La rivincita degli ingegneri: è boom di iscrizioni e lauree (e le imprese ne vogliono ancora di più)

Ingegneria è diventata la facoltà più ambita dai giovani italiani. Ma le imprese faticano a trovare ingegneri che soddisfano le loro esigenze. Le cause? Aspettative troppo elevate e mancato incontro tra domanda e offerta. E l’eterno equivoco dell’ingegnere-progettista

“Finché farò l’ingegnere sarò un bruto e nient’altro che un bruto: l’ingegnere si può paragonare a un bue sotto tutti gli aspetti. È l’essere ineccitabile per eccellenza, si mantiene calmo, sereno. Non gli viene neanche in mente che ci sia nella vita qualcos’altro dopo gli olii lubrificanti della Vacuum”. Così scriveva nel 1932 Carlo Emilio Gadda, ingegnere, diventato poi uno dei massimi protagonisti della letteratura del Novecento. A distanza di qualche decennio possiamo dire che forse l’ingegnere non è più un bruto. Conosce le lingue, il marketing, la gestione di impresa, le tecnologie digitali e possiede le tanto agognate soft skill. Ne esistono perfino di simpatici e discretamente acculturati con cui potreste passare una piacevole serata. Senza esagerare, parlo a ragion veduta facendo parte della categoria.

Arrivano ora i dati dell’Anvur (l’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario) pubblicati in settimana a certificare il boom di iscrizioni: negli ultimi sette anni Ingegneria è diventata la facoltà più ambita dai giovani italiani. Dal 2010/2011 al 2017/2018, gli iscritti sono cresciuti di 7 mila unità, insidiando il primato del numero di iscritti alle facoltà del gruppo economico-statistico, mentre sono in caduta libera le iscrizioni alle facoltà di Giurisprudenza che registra un saldo negativo di 53 mila studenti nello stesso periodo.

A fare il punto sul fabbisogno di laureati in ingegneria in Italia è l’analisi del Centro Studi CNI (Consiglio Nazionale Ingegneri), elaboratesulla base delle ultime rilevazioni del Sistema Informativo Excelsior. Dall’inizio del 2018 le previsioni sulla domanda di ingegneri si sono attestate su livelli piuttosto elevati: oltre 20.000 posizioni aperte nei primi tre mesi del 2018, per poi attestarsi intorno alle 11.000 unità nei trimestri successivi. Questo andamento può essere letto come un elemento positivo, in un mercato del lavoro che mantiene una dinamica relativamente vivace da 4 anni a questa parte. La parte del leone la fanno gli ingegneri elettronici, dell’informazione e industriali, mentre per gli ingegneri civili e ambientali la situazione è meno rosea.

Sono le aziende che non riescono a trovare gli ingegneri o le università a non fornire figure adeguate alle richieste di mercato?

Analizzando le posizioni aperte emerge comunque un paradosso: sono le aziende che non riescono a trovare gli ingegneri o le università a non fornire figure adeguate alle richieste di mercato?

In primo luogo ci sono problematiche di sistema che risalgono alle riforme universitarie di fine anni ‘90 e alle successive crisi industriali: dequalificazione professionale, diffusione della precarietà contrattuale, parziale fallimento della laurea breve, squilibri territoriali e tra atenei, fuga all’estero di molti laureati, competenze non valorizzate, penalizzazione dei professionisti e delle società di ingegneria nei bandi pubblici.

In secondo luogo il ruolo dell’ingegnere progettista sempre più richiesto dalle imprese è meno ambito di quanto si creda, ché richiede una profonda vocazione che oggettivamente in pochi possono vantare.

Intendiamoci. Nel periodo giugno-agosto 2018 le posizioni richieste per il ruolo di progettista risultano pari a poco più di 60.000 unità, con un incremento del 51%.

Ma ingegnere e progettista non sono sinonimi. Anche perché è auspicabile che a progettare infrastrutture, robot, automobili, aeroplani, sistemi di intelligenza artificiale, impianti industriali e tecnologici ci siano professionisti con vocazione autentica, prima ancora che muniti di attestato. Vi fareste operare da un medico che si è specializzato contro voglia scriveva provocatoriamente Umberto Eco? Resta poi il fatto che i ruoli in area progettazione e R&D continuano a rappresentare mediamente il 10/15% degli aggregati professionali che compongono la domanda di lavoro. Molto più presenti nelle aziende sono le figure nelle aree della produzione, della qualità, della logistica e della supply chain, delle vendite, del customer care, dell’IT, della comunicazione e dei servizi avanzati dove la laurea in Ingegneria è un Plus, una garanzia di approccio scientifico-razionale ai problemi, piuttosto che un Must.

In terzo luogo va considerato il punto di vista dei ragazzi che si iscrivono. Con tutti i suoi limiti la laurea in Ingegneria – lo certifica un altro studio fornito dal Centro Studi CNI – è uno dei pochi ascensori sociali funzionanti in un Paese familistico e poco meritocratico come l’Italia (dove – ricordava qualcuno ironicamente anni fa – i medici sono figli di medici, gli avvocati sono figli di avvocati e perfino i conduttori di Quark sono figli dei conduttori di Quark). E infatti il 75% dei laureati in ingegneria è figlio di non laureati.

Va da sé che Ingegneria, un po’ come il Liceo Classico per gli studi secondari, è il Vietnam del nostro sistema universitario. Se esci vivo da lì puoi fare qualunque cosa. E in molti casi è quello che accade. L’ingegnere italiano lo ritroviamo nel mondo del lavoro come imprenditore, manager, specialista high skilled, professionista, innovatore nell’ambito di sistemi più o meno complessi e protagonista dell’incombente trasformazione digitale.

Va da sé che Ingegneria, un po’ come il Liceo Classico per gli studi secondari, è il Vietnam del nostro sistema universitario. Se esci vivo da lì puoi fare qualunque cosa. E in molti casi è quello che accade. L’ingegnere italiano lo ritroviamo nel mondo del lavoro come imprenditore,manager, specialista high skilled, professionista

Il puntofondamentale è che domanda e offerta di lavoro in Italia faticano enormemente ad allinearsi. Anzitutto per le differenze di remunerazione, produttività, qualifiche richieste e aspettative di crescita nelle diverse aree del Paese. Ci sono poi deficit demografici e culturali, la mancanza di visione a lungo termine da parte di imprese, lavoratori e stakeholder. Tema complesso insomma che coinvolge le politiche industriali, del lavoro e dell’istruzione.

Sintetizza con efficacia Armando Zambrano, Presidente del CNI: “Cresce il numero dei laureati in ingegneria, specie nel settore industriale ed in quello dell’informazione, ma le imprese non li trovano. A questo punto o le aziende impongono requisiti troppo elevati e, quindi, poco realistici, o le Università formano figure tecniche in modo, per così dire, inappropriato. Io penso realisticamente, che la verità stia nel mezzo e che un maggiore dialogo tra Università, impresa e, anche, sistema ordinistico sia necessario”.

La via di seguire secondo Zambrano è chiara: “Mantenere questo disallineamento tra domanda e offerta altro non è che un enorme spreco di capitale umano, di valore e di opportunità che il nostro Paese non può più permettersi. Cerchiamo di affrontare una volta per tutte, in modo critico e costruttivo, il fatto che, della domanda complessiva di forza lavoro, solo una stretta minoranza (meno del 10%) si rivolge a laureati. In Italia da decenni, e non da ora, viviamo serenamente nel paradosso di formare giovani con competenze elevate che, come ormai avviene per un numero crescente di ingegneri, all’estero trovano lavoro, ma che in Italia le aziende non riescono a trovare. Spezziamo questa assurdità, abbiamo le competenze per farlo”.

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