Non fatevi ingannare dalla leggiadria delle ballerine in volo. Non accontentatevi della malinconia dei colori o della grazia dei movimenti: superate la prima apparenza di un mondo fatato e distante e guardate. Dietro ai quadri caldi del pittore francese Edgar Degas c’era una realtà fatta di squallore e sfruttamento, in un’epoca in cui le ballerine non si limitavano a danzare, ma erano anche prostitute.
Verso la fine dell’800 il balletto conobbe una fase di flessione. Alla stregua di uno spettacolo di cabaret, era diventato un semplice intrattenimento piazzato tra un atto e l’altro di un’opera, dedicato soprattutto al pubblico maschile che, grazie alle mise leggere e ai tutù, poteva lanciare qualche sbirciatina alle gambe delle ballerine.
C’era però chi non si fermava lì. Nella vita di una ballerina dell’epoca la prostituzione era parte integrante della sua attività. Un fatto così normale e accettato che il Palais Garnier, grande teatro dell’opera di Parigi, era stato progettato tenendo a mente anche questo: dietro al palcoscenico era stata creata una grande sala di appuntamenti. Uno spazio in cui le ragazze potevano ritrovarsi per scaldarsi prima di uno spettacolo, ma anche dove i signori più interessati (spesso iscritti a un club dell’opera) potevano incontrarle, socializzare con loro e fare proposte indecenti.
Spesso chi entrava in un corpo di ballo proveniva dagli strati meno abbienti della società. Era un lavoro con cui contribuiva a sostenere la famiglia. Per questa ragione intrattenere buoni rapporti con gli abonné del club, uomini ricchi e spesso potenti, poteva portare a rapidi avanzamenti di carriera, ottenere parti migliori, lezioni di ballo più sofisticate e, perché no, anche a un appartamento comodo e pulito. Era, come si scrive qui, una “cultura da bordello”: pervasiva, onnipresente e valida per tutte. Anche le ballerine più brave e famose che non avevano fatto ricorso a questi mezzi, erano comunuqe sospettate di averlo fatto.
È questo, insomma, lo spirito che viene catturato da Eduard Degas nei suoi dipinti. Sono rari i casi in cui, tra i suoi 1.500 dipinti, appaiono ballerine in scena. L’artista preferì concentrarsi su ciò che avveniva sul retro, sui momenti del riscaldamento, sulle prove, sugli incontri – in cui figure scure e sinistre appaiono sullo sfondo di scene di ballo e di rilassamento. Ma la sua arte, che pure considerava “realista” e non “impressionista”, non voleva essere una denuncia. Tutt’altro: era solo una questione estetica. “Tutti mi definiscono pittore di ballerine”, diceva, “ma il mio vero interesse è il loro movimento, e i loro vestiti”.
Nonostante Degas – era noto – non avesse mai accettato le avance delle ballerine, approfittò spesso della loro posizione di debolezza per costringerle a sessioni di posa estenuanti in posizioni contorte (“Forse le ho trattate come animali troppo spesso”, dirà), in cui le definiva “scimmiette” e le costringeva “a snodare le loro giunture”. Non era una bella persona, insomma. Ma rimane un grande artista che racconta, anche senza volerlo, un mondo ingiusto e crudele.