A nessuna – neppure alle più determinate a ribadire la posizione di debolezza delle donne e come sia riduttivo e patriarcale titolare sulla Thurnberg chiamandola «Greta» o sulla Rackete chiamandola «Carola» – verrebbe in mente d’assegnare a Eleonora Andreatta una posizione di debolezza. Neppure quando persino il comunicato ufficiale con cui la Rai annuncia la sua uscita dall’azienda la chiama «Tinny».
Eleonora Andreatta – che questo articolo si rifiuta di chiamare coi nomignoli d’infanzia, a costo di venire punito dall’indicizzazione di Google – è stata, lunedì mattina, la risposta alla domanda con cui ci eravamo addormentate domenica sera.
Domenica sera il governo ha fatto sapere che avrebbe dato alle donne aspiranti dirigenti d’azienda un voucher di cinquecento euro non per pagarsi il parrucchiere (che dovrebbe essere detraibile dalle tasse, altro che gli assorbenti: fate le battaglie serie invece che quelle d’immagine, perdinci), ma per un master in business administration.
I commenti sui social erano indignati, giacché si porta molto la convinzione che le donne siano già più preparate degli uomini, ma ingiustamente discriminate. Se a quel punto chiedete (provateci, io ci gioco da anni, è un passatempo che non smette mai d’intrattenermi) un nome d’una donna che abbia fatto meno carriera di quanto merita, la risposta non è mai un nome femminile; è sempre: eh, ma sai quanti maschi mediocri ci sono al comando, perché solo le donne devono essere eccellenti?
Ottimo, ma quindi – scusate se applico il principio di non contraddizione – non stiamo dicendo che ci sono donne eccellenti che stanno a casa a fare il punto croce perché il mercato del lavoro rifiuta il loro avere una vagina; non stiamo dicendo che esistono i geni incompresi e le fatine dei dentini; stiamo dicendo che vogliamo che le più mediocri di noi siano premiate molto oltre i loro meriti.
Alle donne, strepitavamo domenica sera, non servono maggiori qualifiche, ma aziende obbligate ad assumerle perché una donna capace non ha comunque speranze sul libero mercato, in quanto donna.
Abbiamo lanciato lì questa corbelleria, sono passate dodici ore o forse quindici, e il libero mercato ha risposto col comunicato di Netflix: la Andreatta, già capo della fiction Rai (200 milioni di budget annuale), va a comandare le produzioni italiane di Netflix (30 milioni di budget annuale).
È perché è una donna e servivano quote da riempire? Ebbene no: è perché è capace. In un vecchio film di Salvatores, “Turné”, un impresario teatrale diceva che avrebbe potuto sostituire un attore con un caratteraccio: «C’è la fila fuori»; il personaggio di Abatantuono gli rispondeva: «No: c’è la fila di quelli che non sono capaci. Quelli capaci la fila non la fanno». Vale anche per le donne – o pensavate fossimo speciali?
Quelle capaci la fila non la fanno, e neanche hanno bisogno dell’elemosina del master. Andreatta è forse l’unica dirigente televisiva di cui tutti – anche quelli che la detestano, specialmente quelli che la detestano – riconoscano le capacità professionali.
D’altra parte è quella che – pur con tutti i limiti del fare la fiction del servizio pubblico: quella che non deve spaventare i nostri parenti anziani nelle remote province, quella che se in una battuta del copione un attore dice che non gli piace la birra ci sono rimostranze perché la tv di stato ha danneggiato i produttori di birra, quella che ritiene più morale far partorire una sedicenne che farla abortire – è riuscita a dare un respiro un po’ più internazionale ai prodotti Rai con accorgimenti anche minimi.
Quando è arrivata lei, le fiction di Rai 1 erano tagliate sull’interminabilità delle nostre prime serate (che finiscono dopo le undici: una specialità locale come gli spaghetti al dente e il parcheggio in doppia fila); una puntata durava novanta minuti, ed era quindi invendibile all’estero. Non è che, sotto la Andreatta, RaiFiction si sia messa a produrre I Soprano (che comunque verrebbero visti assai meno di Don Matteo), ma ha cominciato a fare teleromanzi con puntate da 50 minuti, un taglio esportabile. Magari, sotto di lei, Netflix Italia comincerà a fare roba meno brutta.
Certo, il confronto aiuta, e non sto parlando delle produzioni viste fin qui di Netflix Italia (ci vuol poco a far meglio) né del fatto che nel 2012, quando prese il comando di RaiFiction, Eleonora Andreatta sostituiva Fabrizio Del Noce: «Ma tu ce le hai presenti le signore con lo scialletto che fanno le story editor in Rai? Tinny in confronto è un genio», mi ha detto ieri una delle migliaia di persone che la nomignolano, senza che il nomignolo le levi un’oncia d’autorevolezza (d’altra parte i giornali hanno titolato per decenni su “Silvio” o su “Matteo”, e a nessuno è mai venuto in mente d’ipotizzare che fosse perché erano soggetti deboli cui si mancava agevolmente di rispetto).
Ieri sui social girava uno scudocrociato che, al posto della scritta DC, aveva quella Netflix. La grande domanda è: chi glielo fa fare a una democristiana (Eleonora è figlia di Beniamino, tra gli anni ‘80 e i ‘90 deputato, titolare di vari ministeri, maestro di Romano Prodi; suo fratello è Filippo, che una quindicina di anni fa sembrava dovesse essere il futuro del centrosinistra, e poi è scomparso dalla scena politica: gli amici del padre dicono «Filippo apre mille parentesi e non ne chiude nessuna») di lasciare un’istituzione come la Rai per una bolla come Netflix?
I soldi, certo: la Rai ha ridicolmente aderito a quello spirito del tempo per cui non bisogna liberarsi degli incapaci ma pagarli poco, pagando poco anche i capaci, e ha messo un tetto ai compensi (Corrado Guzzanti direbbe: allora ditelo che rivolete il comunismo); se un dirigente televisivo è capace, è difficile che una multinazionale non gli offra il triplo di quei duecentoquarantamila euro lordi l’anno che sono lo stipendio massimo nella televisione pubblica.
Oltre a uno stipendio proporzionato al valore di mercato, Netflix offre un profilo internazionale: per quanto con una frazione del budget Rai da spendere, la Andreatta produrrà serie e film visti in tutto il mondo, e questo le permetterà di arrivare, un domani, da ancora più qualificata a quello che nessuno dubita sia il suo ruolo naturale. Amministratore delegato della Rai.
Qualche settimana fa, quando i giornali scrivevano che ad andare a Netflix sarebbe stato Fabrizio Salini, attuale ad Rai, il Partito democratico – che non ha ancora imparato che i posti di potere non vanno mai ai nomi preannunciati dai giornali – faceva sapere che la sua candidata per sostituirlo era Eleonora Andreatta. Non ancora, ma quel posto è suo, non appena si sarà stufata di Netflix. E ci arriverà senza i cinquecento euro di contributo statale.