Diritti d’autoreSoundreef a Franceschini: «È ora di rompere una volta per tutte il monopolio Siae»

Dopo che il Tar ha respinto il ricorso all’Antitrust di Siae contro Soundreef, l’unica strada è quella di una legge che metta ordine nel mercato italiano del copyright. Con Franceschini alla Cultura, però, le prospettive non sono rosee. D’Atri, ad Soundreef: «Facciamo come Francia e Germania»

La vittoria definitiva di Soundreef contro Siae è arrivata il 27 settembre. Con il Tar del Lazio che ha respinto il ricorso all’Antitrust, confermando l’abuso di posizione dominante della Società italiana autori editori guidata da Mogol. «Un’ulteriore conferma», dice ora Davide D’Atri, amministratore delegato di Soudreef, la società che per prima ha aperto una breccia nel monopolio Siae, «del fatto che bisogna andare nella direzione di una liberalizzazione totale del settore dei diritti d’autore, recependo una volta per tutte la direttiva Ue Barnier del 2014. Il governo prenda nota». Certo, con il ritorno di Dario Franceschini al ministero dei Beni culturali, che nella precedente legislatura aveva aperto a fatica uno spiraglio nel plotone Siae, le prospettive non sembrano rosee. «Speriamo che il nuovo governo riprenda il discorso da dove l’avevamo lasciato con il Conte I, apra un tavolo tecnico anche con Siae e faccia alcune doverose migliorie a quanto era stato fatto nel decreto fiscale del 2017», dice D’Atri.

Quelle norme del decreto fiscale del 2017 portano proprio la firma di Dario Franceschini, allora alla guida della cultura nel governo Gentiloni. Solo su spinta della Commissione europea e delle proteste sulla stampa, Franceschini liberalizzò il mercato italiano a denti stretti. Ma lo fece solo parzialmente. Stabilendo che solo le associazioni non profit possono fare concorrenza a Siae. Motivo per il quale è stata creata poi la Lea, Liberi editori autori, che riscuote i compensi sul territorio italiano. Ma è rimasta una liberalizzazione a metà, con la direttiva Barnier recepita solo in parte.

Non è che dobbiamo adottare le direttive europee quando ci piacciono e non farlo quando non fanno comodo a qualcuno


Davide D’Atri, ad Soudreef

Una battaglia di Davide contro Golia, che si è trascinata nei tribunali, fino all’accordo dello scorso aprile in cui Siae ha siglato la tregua, riconoscendo i danni provocati a Soundreef, che nel frattempo ha portato nella sua “scuderia” oltre 37mila autori, tra cui nomi di punta come Fedez ed Enrico Ruggieri. Ma da allora nulla è cambiato. I Cinque Stelle, dopo aver sostenuto le battaglie di Fedez contro il presunto conflitto di interessi di Franceschini e aver inserito la liberalizzazione nel programma, erano pronti a tirar fuori dal cassetto una proposta di legge a firma del deputato Paolo Lattanzio. La legge poi però è finita nel dimenticatoio. E il timore è che ora, con Franceschini di nuovo al timone, si rischi un ulteriore stop.

Il 26 settembre, dopo un incontro con il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, lo stesso Mogol ha chiesto che l’Italia recepisca finalmente la direttiva Ue sul copyright contro i giganti del web. «Bisognerebbe seguire sempre gli stessi parametri», suggerisce D’Atri. «Non è che dobbiamo adottare le direttive europee quando ci piacciono e non farlo quando non fanno comodo a qualcuno».

Ora che anche la Francia si è adeguata alla direttiva Barnier, aprendo alle società private, mi aspetto che Franceschini continui a essere ispirato da Parigi


Davide D’Atri, ad Soudreef

Da ministro della Cultura, nel 2016 Franceschini aveva elogiato la Francia che difendeva il monopolio sui diritti d’autore della Siae d’Oltralpe. «Ora che anche la Francia si è adeguata alla direttiva Barnier, aprendo alle società private, mi aspetto che Franceschini continui a essere ispirato da Parigi», dice D’Atri. «Alcune posizioni che avevano senso nel 2016 ora non hanno più senso. Ora si può soltanto migliorare il mercato e renderlo efficiente».

Anche perché, oltre alla liberalizzazione, vanno chiariti ancora alcuni punti per il funzionamento del mercato. In primis, se e come sanzionare radio, tv e organizzatori dei concerti che ritengono di dover pagare i diritti solo alla Siae, rifiutandosi di pagarli a Soundreef qualora si tratti di un autore della loro scuderia. E poi va specificato ancora il ruolo degli ispettori Siae e se questi possano raccogliere i diritti anche per gli altri operatori privati.

La situazione, insomma, resta caotica e necessiterebbe di una legge ad hoc per mettere ordine nel mercato, così come è stato già fatto in Francia e Germania. Anche perché Soundreef, che mantiene la società madre in italia (con quattro partecipate estere), è sempre con un piede dentro e uno fuori dall’Italia. Con Brexit alle porte, l’idea era anche quella di portare la Ltd inglese sul territorio italiano. Ma il rischio è invece che, dopo quasi sette anni di attesa e battaglie legali, Soundreef faccia le valigie e lasci definitivamente il mercato italiano. «Giorno dopo giorno fatica a difendere scelta di stare in Italia mentre ci fanno la guerra o non fanno nulla per sistemare questo mercato», dice D’Atri. «Non si può parlare andare a parlare di innovazione nei convegni e poi bastonarla perché lede gli interessi di qualcuno. Non è un caso che, a vedere la nostra storia, nessun’altra società abbia voluto farci concorrenza, mentre ci sarebbero intere praterie per farlo».

X