Abbagli della storiaPerché i manifestanti se la prendono con Cristoforo Colombo, che fu oppressore ma anche vittima

Sulla scorta delle stesse polemiche contro il Columbus Day, durante le proteste per la morte di George Floyd è stata decapitata una statua del marinaio genovese, colpevole del genocidio degli indios. La questione, in realtà, è molto più complessa

Rappresenta il genocidio, le invasioni, la supremazia bianca. E così anche la statua di Cristoforo Colombo, il marinaio genovese che scoprì l’America, viene decapitata in mezzo alle proteste.

È successo mercoledì 10 giugno a Boston, in Massachusetts, un’azione di solidarietà nei confronti delle popolazioni indigene, le prime vittime della conquista spagnola e portoghese del XV secolo.

Un’azione ripetuta anche a Richmond, in Virginia, dove invece il monumento è stato abbattuto e gettato in un laghetto.

Non è una novità: nel 2017 a Baltimora fu preso a martellate un obelisco del 1792 e dedicato proprio a lui e nello stesso anno anche il monumento a Manhattan è stato dipinto di rosso (alle mani, per indicare i crimini di cui si era macchiato).

Da tempo il Columbus Day, cioè la celebrazione che avviene in molti Stati delle Americhe del giorno della scoperta, è stato oggetto di contestazione. Alcuni lo hanno cancellato, altri lo hanno sostituito con una festività dedicata agli indigeni.

Cristoforo Colombo, nonostante tutto, continua a essere una figura che divide. E, come spiega la studiosa Gabriella Airaldi, che ha scritto molti libri su di lui – tra cui “Colombo: da Genova al nuovo mondo”, per Salerno editore – è una questione che va avanti da 500 anni.

«Le prime contestazioni anti-Colombo risalgono al XVI secolo», spiega. «Provengono in particolare dai Paesi dell’area protestante dell’Europa, preoccupati dall’espansionismo spagnolo e portoghese».

Una vera e propria campagna ideologica, motivata più che altro da interessi commerciali, che solleva obiezioni contro la legittimità delle conquiste al di là dell’Atlantico.

«A questa va aggiunta anche la fredda accoglienza che Colombo riceverà in patria, cioè in Spagna, al suo ritorno». Il navigatore, che diventa anche viceré dei nuovi regni e punta a mantenere il controllo delle ricchezze di quei territori finisce al centro delle polemiche – soprattutto da parte dei regnanti – che intendono impadronirsi di quei tesori.

«Per questo subirà un processo e verrà espropriato del controllo di quelle terre, anche se questo non significa che finirà in povertà».

Questo doppio aspetto continuerà a segnare la sua figura. Da un lato, sarà lo scopritore di nuove terre, il personaggio storico protagonista di uno degli eventi più importanti dell’umanità, ma anche il responsabile di uccisioni, genocidi e repressioni ferocissime.

Dall’altro, è anche lui una vittima, perseguitato dalla corona spagnola, infastidita dalle sue pretese.

Questa seconda chiave avrà successo sopratutto «con il Risorgimento, in cui appare come un eroe romantico, un avventuriero oppresso dall’ingiustizia».

Operazione del resto «incoraggiata dalla rivalutazione avvenuta qualche decennio prima nei neonati Stati Uniti d’America, dove viene ricordato in pompa magna nel 1792», come celebrazione di uno spirito indomito, coraggioso, che «simboleggiava anche il legame con il Vecchio Mondo che si apriva alla novità».

Nell’America del Sud ci sarà la Gran Colombia, che comprendeva anche Panama e Venezuela (oltre a territori del Costa Rica, del Brasile e della Guyana) voluta da Simon Bolívar e nominata proprio in onore dello scopritore genovese.

Insomma, non è sempre stata una figura lineare. Al contrario, a seconda delle ideologie, delle simbologie e degli interessi dell’epoca diventava un eroe o un persecutore, una vittima o, come di recente, un genocida. Senza – come ovvio – togliere nulla sui meriti oggettivi della sua scoperta.

«Tra 1800 e 1900», aggiunge, «vengono diffusi i suoi scritti. Erano già noti, ma a pochissimi. In questo modo si comincia a conoscere meglio il suo pensiero e le sue azioni.

E il fatto che un marinaio scrivesse era già una novità», compresi i comportamenti tirannici, spesso crudeli, con cui aveva amministrato le terre appena conquistate (uccisioni, punizioni corporali severe, carneficine al medesimo livello dei conquistadores successivi).

Ciò non toglie «che in tanti, ancora oggi, si contendono la sua nazionalità. Fu catalano? Spagnolo? Alcuni sostengono che venisse dalla Scozia. Altri dalla Corsica. La verità è che fu genovese, imparò l’arte della navigazione lì, e poi andò nella penisola iberica».

Prima in Portogallo, poi in Spagna. «Lo si vede anche dallo strano impasto linguistico con cui scrive: castigliano, con termini portoghesi e qualche traccia di dialetto ligure». Riuscì «a scalare la società dell’epoca, cosa che per molti studiosi appare impossibile ma è soltanto un ulteriore segno della sua intraprendenza» e della mobilità, nuova, dei tempi che si stavano aprendo.

Ultimo uomo del Medioevo, primo uomo dell’Età Moderna. Ambiguo su tutti i fronti e, proprio per questo, buono e cattivo insieme. Crudele e oppresso, eroico e tirannico. «Un personaggio interessante», la cui statua, oggi, rotola in acqua.

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