«Per Torino il Salone del Libro deve essere un’opportunità da sfruttare. Eventi di questa rilevanza europea, di questa dimensione, qui, non ci sono. Non strumentalizzatelo». È un discorso estremamente politico quello con cui Nicola Lagioia chiude la conferenza stampa di presentazione della edizione numero XXXII del Salone del Libro di Torino. Da quando ha preso le redini della manifestazione, tre anni fa, ereditando una situazione disastrosa con la Fondazione — oggi liquidata — stritolata dai debiti e diversi problemi di gestione che hanno portato alcuni grossi marchi editoriali a scommettere non con le fortune sperate su Tempo di Libri a Milano, lo scrittore barese (vincitore del Premio Strega con La ferocia nel 2015) ha voluto far passare un messaggio forte e chiaro: il Salone del Libro è una risorsa fondamentale per Torino, per il Piemonte e per il paese. Una risorsa da far fruttare, e non sfruttare. Un vero e proprio bene comune che usa il libro come strumento per raccontare il mondo e costruire percorsi di consapevolezza e dialogo tra culture, mondi, abitudini, stili. Una direzione, la sua, che ha riportato entusiasmo con una linea molto chiara: puntare in alto, non avere paura e osare. Non una semplice vetrina per i libri appena usciti, ma un luogo che “dice delle cose”. Una Factory.
Ecco perché il tema portante di quest’anno è “Il gioco del mondo”. L’omaggio a Julio Cortázar è evidente non solo per il titolo, ma per il tentativo di offrire un programma il più possibile in grado di rappresentare e raccontare a ricchezza e la complessità dell’esistente. Non solo Italia, e non solo cultura anglo-americana, quindi. Non c’è un paese ospite, ma una lingua ospite. Ed è ovviamente lo spagnolo. Sono tantissimi gli scrittori, soprattutto sudamericani, presenti a Torino. Da Fernando Savater che aprirà con una lectio magistralis (l’anno scorso fu Javier Cercas) sull’identità culturale europea, a Alan Pauls e Enrique Vila-Matas passando per Sepulveda, chiamato a dialogare su politica, società e letteratura con Giancarlo De Cataldo e per lo spettacolo di Fabrizio Gifuni (che l’anno scorso lesse le lettere di Aldo Moro) dedicato a Cortázar e Roberto Bolaño.
«Per Torino il Salone del Libro deve essere un’opportunità da sfruttare. Eventi di questa rilevanza europea, di questa dimensione, qui, non ci sono. Non strumentalizzatelo»
La cultura, al Salone, ha sempre avuto un ruolo Politico, con la P maiuscola. Deve favorire cambiamenti. Attivare cittadinanza. Trasformare la società. Aiutare i grandi processi facendo chiarezza e magari, ogni tanto, farsi ascoltare dalle istituzioni. È nella cultura che si vede il germe del mondo che sarà. Per questo si avrà la possibilità di ascoltare il punto di vista sul mondo dall’Africa con il Premio Nobel Wole Soyinka e dal Sud Est asiatico con il vietnamita Viet Thanh Nguyen. Ma anche mettere a confronto politici e attivisti, come nel dialogo sul senso di restare umani in questo periodo storico tra il sindaco di Riace Mimmo Lucano e il sindacalista Aboubakar Sumahoro; o come nell’incontro sulla ricerca della verità con Paola e Claudio Regeni, genitori di Giulio Regeni, che non a caso apre la sezione Bookstock Village (quella dedicata alle ragazze e ai ragazzi delle scuole).
Ma ci sarà anche tanta Europa. Del resto, oltre a essere il mondo in cui viviamo, è anche l’anno delle elezioni. Ci sarà Masha Gessen, autrice di un libro importante come Il futuro è storia per raccontare la Russia; e Bernard Guetta — intervistato di recente su questa pagine — a parlare di populismi. Ma anche Paolo Rumiz (che anni fa aveva scritto un importante libro sulla questione leghista dal titolo La secessione leggera) che racconta il suo viaggio in luoghi misteriosi e al tempo stesso fondativi per l’Europa come i monasteri. Oppure una lezione di Massimo Cacciari su Macchiavelli e la politica.
«Nessun territorio cresce se non investe su se stesso» chiude Lagioia invitando le istituzioni a non fare campagna elettorale sulla pelle del Salone e gli attori privati a investire in una manifestazione che negli ultimi anni ha attirato oltre 170 mila visitatori unici per edizione. Una città che ambisce a essere internazionale non deve lasciarsi sfuggire eventi di rilevanza internazionale (il Salone del Libro è considerato dagli addetti ai lavori il terzo evento più importante d’Europa dopo i saloni di Francoforte e Londra). Anzi, deve valorizzarli e usarli come risorsa, non come luoghi per rese dei conti e spartizione di potere. Anche perché sarebbe un controsenso dato l’oggetto in questione, i libri, la cultura, e in contraddizione con il messaggio di Gianni Rodari su cui si conclude la conferenza: «Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo».
Il Salone del Libro si svolgerà a Torino dal 9 al 13 maggio. Sul sito trovate il programma completo.