In tempo di vacche magre, gli anti- sovranisti in cerca di certezze prima delle elezioni europee hanno trovato il loro nuovo idolo: Zuzana Caputova. Avvocatessa, ambientalista e liberale, domenica ha vinto con il 40% dei voti il primo turno delle elezioni presidenziali in Slovacchia. E tra due settimane si scontrerà al ballottaggio con Maroš Šefčovič, poco conosciuto commissario europeo per l’unione energetica e leader del partito socialdemocratico. Tradotto per i non appassionati slovacchi: i partiti sovranisti sono fuori dal ballottaggio.
C’è già chi prevede un’onda europeista che crei una crepa nel gruppo di Visegrad e travolga le forze anti-sistema alle prossime elezioni europee. Fermi tutti prima di esultare, o sbadigliare: la Slovacchia non è il primo tassello di un effetto domino, ma un’eccezione. Perché a guardare in giro, dalla Germania alla Spagna, dalla Polonia fino Olanda scioccata per la sparatoria di ieri a Utrecht, i sovranisti nei sondaggi non sfondano, ma neanche arretrano.
Un po’ per pigrizia, un po’ per strumentalizzare, chi legge i risultati elettorali negli Stati Ue per capire come tirerà il vento a maggio, commette lo stesso errore degli analisti di casa nostra quando usano il risultato di un’elezione regionale per giudicare se cadrà o meno il governo. Ovvero paragonano le mele con le pere. E in questo senso la Slovacchia rischia di essere la nuova Basilicata, dove si voterà per le amministrative il 24 marzo.
Il successo della Caputova è particolare, per una serie di motivi. Primo, il tema della campagna elettorale non è stato europeismo contro anti-europeismo ma società civile contro classe politica corrotta. Esattamente un anno fa veniva assassinato in condizione misteriose il giornalista Jan Kuciak che stava indagando sulle infiltrazioni mafiose nei vertici del Paese. La sua morte ha risvegliato nell’opinione pubblica un sentimento anti-casta che Caputova, attivista civile, ha canalizzato su di sé ponendosi come leader antisistema.
Secondo, la Slovacchia è una repubblica parlamentare, come l’Italia. Comanda il Parlamento non il presidente della Repubblica che svolge invece un ruolo di garanzia, come Sergio Mattarella. L’unica differenza è che in Slovacchia viene eletto direttamente. Anche per questo, il voto si basa più sulla persona che sul partito. Si spiega così con più facilità come abbia fatto un’avvocatessa alla sua prima esperienza politica a capo di un partito nato solo due anni fa come Progresivne Slovensko (Slovacchia progressista) ad arrivare a questo risultato.
Terzo, l’affluenza è stata bassa: solo il 46% degli slovacchi ha votato al primo turno. Senza contare che la Slovacchia da sempre è la più europeista delle nazioni del gruppo di Visegrad, non solo perché è l’unica del quartetto ad aver adottato l’euro, ma perché la sua economia dipende molto di più dai mercati dell’Europa occidentale e in particolare quello delle auto tedesche. Anche ammettendo l’exploit di Caputova come segno di una rinascita europeista in Slovacchia, i numeri non sono confortanti. La Slovacchia ha solo 14 deputati e nello scacchiere europeo conta poco, pochissimo. A guardare gli ultimi sondaggi di altri Paesi europei che faranno eleggere più eurodeputati, i sovranisti sono vivi e vegeti.
Né Greta Thunberg né il risveglio occidentale sui problemi del cambiamento climatico hanno fatto cambiare idea ai tedeschi. Il partito verde rimane minoritario e l’exploit di pochi mesi fa nei land di Assia e Baviera sembra sempre più spiegabile come un fenomeno locale
Partiamo dalla Polonia. Due mesi fa l’omicidio del sindaco di Danzica aveva fatto pensare a una rinascita anti sovranista nel Paese, governato da più di tre anni dal partito nazionalista PiS (diritto e giustizia). Sull’onda dell’emotività Robert Biedroń, primo politico apertamente gay (e in Polonia è una notizia) ha lanciato Wiesa, ponendosi nell’opinione pubblica come il nuovo rispetto al partito di governo e a Piattaforma civica, il partito del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Ma l’esperimento del Macron polacco, come ha notato Politico, si sta rivelando un piccolo flop. Dal 16% di un mese fa il partito nei sondaggi è dato al 5% e ha poche speranze di superare la soglia di sbarramento per entrare a maggio nell’europarlamento.
Stesso discorso in Germania. Né Greta Thunberg né il risveglio occidentale sui problemi del cambiamento climatico hanno fatto cambiare idea ai tedeschi. Il partito verde rimane minoritario e l’exploit di pochi mesi fa nei land di Assia e Baviera sembra sempre più spiegabile come un fenomeno locale. E i sondaggi danno un aumento dell’1% dei voti per le europee. Più che onda verde un fiorellino appena sbocciato. E Alternative Für Deutschland rimane stabilmente il terzo partito in Germania. Nemmeno l’inchiesta recente sull’uso di fondi illeciti provenienti dalla Svizzera ha visto calare Afd nei sondaggi. La paura di una sua ascesa alle europee, dove per tradizione il voto è più del cuore e meno del portafoglio, ha portato la neo leader della Cdu Annegret Kramp-Karrenbauer a bocciare il manifesto europeista di Emmanuel Macron e a tracciare una visione più conservatrice sul futuro dell’Europa.
Ma il presidente francese è più preoccupato nell’immediato dalla situazione olandese. Nel 2017 il premier Mark Rutte con fatica è riuscito a formare un governo dopo aver vinto di poco le elezioni, defindendosi il campione del populismo “buono” contro quello “cattivo” di Geert Wilders, alleato di Salvini e Le Pen. La scommessa di Rutte era quella di difendere gli interessi degli olandesi in Europa con proposte politiche riformiste e non radicali, opponendosi a qualsiasi forma di integrazione. Due anni dopo, non c’è stata l’integrazione federalista temuta dagli olandesi, ma il consenso di Rutte è comunque calato. Il 20 marzo nei Paesi Bassi ci saranno le elezioni nelle province dei rappresentanti che a loro volta eleggeranno i nuovi senatori olandesi. Secondo i sondaggi il partito di Rutte dovrebbe rimanere primo ma la coalizione perderebbe la maggioranza assoluta al Senato. Al secondo posto ci sarebbe il Partito per la libertà di Wilders. In ascesa, oltre il 10% si piazzerebbe il Forum voor Democratie, partito populista di destra, guidato dal 36enne Thierry Baudet, simile per estetica a Wilders ma con un linguaggio più sofisticato. Risultato? I partiti sovranisti insieme raggiungerebbero il 25 per cento e il governo rischia di entrare in una fase di stallo. Nei Paesi Bassi sono maestri del limbo politico. Nel 2017 Rutte riuscì a formare il governo dopo 208 giorni. E la sparatoria di ieri a Utrecht, sicuramente non farà aumentare il consenso del governo. Anzi, la sensazione è che rafforzerà i consensi dei sovranisti in tutta Europa, Slovacchia permettendo.