Nei grattacieli dei big della finanza italiana, anche con l’avvio della fase due, si vede ancora solo qualche luce accesa. E sarà difficile che tutti gli uffici torneranno presto a illuminarsi come prima: il ritorno alla normalità, negli uffici e nelle fabbriche, sarà tutt’altro che normale.
Il dogma continuerà a essere lo stesso: evitare assembramenti. E anche se nella fase due i luoghi di lavoro si ripopoleranno, turni e orari saranno riorganizzati per ridurre al minimo le presenze fisiche. Chi pensava di liberarsi finalmente dalla condizione forzata di smart worker, insomma, si sbaglia.
Nella torre di Intesa San Paolo a Torino, su oltre 2mila lavoratori, è ancora presente in media solo il 6%. Nei piani dell’istituto è previsto un graduale rientro in ufficio con una presenza massima al 20%. Ma nel documento sulla “strategia per il rientro” si spiega che per il futuro «l’attuale configurazione degli spazi sia del grattacielo che degli altri edifici è in grado di garantire un utilizzo fino al 50% delle postazioni senza venir meno al distanziamento di due metri». Solo la metà dei dipendenti potrà occupare gli uffici.
«L’idea di mettere 7mila persone tutte insieme nello stesso edificio potrebbe appartenere ormai al passato», ha detto Jes Staley, ad di Barclays. Mentre il lavoro da remoto, che nella fase uno ha tenuto in vita gran parte delle attività, potrebbe invece restare nel presente e nel futuro di molti.
All’improvviso, da un giorno all’altro, le aziende si sono svuotate, gli ascensori hanno smesso di fare su e giù, gli erogatori di acqua e caffè si sono spenti. Ma se già prima dell’emergenza epidemiologica la formula “ufficio” viveva un periodo di crisi, tra gli affitti in aumento, la digitalizzazione e la crescente domanda di lavoro flessibile, nel periodo post-pandemia sarà del tutto stravolta.
«Anche chi non riteneva il digitale un elemento strategico, ha subito un’accelerazione forzata», spiega Laura Di Raimondo, direttore generale di Asstel, l’associazione di categoria che dentro Confindustria rappresenta la filiera delle telecomunicazioni, che in questo periodo di emergenza ha garantito la continuità di molti servizi aziendali. I tecnici di rete hanno portato la connessione anche in luoghi critici, per consentire il lavoro da casa. «Ma questa abitudine al digitale andrà oltre l’emergenza», assicura Di Raimondo. «La nuova normalità del lavoro sarà una forma ibrida tra digitale e presenza fisica, con una profonda trasformazione dei modelli organizzativi».
Qualcuno si è già spinto a profetizzare la “fine dell’ufficio”. Secondo un sondaggio della americana Gartner, il 5% dei lavoratori resterà a lavorare a distanza in maniera definitiva. Ma se Twitter ha già fatto sapere ai suoi dipendenti che, se lo vorranno, anche dopo l’emergenza potranno lavorare da casa «per sempre», Apple programma invece da fine maggio il rientro della maggior parte dei lavoratori negli uffici.
Anche se molti non lo avrebbero mai ammesso prima di essere confinati a casa davanti al pc, tutte quelle scrivanie e il trambusto tipici dei luoghi di lavoro hanno i loro benefici. Tanto che, per i più nostalgici, in pieno lockdown è nato un sito web, “I miss the office”, che riproduce i rumori da ufficio: mani che battono sulla tastiera, chiacchiericcio a distanza, il suono della stampante.
I lavoratori potranno trascorrere meno giorni in azienda, «ma una cosa che stiamo imparando è che alle persone piace andare in ufficio. Il posto di lavoro è una comunità importante, quindi deve esserci un equilibrio», ha detto Scott Stephenson, amministratore delegato di Verisk Analytics, società americana di analisi dei dati e valutazione dei rischi.
Gli incontri online potranno andare avanti ancora per un po’, poi bisognerà – almeno qualche giorno a settimana – incontrarsi anche dal vivo. Certo, non come prima. Dove nell’era pre-Covid lavoravano dieci persone, con le nuove norme di distanziamento si lavorerà cinque dall’ufficio e cinque da casa, magari a giorni o a settimane alterne.
In vista delle riaperture, nelle aziende e nella pubblica amministrazione, si stanno già mettendo a punto nuove turnazioni alternate in presenza e da remoto. Per evitare assembramenti, gli orari di ingresso e uscita dovranno essere diversi. In ogni caso, almeno inizialmente, le riunioni dovranno preferibilmente essere fatte in modalità video.
E accelerare la riorganizzazione, tanti imprenditori si stanno rivolgendo anche agli spazi coworking che, al contrario di quel che si pensava, con la ripartenza potrebbero vivere una nuova fase di rilancio. «Stiamo assistendo a un fenomeno in controtendenza», aveva raccontato già in pieno lockdown Lorenzo Maternini, vice president Global Sales & Country Manager di Talent Garden Italia. «Da 15 giorni circa riceviamo richieste di grandi aziende che chiedono spazi per i propri dipendenti».
C’è chi pensa di mantenere una percentuale di lavoratori in via definitiva in smart working e decide di prendere in affitto qualche scrivania, per evitare l’eccessivo isolamento domestico del dipendente. Ma c’è anche chi noleggia questi spazi in condivisione, già adeguati alle nuove norme anti-contagio, per estendere all’esterno lo spazio che altrimenti non riuscirebbe a garantire in azienda.
La formula che potrebbe diffondersi è una sorta di “ufficio diffuso”. Si potrà lavorare in parte da casa, in parte in sede, in parte in altri luoghi come gli spazi di coworking. Magari anche nella stessa giornata.
«La presenza nei luoghi di lavoro sarà progressiva, ma sempre in alternanza», specifica Laura Di Raimondo. «Ma tutta la dimensione che ruota intorno al lavoro deve essere ridisegnata. Uno strumento come il contratto di espansione, se rifinanziato, potrà garantire ad esempio, tramite la formazione e le nuove assunzioni, la trasformazione tecnologica e digitale di cui le aziende oggi necessitano».
I trend a cui stanno assistendo le agenzie immobiliari di mezzo mondo vanno in due direzioni. Da una parte, la scelta di ridurre le dimensioni degli spazi di lavoro per abbattere i costi, tipica degli ultimi anni, si sta invertendo verso la ricerca di immobili più grandi che garantiscano il distanziamento sociale richiesto. Dall’altra, invece, c’è chi opta per piccole sedi di rappresentanza a costi ridotti, allargando virtualmente l’ufficio all’esterno grazie allo smart working e al coworking.
La transizione dall’ufficio fisso all’“ufficio diffuso”, però, non sarà semplice, né priva di costi. Per quattro scrivanie a rotazione, servizio di portineria, utenze e connessione, la spesa media di uno spazio di coworking è di circa 2mila euro al mese.
«Solo nel mese di marzo abbiamo gestito richieste di 167 aziende che cercano di ristrutturare il proprio modo di concepire l’ufficio», racconta Federico Lessio, chief experience officer di Copernico, la rete di coworking che raduna 800 aziende e 6.000 professionisti in tutta Italia. In vista della fase due, la società ha creato un servizio ad hoc, WorkCare, per offrire alle aziende progetti e soluzioni concrete per adeguare i datori di lavoro alle nuove normative. «Al rientro dal lockdown», dice Lessio, «le aziende vogliono meno costi fissi e spazi a consumo, oltre che servizi superiori legati a sicurezza, igiene e tecnologie».
La parola chiave in questo momento è “sicurezza”. «Che deve essere tanto reale quanto percepita», spiega Lessio. «Non è sufficiente compilare un buon protocollo. Il lavoratore ha bisogno di sentirsi sicuro». Il nuovo ufficio, spiega, «dovrà essere ergonomico per garantire il benessere psicologico delle persone che con la “fase 2” potranno rientrare. Abbiamo bisogno di tornare alla socialità, ma dobbiamo sentirci protetti e sicuri».
Così c’è chi sta riposizionando mobili e scrivanie per garantire la distanza, e chi sta introducendo nuove barriere in plexiglass, magari colorate per evitare l’effetto “acquario”. Anche le scrivanie, però non saranno più le stesse. Le aziende dell’arredo, costrette al fermo, si stanno reinventando proponendo tavoli modificabili in base all’evolversi dell’emergenza.
Qualcuno ha scelto anche la formula delle tovagliette di carta usa e getta giornaliere per ogni postazione. Mascherine, gel igienizzanti, tappeti disinfettanti per le scarpe, ventilazione e pulizie saranno la nuova normalità. Lo spazio di lavoro potrà essere esteso a quelli che prima erano gli spazi comuni, dalle aree relax agli angoli ristorazione, che in molti casi per il momento resteranno chiusi.
Pausa caffè e pausa sigaretta per un po’ scompariranno. Nei corridoi e negli spostamenti verso il bagno, in ogni caso, andrà indossata la mascherina. E se gli spostamenti in azienda devono essere ridotti al minimo, anche il pranzo – almeno all’inizio – dovrà essere consumato alla scrivania, portato da casa o ordinato sul momento.
Gli ascensori, che prima portavano su e giù anche dieci/venti persone, sono sconsigliati. Ma nel caso di strutture come i grattacieli, è impossibile. Spostare migliaia di persone in verticale sarà una grande sfida con le attuali misure di distanziamento. Nelle linee guida di Intesa San Paolo è scritto che si potrà salire massimo quattro alla volta, sistemandosi alle estremità della cabina, indossando le mascherine e garantendo il distanziamento di un metro. Allianz, invece, ha programmato gli ascensori per accedere solo al proprio piano tramite badge, senza dover toccare la tastiera.
Ma i piani di rientro, oltre a essere improntati alla massima sicurezza, faranno grande affidamento anche sulle tecnologie. Non solo quelle per la misurazione della temperatura. L’organizzazione a turni, con alcuni lavoratori da remoto e altri in ufficio, necessita di piattaforme dedicate e migliori infrastrutture tecnologiche, oltre che di pc e smartphone a domicilio. Cosa non semplice, se persino la stessa Google ha ammesso di avere rallentato le assunzioni per la difficoltà di fornire a tutti computer e telefonini per lavorare da remoto.
Ma al ritorno negli uffici, si avrà a che fare anche con app e sensori che monitorano la qualità dell’aria, il rispetto del distanziamento tra colleghi e i flussi nelle aree comuni e nei corridoi. Tecno, storica azienda del mobile, ha sviluppato ad esempio una piattaforma che, attraverso l’integrazione della tecnologia IoT negli arredi, consente di monitorare gli accessi e i movimenti del personale, permettendo di controllare e prenotare a distanza le postazioni da usare a rotazione. E con la funzione “Smart safety spaces”, il sistema permette di evitare la formazione di code nelle zone comuni, monitorando costantemente i flussi e segnalando la praticabilità e i tempi di accesso alla mensa o alle aree caffè.
Qualche azienda ha sviluppato internamente la propria applicazione. Ferrari ed Electrolux, ad esempio, hanno messo a punto le proprie app anti-virus per controllare giornalmente lo stato di salute dei lavoratori e il mantenimento delle distanze. Il gruppo Generali, invece, doterà i propri lavoratori di un’app che, oltre al controllo delle condizioni di salute, permetterà di ordinare il pranzo alla scrivania e di monitorare gli spostamenti in modo da evitare assembramenti in entrata e in uscita.
E il ricorso alla digitalizzazione non vale solo per uffici. Anche nel mondo delle fabbriche la strada che si sta seguendo per la riapertura è soprattutto quella tecnologica. «L’impiegato d’ufficio ha mantenuto continuità del lavoro nella fase uno, utilizzando tecnologie di connessione delle persone», spiega Marco Taisch, professore del Politecnico di Milano e presidente del competence center del Polimi. «Se prendiamo questo modello e lo portiamo in fabbrica, quello che serve è la connessione tra macchine e persone, consentendo ai lavoratori di svolgere ruoli di controllo e organizzativi anche a distanza».
È quello che hanno fatto in questo periodo le tante fabbriche che si sono rivolte al competence center del Polimi alla ricerca di soluzioni per restare aperte mantenendo una presenza ridotta di lavoratori in azienda. «Le richieste che stiamo ricevendo vanno in questa direzione», dice Taisch.
Dalla manutenzione degli impianti, che può essere fatta a distanza tramite la realtà aumentata, con occhiali e telecamere, guidando un operatore che si trova sul posto, senza la necessaria presenza di una squadra di manutentori. Fino al collaudo degli impianti, che potrà essere fatto da remoto.
«L’industria 4.0 aiuterà la riapertura delle aziende, garantendo presenze minori anche in fabbrica», ribadisce Taisch. «E così come molte aziende costrette a usare lo smart working a causa del virus si sono sorprese dei vantaggi, allo stesso modo mi aspetto che le tecnologie 4.0 rimangano in fabbrica anche quando l’emergenza sanitaria finirà».