di adozione è passata in giudicato. Tutto falso. Vladimir in realtà non risultava adottabile perché aveva vincoli parentali. Così come le due gemelle abbinate a una coppia romana. E la maggior parte dei bambini associati alle altre coppie italiane. Una di loro, quando viene presentata in orfanotrofio agli aspiranti genitori italiani, in realtà risultava già adottata da una coppia americana.

«Abbiamo trascorso otto giorni con Vladimir», racconta Selini. «Siamo usciti dall’istituto, siamo andati al luna park, al parco, abbiamo fatto il bagnetto, il sonnellino, mangiato insieme, mia figlia ha giocato con suo fratello. Insomma, siamo stati una famiglia». Ma dopo questi otto giorni, di Vladimir non avranno più notizia

Famiglie raggirate

A luglio 2012 le cose precipitano. Il ministro dello Sviluppo sociale kirghiso e la sua assistente vengono arrestati con l’accusa di aver tentato di estorcere denaro a un’agenzia che si occupava di adozioni internazionali. I rappresentanti di Airone contattano le coppie volate in Kirghizistan, rassicurandole sulla buona condotta di Angelidi, ma consigliano loro di restare in albergo per motivi di sicurezza. Il referente kirghiso dice addirittura alle coppie italiane che non devono uscire perché sono inseguite dalla polizia. Poco dopo finisce in manette anche la referente di Airone Zakhirova, mentre Angelidi riesce a fuggire, risultando irreperibile ai magistrati italiani. Anche se, secondo fonti di Airone, sarebbe morto.

A questo punto le famiglie non sono più tranquille e si rivolgono alla Commissione per le adozioni internazionali italiana (Cai), che già a marzo aveva avviato un’inchiesta formale sull’operato di Airone (notizia però non comunicata alle famiglie). Dopo la diffusione di notizie sui doppi abbinamenti di singoli bambini in Kirghizistan, la Cai aveva chiesto ad Airone di effettuare verifiche e controlli sul posto, che però non si sarebbero mai svolti. Finché la Primogenita International Adoption, altro ente con mandato in Kirghizistan, segnala sul proprio sito web le condotte illecite del referente comune Alexander Angelidi, accusandolo di aver chiesto tangenti per “oliare” le procedure di accreditamento.

Dall’ente di Albenga però sostengono che si tratta di calunnie costruite perché solo Airone aveva ricevuto l’accredito in Kirghizistan, intimando alle famiglie «di non diffondere false informazioni pena la dismissione dell’incarico ricevuto». E nonostante altri due enti (Bambarco e Primogenita) avessero abbandonato poi la possibilità di portare a termine le adozioni in Kirghizistan, Airone va avanti. Le coppie continuano a volare a Bishkek per completare le pratiche, versando soldi al mediatore Angelidi, e incontrando negli orfanotrofi bambini che non potevano in realtà essere adottati.

E quando i bambini abbinati non erano più “disponibili”, i referenti di Airone proponevano subito «la scelta di un altro bambino fra quelli mostrati in orfanotrofio, come se i piccoli fossero merce di scambio», si legge nel capo di imputazione. Quando ad esempio scoprono che uno dei bambini abbinati era gravemente malato, dall’ente propongono subito di sostituirlo con un altro. Arrivando anche a proporre «di ricorrere all’utero in affitto per le coppie che erano prive di un bambino da adottare».

Dal 2012, la Commissione per le adozioni internazionali ha svolto accertamenti sull’operato di Airone tramite l’ambasciatore italiano in Kazakistan, Alberto Pieri, visto che in Kirghizistan non esiste un’ambasciata italiana. Pieri ha appurato la falsità di alcuni documenti forniti alle famiglie italiane, oltre al fatto che Airone non aveva depositato nessuna pratica nei tribunali kirghisi. E ha pure incontrato i vertici del governo, chiedendo informazioni sulla eventuale adottabilità dei bambini. È venuto fuori che alcuni dei minori abbinati alle coppie italiane erano stati portati in istituto dai genitori solo temporaneamente, altri erano già stati adottati da coppie kirghise, canadesi e statunitensi. Nel marzo del 2013 la Cai ha così revocato l’autorizzazione ad Airone – che per un certo periodo a continuato però ad assumere nuovi incarichi – chiudendo poi il canale di adozioni dal Kirghizistan (che da agosto 2016 ha aderito anche alla convenzione dell’Aja sulle adozioni internazionali). E dei bambini, che le famiglie italiane avevano incontrato, immaginandoli già come propri figli, non se ne è saputo più niente.

Quando i bambini abbinati non erano più “disponibili”, i referenti di Airone proponevano subito «la scelta di un altro bambino fra quelli mostrati in orfanotrofio, come se i piccoli fossero merce di scambio»

Un sistema che non funziona

«Ci siamo affidati a un ente autorizzato dalla Cai», commenta Selini. «Qualcosa nella catena di controllo e di tutela delle famiglie non ha funzionato. Siamo finiti in mano a presunti truffatori. È chiaro che il postulato della sussidiarietà è fallito». I referenti locali e la traduttrice di Airone non corrispondevano nemmeno ai nomi indicati alla Cai.

Fabio e Gessica hanno speso circa 15mila euro di spese vive per una adozione che non è mai avvenuta. Ci sono coppie hanno sottoscritto mutui per avviare le procedure in Kirghizistan. E ora chiedono che le venti famiglie e i 21 bambini coinvolti nella presunta truffa in Kirghizistan vengano riconosciuti come vittime. «Nessuno ci ha mai chiesto scusa per quello che abbiamo subito. La parte economica è un granello rispetto alla montagna di dolore che abbiamo attraversato. Per noi è stato come elaborare un lutto. L’altra mia figlia adottiva mi ha chiesto da poco: “Se quella adozione era farlocca, lo era anche la mia?”».

E dei bambini alla mercè dei presunti trafficanti cosa ne è stato? «Non abbiamo più avuto notizie», risponde Selini. «Abbiamo chiesto più volte alle autorità italiane. Ma non è una domanda che si sono poste. Basterebbe un passaggio istituzionale bilaterale, non vogliamo entrare nella vita di questi bambini. Ma ci fate sapere almeno se stanno bene?». La risposta è che i bambini non sono cittadini italiani e l’Italia non può chiedere informazioni su di loro. Selini – che due anni fa ha adottato poi un altro bambino dal Brasile «perché crediamo nell’adozione» – ha scritto a Maria Elena Boschi, nominata a maggio 2016 alla presidenza della Cai, e anche al Garante per l’Infanzia. Ma al momento quello che si sa è che, accanto alle famiglie vittime, in tribunale non siederà nessun rappresentante delle istituzioni italiane.

X