Aumentano i contratti stabili, ma non il lavoro. Dai dati Istat riferiti a gennaio 2019, cominciano a delinearsi gli effetti del decreto dignità del governo, dopo il giro di vite sui contratti a termine. Nel primo mese dell’anno, la stima degli occupati è cresciuta solo dello 0,1% (+21mila), lasciando ancora il tasso di occupazione stabile al 58,7 per cento. Ma la novità, rispetto ai dati dei mesi passati, è che si registrano 56mila contratti a tempo indeterminato in più, a fronte 16mila contratti a termine in meno e di 19mila indipendenti in meno. Una buona notizia, ma solo in parte: per effetto del decreto dignità, crescono le trasformazioni dai contratti a termine a contratti a tempo indeterminato, però calano le assunzioni a termine. Non si “creano”, insomma, nuovi posti di lavoro. Tant’è che, a fronte di 56mila contratti stabili in più, si contano anche 15mila disoccupati in più, con un aumento del tasso di disoccupazione, anche tra i più giovani. Confermando l’assioma che il lavoro non si crea con una riforma.
La fotografia era emersa anche dagli ultimi dati dell’Osservatorio Inps sul precariato. La crescita del numero di contratti trasformati dal tempo determinato all’indeterminato, oltre che l’aumento dei nuovi contratti a tempo indeterminato, si è vista per tutto il 2018. Questo, prima del decreto dignità, soprattutto per effetto del mix di incentivi fiscali alle assunzioni che hanno spinto i contratti stabili. Ma con il decreto dignità il processo si è accelerato, in particolare dopo la fine del periodo transitorio e l’entrata in vigore delle nuove regole più rigide sui contratti a termine, cioè dopo il 31 ottobre 2018.
Oltre a lasciare a casa alcuni lavoratori a termine che non potevano essere più rinnovati per via dei nuovi requisiti, assumendone altri e incentivando il turnover, ci sono state molte imprese che hanno trasformato i contratti in scadenza in contratti stabili: a novembre 2018 le trasformazioni sono state 46mila, a dicembre 68mila (38mila in più dello stesso mese dell’anno precedente).
Non si “creano”, insomma, nuovi posti di lavoro. Tant’è che, a fronte di 56mila contratti stabili in più, si contano anche 15mila disoccupati in più, con un aumento del tasso di disoccupazione, anche tra i più giovani
Si tratta sicuramente di una vittoria, se l’obiettivo del decreto dignità era quello di incentivare il lavoro stabile. Nello stesso arco di tempo, però, è presumibile che le imprese abbiano rallentato le assunzioni a tempo determinato e in somministrazione a causa delle nuove regole più rigide. E questo spiegherebbe il segno meno davanti ai contratti a termine, dopo un periodo di crescita costante: è probabile quindi che molti contratti non siano stati rinnovati, con il conseguente aumento dei disoccupati, cioè delle persone in cerca di lavoro. Che secondo i dati Istat a gennaio sono cresciute dello 0,6 per cento. Lo stesso Inps, non a caso, certifica un aumento delle domande di disoccupazione.
E a pagarne le spese sono sempre due categorie: le donne e i giovani. La condizione di maggiore instabilità si registra ancora nella popolazione femminile e tra gli under 25, con un calo del tasso di occupazione e un aumenta della disoccupazione e della inattività. Un bacino di disagio lavorativo che, se dovesse continuare questo trend, potrebbe quindi finire per crescere, aumentando di fatto anche la platea dei possibili percettori del reddito di cittadinanza. Soprattutto se gli incentivi saranno riservati solo ai datori di lavoro che assumeranno con contratti a tempo indeterminato full time.
Il risultato, soprattutto in un momento di recessione in cui gli imprenditori sono già meno propensi ad assumere, è che le regole più rigide sui contratti a termine potrebbero portare a uno stop alle nuove assunzioni e quindi alla creazione di nuovo lavoro. Con le percentuali che continuano a non spostarsi, se non di qualche zero virgola. Il tasso di occupazione è ancora tra i più bassi d’Europa, la disoccupazione è ferma al 10,5% e tra i giovani non scende da quel 33 per cento, ancora troppo alto.