Tutti quei corsi Vittorio Emanuele, quei viali Regina Margherita e quelle piazze Umberto delle città italiane andrebbero rinominati asap e intestati via dpcm a Paolo Gentiloni, il quale peraltro è pure conte di Filottrano, Cingoli, Macerata e Tolentino.
Il commissario europeo all’Economia, senza gonfiarsi il petto nei talk show o nelle dirette Instagram, è riuscito a far dimenticare ai colleghi dell’Unione le ubbie di Giuseppe Conte, per non parlare del curriculum antieuropeo da vice dei due vicepremier Salvini e Di Maio, e quindi a garantire all’Italia un pacchetto da 173 miliari di euro, di cui 81 a fondo perduto e gli altri con prestiti da restituire entro il 2058 e a condizione di favore, per un totale che ammonta al 9,6 per cento del pil italiano, che si vanno ad aggiungere a tutti gli altri pacchetti miliardari del Sure, del Mes, della Bei, della Bce. Applausi.
La proposta della Commissione europea, con copertura politica di Macron e Merkel ma senza l’Italia di Conte, dovrà essere ancora approvata da tutti i paesi membri entro luglio e qui cominciano i guai perché tra i nostri populisti è già partita la gara a chi la spara più grossa, non solo tra i populisti dell’opposizione, ma anche tra i loro complici di maggioranza che chiedono di utilizzare questi ingente quantità di denaro messa a disposizione dall’Unione europea per tagliare le tasse o per coinvolgere le grandi aziende statali nelle strategie di politica industriale come se fossimo negli Anni Cinquanta o in Venezuela.
Dovremmo, invece, provare a non farci riconoscere e a non sederci al tavolo dei negoziati aperti da Macron, Merkel, Von der Leyen e Gentiloni lasciando intendere che sprecheremo quei denari per le quote cento, i redditi di cittadinanza e le politiche del lavoro del Mississippi. Possiamo contare sul fatto che Gentiloni vigilerà per evitare che vada tutto a carte quarantotto e che Gualtieri troverà le sfumature esatte, ma sarebbe prudente assicurarsi che Conte e Casalino, per non parlare di Di Maio, siano tenuti lontani da telecamere, da taccuini e da whatsapp per scongiurare che facciano saltare l’accordo.
La pandemia da virus corona è stata una catastrofe umana ed economica per tutti, ma adesso che il momento più buio sembra allontanarsi ci troviamo di fronte a una di quelle opportunità epocali che capitano una sola volta nella vita. Arriverà una quantità di denaro inimmaginabile che, per fortuna, non sarà distribuita a pioggia ma solo per finanziare progetti specifici di modernizzazione del paese.
Come è noto, non siamo degli assi nella progettazione, nella realizzazione e nell’esecuzione di progetti di interesse pubblico finanziati dall’Europa, tanto che ogni anno, a causa delle croniche inefficienze del nostro sistema, riusciamo nell’impresa di non spendere miliardi di euro a nostra disposizione.
Ma questa volta non possiamo sbagliare. Non è una questione burocratica. È una questione politica. Dobbiamo pretendere di conoscere fin da adesso quali sono i piani di intervento, dove vogliamo impiegare questo denaro e per fare che cosa. Dobbiamo sapere chi se ne sta occupando, conoscere il loro curriculum, reclamare standard superiori a quelli di aver frequentato le scuole basse con Di Maio.
Questa non è una banalità da risolvere al chiuso dei ministeri. Dobbiamo essere in grado di istruire un grande dibattito pubblico per individuare i settori strategici dove intervenire e per indicare gli interventi da realizzare, senza ricorrere a task force o a comitati tecnico-scientifici ma con un grande impegno nazionale della politica, dell’amministrazione e dei media di un paese serio che per una volta si fa trovare pronto.
La sfida è quella di immaginare l’Italia dei prossimi trent’anni con un sforzo intellettuale e collettivo senza precedenti, quella di concepire l’Italia della prossima generazione, la Next Generation Italy, per scegliere che cosa serve al paese, in quali settori e con quale urgenza. Dobbiamo sperimentare e osare, ma anche elencare con i piedi per terra le opere pubbliche, le infrastrutture e le riforme strutturali che ci servono e trovare il modo di innovare il mercato del lavoro, la sanità, l’industria, la manifattura.
Serve, insomma, un maestoso grande piano della nazione, accompagnato però da un adeguato senso di responsabilità e da una classe dirigente all’altezza del compito, cose che oggi sembrano mancare. Proprio per questo, si avvicina la necessità di far entrare gli adulti nelle stanze di Palazzo Chigi per avviare l’opera di ricostruzione del nuovissimo miracolo italiano.