Medicina sul territorioIl piano per evitare che il sistema sanitario lombardo faccia di nuovo flop

Il governo si preoccupa solo del settore produttivo, ma ignora ospedali e operatori sanitari che dovranno adattarsi anche loro alla convivenza con il virus. Ecco le proposte di settanta medici della Lombardia

PATRICK BAZ / AFP

«La Fase 2 deve coinvolgere anche la riorganizzazione del sistema sanitario nazionale». A dirlo è una buona parte della comunità medica italiana che, in diverse forme, si è unita per sollevare il tema della convivenza con il virus. Seguendo le previsioni di molti virologi si teme un eventuale ritorno del contagio verso l’autunno, e di conseguenza un ulteriore stress per le strutture ospedaliere.

«Non dobbiamo commettere gli errori precedenti. Dobbiamo ripensare al modello nel suo complesso, partendo da quel “paracadute” di salvataggio che doveva essere il presidio territoriale, ma che in realtà non ha funzionato. Questa è una delle ragioni per cui il bilancio del contagio è così pesante», spiega Giuseppe Imbalzano, ex direttore sanitario di Asl lombarde per 17 anni.

La ricostruzione non dovrà limitarsi al solo settore produttivo, bensì, aggiunge Imbalzano, dovrà «progettare e ripensare la medicina territoriale». L’ex direttore sanitario non è l’unico a pensarla così. Ieri è stata infatti ufficializzata la richiesta, promossa dal collettivo cittadino Milano 2030 per commissariare la sanità nella Regione Lombardia. Oltre 75mila tra operatori sanitari e cittadini hanno sottoscritto la petizione su change.org.

Un gruppo di 70 medici lombardi specializzati in medicina generale è entrato ancora più nel merito, stilando un manifesto nel quale, oltre a denunciare la situazione di emergenza, indicano dei punti da seguire per poter convivere con il virus.

«Dai primi di marzo abbiamo costituito una piattaforma su WhatsApp (“Medici in Prima Linea”) che ci ha garantito rapidità e tempestività di intervento. La velocità è stata tale che il gruppo ha spesso anticipato le decisioni degli organi competenti. E per questo abbiamo deciso di mettere al servizio della comunità tutto ciò che abbiamo imparato» dice Andrea Mangiagalli, uno dei medici firmatari.

«Uno dei punti su cui agire è sicuramente l’assistenza a domicilio. Dall’esperienza maturata sul campo stiamo riscontrando che se l’intervento è precoce con la somministrazione di idrossiclorochina, azitromicina ed eparine a basso peso molecolare i pazienti stanno meglio. Se non altro si riducono i numeri dei pazienti candidati alla terapia intensiva».

Secondo i 70 medici si potrebbe alleggerire il sistema sanitario ospedalecentrico che in questi anni è prevalso in Italia. Se di fatto i contagi e i decessi tra i pazienti diminuiscono, quelli tra il personale sanitario sono ancora troppo alti proprio per l’elevata concentrazione di pazienti affetti da covid-19 nei reparti.

Inoltre, secondo lo studio preliminare sulle fonti di infezione condotto dall’Iss, su circa 4.500 casi notificati tra l’1 e il 23 aprile, il 44,1 per cento delle infezioni si è verificato in una Residenza santiaria assistenziale, il 24,7 per cento in ambito familiare, il 10,8 per cento in ospedale o ambulatorio e il 4,2 per cento sul luogo di lavoro.

Per far calare questi dati una soluzione potrebbe essere dislocare dei pazienti in strutture più piccole. «Questa infezione ha trovato del tutto impreparato un servizio sanitario adattato alla routine. La soluzione per convivere e avviare una Fase 2 nella sanità è individuare ospedali di piccole medie dimensioni da adibire totalmente al servizio per i pazienti infettivi, con i diversi livelli assistenziali relativi e personale volontario e comandato che sia residente nella struttura, con percorsi e passaggi obbligati e con tutti i dispositivi di protezione personale per la sicurezza dei lavoratori» continua Imbalzano.

I tempi di lavoro e la residenzialità degli operatori sanitari presso la struttura sarebbero per periodi limitati, ma potrebbero così evitare il trasferimento e la diffusione all’esterno del Covid. A questo si deve aggiungere un’assistenza territoriale diffusa e integrata da specifici servizi di supporto all’attività medica di famiglia. Quel 24,7 per cento di contagi avvenuti in ambito familiare indica infatti che delegare l’assistenza ai soli familiari non garantisce nessuna sicurezza.

A tal proposito i medici lombardi chiedono di condividere «a livello nazionale uno schema di trattamento dei pazienti Covid positivi che superi la frammentazione attuale e stabilisca in modo uniforme i tempi di quarantena e le modalità di uscita».

Oltre alla dislocazione e all’aumento dei servizi assistenziali sul territorio, i medici di base hanno trovato una falla nel sistema che potrebbe aggravarsi in futuro. «Pazienti con sintomi covid-19 sono stati rimandati a casa dalle proprie famiglie perché negli ospedali non c’erano più posti letto.

Noi medici di base li abbiamo assistiti, segnalando il caso sul portale nCov della regione Lombardia, al quale possono accedere solo gli operatori sanitari e le forze dell’ordine per controllare la veridicità delle autocertificazioni. Il rischio ora è che le persone non si autodenuncino più per paura di essere schedate e dover rimanere altro tempo a casa. Nel mio caso, sta già avvenendo: c’è stato un calo troppo netto delle autosegnalazioni» chiosa il medico Mangiagalli.

Per questo i medici chiedono di tracciare sul territorio tutti i casi di pazienti positivi a domicilio, prima della Fase 2. Possono essere pazienti dimessi non ancora guariti, pazienti seguiti al domicilio dai medici di medicina generale e dai loro conviventi e gli eventuali casi nuovamente sintomatici rilevati negli ambulatori.

Infine, nel manifesto i medici suggeriscono un intervento anche in campo burocratico. Si chiede infatti di «mantenere anche dopo la fine dell’emergenza Covid tutti quegli atti che in pochi giorni hanno velocizzato e semplificato la burocrazia». A partire dalle ricette elettroniche totalmente dematerializzate e sostituite con degli sms o i rinnovi periodici di esenzioni ed erogazione di protesi che potrebbero prevedere un contatto diretto tra paziente e medico.

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