Dimentichiamo il lavoro così come lo conosciamo: entro il 2030, per alcuni impieghi, non sarà più necessario né il contratto, né l’orario di lavoro. Mentre chi sta per varcare la soglia di Palazzo Chigi propone la reintroduzione dell’articolo 18 e il reddito di cittadinanza, il libro bianco “Il futuro del lavoro”, realizzato da Assolombarda in collaborazione con Adapt, va in un’altra direzione e mette in discussione due pilastri del mercato del lavoro. «Stiamo vivendo una fase di passaggio dai contratti alle competenze», spiega Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda. «E anche il concetto di ora-lavoro per misurare il valore della prestazione potrebbe non essere più valido».
Il libro, di poco più di 70 pagine, guarda a come sarà il mercato del lavoro entro i prossimi 12 anni, avanzando proposte concrete rivolte al governo futuro e ai sindacati. «L’impressione, in un momento come questo in cui il Paese è fermo, è che si continui a parlare di futuro guardando sempre al presente», dice Bonomi. «Siamo ancorati a una logica di breve termine in cui il dibattito si concentra ancora sulla tipologia di contratto. Occorre invece una transizione che tenga in maggior conto le competenze del lavoratore».
Lo stesso incremento dei contratti a tempo determinato, secondo Assolombarda, può essere visto come sintomo di un mercato del lavoro che cambia. «Non significa che il contratto a tempo indeterminato sia destinato a estinguersi, né che vada agevolata la precarietà, ma ci sono forme di lavoro che privilegiano le prestazioni, non la durata», spiega Bonomi. Persino i sistemi di inquadramento previsti oggi sono destinati a non essere più validi: «La crescente automazione, la possibilità di cambiare mansione o arricchirla, permettono di svolgere più compiti in modo autonomo, che mal si inseriscono negli inquadramenti attuali».
Da qui al 2030, anche il totem dell’ora-lavoro per misurare il valore della prestazione potrebbe sparire. «I luoghi e i tempi di lavoro non sono più gli stessi: lo sviluppo del lavoro agile e la tecnologia hanno dato spazi di autonomia e responsabilità ai lavoratori, senza garantire la presenza fisica», spiega Francesco Seghezzi, direttore della Fondazione Adapt. «L’orario di lavoro, così com’è concepito oggi, appare più una gabbia che un’opportunità». Lo ribadisce anche Bonomi: «La capacità di produrre valore aggiunto per l’impresa potrebbe essere superiore rispetto all’ora-lavoro e meritare anche una retribuzione superiore». La produttività non si misura più a ore, ma in base alle prestazioni offerte. Questo, precisa il presidente di Assolombarda, «vale per le mansioni alte, non per quelle basse».
Stiamo vivendo una fase di passaggio dai contratti alle competenze. E anche il concetto di ora-lavoro per misurare il valore della prestazione potrebbe non essere più valido
Il posto fisso, ormai, l’abbiamo già messo da parte da tempo. Il mondo del lavoro che ci attende, si spiega nel libro, si fonda sempre più su carriere discontinue: vivremo almeno sette-sette esperienze professionali nell’arco della vita lavorativa, e la previsione è che entro i prossimi dieci anni il 44% dei lavoratori attuali svolgerà altre mansioni. «Il futuro del lavoro sarà guidato dalle competenze e dalla loro continua evoluzione. Ma la discontinuità delle carriere non può e non deve diventare sintomo di precarietà», aggiunge Bonomi. «Bisogna prevedere tutele per il lavoratore anche nei periodi di discontinuità. E la formazione e l’aggiornamento continuo saranno centrali, intesi come un diritto-dovere per tutti».
Le proposte contenute nell’ultima parte del libro vanno dalla necessità di ripensare i sistemi di classificazione e inquadramento del personale, alla modifica delle norme sull’orario di lavoro, riconoscendo anche il diritto di disconnessione per evitare i fenomeni di over working. Viene avanzata poi l’ipotesi di introdurre ulteriori forme di flessibilità contrattuali per inquadrare chi oggi non è né autonomo né subordinato; e anche l’ipotesi di un’incentivazione fiscale per lo sviluppo di nuovi modelli di organizzazione del lavoro. Senza dimenticare che insieme alla popolazione invecchia anche la forza lavoro. «La formazione sarà centrale, per non ritrovarsi a 50 anni fuori dal mercato e con competenze che non esistono più», spiega Seghezzi.
A breve, il testo verrà presentato e discusso anche con i sindacati. E questa, avendo messo in discussione due pilastri del lavoro come il contratto e l’orario di lavoro, sarà la parte più difficile. «Siamo per la protezione dell’occupabilità e non del lavoro fine a se stesso, dobbiamo dare al Paese quello che serve senza seguire il consenso», precisa Bonomi. «Da questo territorio innovativo, quale è Milano, pensiamo possa partire anche un cambiamento del paradigma culturale che riguarda come il lavoro così viene concepito oggi nel nostro Paese».