Non è colpa di Internet, la “filter bubble” ce l’abbiamo nella testa

Accusata di essere una delle dinamiche più pericolose generate da Internet, la "Bolla" di confort zone intellettuale dove ci avrebbero rinchiusi Google e Facebook a ben vedere esiste anche nel mondo reale, dove malgrado le tecnologie siamo sempre più chiusi

Ormai è passato un bel po’ dalla prima volta che abbiamo sentito parlare della cosiddetta Filter Bubble, una roba che in italiano suona come Bolla di filtraggio e che, anche se potrebbe ricordare più l’idraulica o la carpenteria, è una dinamica cognitiva di cui diamo la responsabilità a internet, che ci riguarda tutti e che intacca la nostra percezione della realtà. Eppure è stato intorno al novembre del 2016, quando la quasi totalità del mondo dell’informazione mondiale venne tramortito dalla notizia, totalmente inattesa, della vittoria di Trump e tutti iniziarono a dare la colpa a lei, alla Bolla.

Se non ti aspettavi che vincesse Trump vuol dire che vivi in una bolla, si inizia a dire. MA una bolla de che? Una bolla di contatti, chiaro. I tuoi contatti, quelli che leggi online sulla bacheca di Facebook, quelli che trovi facendo ricerche libere su Google, quella che segui quando scegli i profili di cui diventare follower su Twitter. Nata con quel “filter” davanti a significare proprio filtraggio e ad intendersi legata a doppio filo a Google, dopo un po’ abbiamo deciso che questa dinamica era il risultato dell’eccessiva algoritmizzazione dei social network e che era da annoverare tra i fattori agevolanti di fenomeni catastrofici per il pensieor umano come la diffusione dell’antivaccinismo e dei più svariati complottismi.

La Bolla, quindi, una specie di confort zone digitale che, questo è quello che di cui ci siamo convinti, attorniando ognuno di noi ha trasformato internet da un luogo potenzialmente libero e da una fonte continua di stimoli a una prigione angusta, priva di spifferi e di ricambio d’aria e di idee, dove ci troviamo continuamente a confrontarci con noi stessi e la nostra ombra, un posto intellettualmente morto: le ricerche personalizzate di Google si frappongono tra te e l’inesauribile varietà del mondo selezionando i risultati da mostrarti in base a quello che già hai dimostrato di amare? Sì, in parte sì. La tua bacheca di Facebook è quasi totalmente composta da amici o conoscenti di cui condividi le posizioni e le attitudini politiche, economiche e sociali? Può darsi.

Ma concentrandoci così tanto su un punto solo abbiamo perso di vista tutto il resto e ora il nostro punto di vista è a rischio astigmatismo. Se è vero che online ci crogioliamo spesso in bolle di realtà totalmente isolate dal resto del mondo e possiamo, proprio per questo, avere poca propensione ad azzeccare i risultati delle elezioni o a sentire la temperatura del paese reale, pensare che però questa nostra mezza cecità astigmatica sia causata solo e soltanto da internet è un errore che dovremmo smettere di compiere.

«Parliamo sempre con i nostri amici», scrive in uno degli ultimi articoli dedicati al tema Luca Tremolada, sul Sole24Ore, e aggiunge «prevalentemente di certi argomenti e con una certa sensibilità». Tutto vero, ma come ha giustamente sottolineato un collega e amico, commentando su Facebook, «invece fuori da Facebook parliamo spesso con i nostri nemici, affrontando qualsivoglia argomento, dalla filologia romanza alla politica estera del Nicaragua, e con sensibilità variabile». Ma per favore, fuori da internet vediamo sempre la stessa gente, parliamo sempre delle stesse cose e, se ci capita di incontrare qualcuno che la pensa diversamente da noi evitiamo accuratamente e pavidamente di parlarci.

Insomma, ancora una volta Internet è innocente, almeno in questo nostro presunto ghettizarci tra consaguinei e tra omopensieridi. E il vero problema è un altro: la bolla ce l’abbiamo dentro e da un certo punto di vista è sicuramente il normale funzionamento del nostro cervello, che ha bisogno di similitudini e che cerca somiglianze e pattern anche tra persone per stabilire legami, da un altro è preoccupante che questa chiusura aumenti in maniera direttamente proporzionale al nostro orizzonte mentale che, anche grazie alla tecnologia, in teoria si sta allargando.

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