Valloni vs fiamminghiIn Belgio hanno nove ministri della Salute, ma non sanno come gestire la pandemia

Il Paese ha la mortalità più alta al mondo per coronavirus: 78 vittime per 100mila abitanti. Divisioni, incomprensioni e una seconda lingua che nessuno conosce. Troppo complesso per funzionare bene durante una crisi

Afp

Il Belgio sta scricchiolando sotto il peso della pandemia. Nel weekend medici, infermieri e staff dell’ospedale Saint-Pierre di Bruxelles hanno offerto l’immagine perfetta per l’attuale sofferenza del paese, così ben costruita da fare il giro di social network, siti e giornali di tutto il mondo. Quando il primo ministro Sophie Wilmès è arrivata in visita, il personale sanitario l’ha accolta con una plateale guardia del disonore, due ali di persone che si sono voltate al passaggio dell’auto, in segno di protesta contro la risposta federale alla crisi.

I numeri sono tremendi: secondo i dati della John Hopkins University, il Belgio ha la mortalità apparente peggiore al mondo (16,4%, l’Italia ha il 14,2%), con 78 vittime per 100mila abitanti (l’Italia 52). Le autorità hanno attribuito questi numeri spaventosi al metodo di raccolta dei dati, ma in questo momento il paese (11 milioni di abitanti) ha superato i 9mila morti, la vicina e simile Olanda (17 milioni) ne ha poco più della metà, con un lockdown ben più blando.

Il Belgio on è l’unico paese europeo messo in crisi dalla pandemia, ma è il solo che ci è arrivato senza un vero governo (come da tradizione), a quasi un anno dalle ultime elezioni. A marzo, per gestire l’emergenza, il Parlamento ha dovuto attribuire poteri speciali all’esecutivo che da un anno gestiva gli affari correnti in attesa di una svolta politica che non è mai arrivata.

«I belgi si chiedono: cosa sta succedendo? La risposta va sempre nella stessa direzione: questo paese è troppo complesso per funzionare bene durante una crisi», spiega a Linkiesta il professor Baldwin Van Gorp, coordinatore dell’Institute for Media Studies dell’Università di Leuven. In Italia possiamo essere talvolta esasperati dal modo di comunicare del nostro ministro della Salute, in Belgio però è molto più dura, visto che di ministri della Salute ne hanno nove.

C’è quello federale, Maggie De Block, che avrebbe responsabilità sulle emergenze nazionali, ma le ultime sei riforme dello Stato hanno sempre più eroso il potere di questa carica, a vantaggio dei governi regionali, ciascuno dei quali ha il suo ministro in carica, uno per la comunità fiamminga e uno per quella vallone. Poi ce n’è uno per minoranza tedescofona, c’è un responsabile per l’accesso alla professione medica, uno per la cura dell’infanzia e infine tre responsabili per la regione autonoma di Bruxelles.

«Quando devo spiegare come funzione il Belgio, dico sempre che fino alla riva del mare c’è un ministro fiammingo, se metti il piede in acqua entri nella zona di competenza di un ministro federale. Questo sistema è un buon meccanismo di convivenza in tempi normali, ma è un sistema incapace di rispondere con la velocità necessaria durante le crisi, lo abbiamo visto anche con gli attacchi terroristici del 2015». 

Quello del Belgio al tempo del CoVid-19 è tanto un problema di architettura istituzionale quanto di lingua, cultura e convivenza, con i francofoni e i fiamminghi sempre meno propensi a capirsi e venirsi incontro. il Belgio è una nazione bilingue, ma i suoi abitanti lo sono sempre meno: «Da tempo i francofoni e i fiamminghi privilegiano l’inglese come seconda lingua, I ministri a volte letteralmente non capiscono cosa si stanno dicendo tra loro. Quando c’è tempo per avere interpreti e traduzioni ben fatte non è un problema, quando devi prendere decisioni di corsa invece sì.

Anche Wilmès, il primo ministro, è madrelingua francese, il suo fiammingo è okay, diciamo, ma si avverte la fatica con cui lo parla. Quando deve rivolgersi alla nazione durante tempi bui non è piacevole». Ogni problema linguistico diventa culturale (e viceversa): «Il Belgio c’è – in piccolo – il conflitto che c’è in Europa, con un nord ricco e di matrice olandese e tedesca e un sud francofono e povero».

Ci si divide su tutto, anche le ciclabili di Bruxelles possono diventare un terreno di scontro, con i nazionalisti fiamminghi del N-VA pronti a difendere il diritto dei pendolari a venire in città in auto (in questo almeno sono poco olandesi). Approccio diverso anche col lockdown: nelle Fiandre si voleva un modello più libero e basato sulla responsabilità individuale, all’olandese. 

Cosa succederà dopo questa ennesima emergenza trasformata in crisi istituzionale? Ci facciamo aiutare da Dirk Rochtus, docente di scienze politiche e relazioni internazionali all’Università di Leuven. Anche in questo caso la lettura è sulla faglia fiammingo-vallone. «La lezione che traggono i partiti nazionalisti del nord, e i fiamminghi in generale, è che lo Stato centrale non serve, ci vuole più autonomia. Il loro modello è co-federalista, aumentare il potere dei governi regionali, metterli in condizione di decidere tutto per sé.

Per i valloni invece questa situazione è la prova che serve più governo federale, che il regionalismo belga non ha funzionato». L’unica certezza al momento è che l’attuale governo di minoranza non durerà a lungo: quando il peggio sarà passato, bisognerà decidere cosa fare.

E se il sistema sanitario belga sembra complesso, quello politico è un incubo (oppure è il sogno di ogni retroscenista bilingue). Ogni famiglia politica, che siano verdi, socialisti o conservatori, ha sostanzialmente due partiti, uno francofono e uno fiammingo.

Le opzioni al momento sono tre. La prima è un governo del Partito socialista francofono con i vincitori morali delle elezioni del 2019, il Nieuw-Vlaamse Alliantie (Nuova Alleanza Fiamminga), N-VA, considerato però xenofobo, separatista, impresentabile: non succederà. La seconda è la cosiddetta opzione Vivaldi, così ironicamente battezzata perché il mix ricorda le quattro stagioni: i socialisti, i conservatori, i verdi e cristiano democratici avrebbero i numeri per fare un governo. Il problema politico di queste larghe intese è che terrebbero fuori N-VA, il partito forte delle Fiandre, portando altro stress al sistema.

La terza via sarebbero nuove elezioni in autunno, con l’incognita della pandemia e nessuna certezza di un risultato più praticabile di quello attuale. E così arriviamo alla domanda finale, quasi un dilemma esistenziale: il Belgio può continuare a esistere? «Questa possibilità sembra interessare sempre più gli europei che noi belgi. Siamo abituati a vivere in un paese complesso, qui nessuno vuole davvero separarsi, le conversazioni sull’argomento sono solo teoriche», spiega Van Gorp, «Anche perché in caso di separazione, chi se la prende Bruxelles, che è bilingue?». 

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