«Un’energica manager bloccata in una relazione in crisi è rapita da un potente boss mafioso che la imprigiona dandole un anno di tempo per innamorarsi di lui».
Per forza è il film più visto su Netflix, mentre noi ci balocchiamo a parlare dei prodotti sofisticati: in una riga e mezza di sinossi si capisce tutto, di 365 giorni.
Anni fa venne fuori che il prodotto Netflix più visto in tutto il mondo era Las chicas del cable, una serie ambientata negli anni 20 del secolo scorso nei centralini della prima compagnia telefonica spagnola. Mentre noi ci sentivamo sofisticati a parlare di Sense8, poi chiusa per mancanza di spettatori, il pubblico di tutto il mondo voleva vedere le centraliniste in abiti d’epoca che spettegolano.
Adesso è uguale: noi nella nostra bolla a destrutturare Spike Lee, e il pubblico di tutto il mondo che guarda il 50 sfumature polacco in cui lui è un boss di Lampedusa che rapisce lei e le dà un anno per innamorarsi di lui perché lei è identica spiccicata a una visione che lui ha avuto mentre il clan rivale gli ammazzava il padre.
(Certo, i numeri di Netflix sono autocertificati e non verificati e nessuna persona seria li prenderebbe sul serio, ma nessuna persona sensata può dubitare che questo sia il loro prodotto più appetibile dell’anno, anzi facciamo dalla fondazione a oggi).
50 sfumature è il marchio più frainteso nella storia dell’editoria. È una trilogia che ha venduto fantastiliardi di copie, abbastanza da far ritenere sensata la stima che tutti l’abbiano letta; tutti, tranne quelli che ne scrivono. Solo non avendola mai letta si può, come si continua a fare da anni, descriverla come il trionfo del sesso sadomaso.
Tanto per cominciare, nel primo volume non si scopa mai. E anche dopo, di fronte ai moduli in cui dovrebbe acconsentire a ogni dettaglio di certe pratiche, Anastasia ne approva talmente poche che quel che resta a Christian Grey è perlopiù vaniglia (vanilla è il modo in cui quelli cui non piace dire «normale» chiamano il sesso normale, quello che facevano i nostri genitori, o almeno quelli con meno grilli per la testa tra i nostri genitori).
50 sfumature non è Histoire d’O, è un incrocio di fiabe: Biancaneve che redime Barbablù. Lui crede di volerle frustare, ma è solo perché non gli hanno voluto bene da piccolo, lei lo capisce e lo addomestica, e vivono per sempre felici e contenti con al massimo delle manette di pelo rosa di quelle che si regalano negli addii al nubilato.
Nei primi anni del fenomeno-Sfumature, uscivano emuli a dozzine. Nessuno ha avuto successo, e per forza: quelli che ho sfogliato erano tutti concentrati sul sesso, invece che sul maschio che sembra cattivo ma ha solo avuto un’infanzia difficile e ogni suo gesto implora «Addomesticami».
Anche 365 giorni punta sul sesso; al decimo minuto i due non si sono ancora incontrati, ma il montaggio parallelo ce li mostra già lei in Polonia abbrancata a un vibratore (è in crisi col fidanzato), e lui su un aereo privato intento a mordere una cappelliera mentre una hostess è in ginocchio.
E anche il suo Barbablù in fondo è un buono: un boss che rifiuta di trafficare in bambini come Vito Corleone rifiutava di vendere droga (prendiamo nota: la soglia dell’etica mafiosa è passata, dal Padrino a oggi, dalla droga alla schiavitù).
Tuttavia, più che 50 sfumature, 365 giorni sembra una serie di esterne di Temptation Island (o di Uomini e donne, matrice di tutta quest’estetica): più masserie che in un film di Ozpetek, una Roma in cui tutti i bar sono vista Colosseo, lui con le mani tatuate, lei con lo smalto color sabbia (il dettaglio che fa sentire eleganti le tamarre).
E al massimo si vede un capezzolo. Nel molto meno patinato (anzi: determinato a essere disturbante) MotherFatherSon, produzione Bbc in onda su Sky Atlantic, alla prima puntata c’è già il nudo frontale maschile: non sanno cosa sia l’arte della tensione sessuale, gli inglesi.
I polacchi, invece.
Per non farci venire il dubbio che l’«energica manager» sia una vittima (l’ha pur sempre rapita, il capomafia tatuato che siccome l’ha vista in un’allucinazione la ritiene sua) o un’ancella del patriarcato (è pur sempre una che si lascia comprare vestiti e non sembra troppo dispiaciuta di vivere in resort a sei stelle), l’hanno fatta sfrontata. Una che, quando lo vede nudo sotto la doccia, lo fissa così a lungo da fargli chiedere «Vuoi qualcosa da me o stai solo guardando?» (lui è uno scaldamutande professionista, la metà delle scene consistono in lui che è lì lì per farsela – e lei ha l’aria di non vedere l’ora – ma poi si tira indietro, non si sa se per farla ammattire o perché sapevano che il film sarebbe uscito in un periodo sensibile alla questione del consenso, e farsi una che hai incatenato al letto e non può sottrarsi è una cosa che l’opinione pubblica non può più accettare neanche come fantasia da prodotto porno-soft).
La ragione per cui lei lo vede sotto la doccia è che la doccia è aperta. Sono lontani i tempi di Nove settimane e mezzo, la fantasia porno-soft della nostra giovinezza, in cui l’idea di ricchezza di Mickey Rourke era portare Kim Basinger nelle trattorie a gestione familiare (in cui erano avvenuti famosi delitti di mafia: sempre lì si torna, spero qualcuno stia già lavorando a un saggio sui legami tra mafia e soft-core). L’idea di ricchezza dei 365 giorni polacchi è che ci siano cose di cui si preoccupano solo i poveri. Cose come allagare il bagno. I poveri di conti correnti e di spirito, noialtri col box-doccia, che asciughiamo bene tutto e poi corriamo a guardare un film socialmente presentabile.