Delle 18 forze politiche che ad oggi hanno presentato le liste per le elezioni politiche, fissate per il prossimo 21 giugno, solo due, stando ai sondaggi dell’opinione pubblica, possono contare con assoluta certezza sul fatto di riuscire a superare la soglia di sbarramento del 3%.
Si tratta della lista del Partito progressista serbo (Sns), attualmente al governo, denominata “Aleksandar Vučić – Za našu decu” [Aleksandar Vučić – Per i nostri figli], e della lista presentata dalla coalizione formata dal Partito socialista serbo (SPS) e dal partito Serbia Unita (JS), denominata “Ivica Dačić – SPS – JS – Dragan Marković Palma”.
Nel nuovo parlamento sicuramente entreranno anche i principali partiti delle minoranze nazionali, per i quali valgono regole particolari, compresa l’attribuzione dei seggi secondo il metodo proporzionale.
Tra le restanti liste in lizza, ad avere maggiori probabilità di superare la soglia di sbarramento del 3% – sempre secondo i sondaggi – sono la lista “Pobeda za Srbiju” [Una vittoria per la Serbia], guidata dal presidente del municipio di Novi Beograd Aleksandar Šapić, e la lista dell’ultranazionalista Partito radicale serbo (SRS), guidato da Vojislav Šešelj, condannato dal Tribunale dell’Aja.
Anche gli altri partiti e coalizioni che hanno presentato le liste potrebbero entrare in parlamento, ma in questo momento sono quotati peggio delle due sue liste di cui sopra.
Si tratta di formazioni politiche molto variegate, dal movimento “Zavetnici” [guerrieri] di orientamento clericale e nazionalista, al Movimento dei cittadini liberi (Psg) e altri partiti e coalizioni di orientamento liberale e filoeuropeo.
Non vi è alcun dubbio che le liste guidate dai due principali partiti attualmente al governo (SNS e SPS) otterranno più della metà dei 250 seggi parlamentari, e hanno reali possibilità di conquistare addirittura la maggioranza dei due terzi, il che praticamente significa che dopo le prossime elezioni i rapporti di forza all’interno del parlamento serbo non cambieranno dal momento che l’SNS e l’SPS hanno la maggioranza assoluta dei seggi anche nell’attuale parlamento.
Gli altri partiti che supereranno la soglia del 3% potranno solo criticare l’operato del governo, ma non avranno alcuna possibilità incidere su di esso in maniera significativa.
Così ha funzionato il parlamento serbo anche nella legislatura che sta per concludersi, motivo per cui l’anno scorso alcune forze di opposizione hanno deciso di boicottare il lavoro del parlamento, accusando la coalizione di governo di ignorare le regole democratiche e di voler mettere a tacere l’opposizione.
Contemporaneamente alla decisione di boicottare il parlamento, le forze di opposizione hanno annunciato anche di voler boicottare le prossime elezioni politiche, e la maggior parte di partiti e movimenti extraparlamentari ha deciso di unirsi all’iniziativa di boicottaggio elettorale.
Tuttavia, questo variegato gruppo di forze politiche non è riuscito a rimanere unito e a definire una piattaforma chiara e realizzabile, per cui l’idea di creare un grande “raggruppamento di boicottatori” è definitivamente tramontata.
Nel frattempo infatti alcuni partiti di opposizione hanno deciso di presentarsi alle elezioni, mentre altri persistono nel boicottaggio.
La coalizione di governo – che controlla sia la maggior parte dei media serbi che i flussi di denaro pubblico – probabilmente vincerebbe le prossime elezioni anche se l’opposizione fosse in grado di creare un potente fronte comune, ma in questo secondo scenario i rapporti di forza sulla scena politica serba sarebbero ben diversi da quelli che, secondo stime attuali, emergeranno dalle imminenti elezioni.
Campagna elettorale
La macchina propagandistica della coalizione di governo, esercitando un forte controllo sui media mainstream, ha abilmente approfittato dei disaccordi interni all’opposizione.
La leadership al potere ha focalizzato la propria campagna elettorale sullo scontro tra due correnti dell’opposizione (“i boicottatori” e quelli che si oppongono al boicottaggio), invece di confrontarsi con l’opposizione sulle principali questioni politiche ed economiche.
D’altra parte, nei mesi scorsi nemmeno i partiti di opposizione si sono sforzati più di tanto di mettere in primo piano le questioni politiche di rilievo e alcuni problemi pressanti come il drammatico deterioramento dello stato di diritto, le pressioni esercitate sui media e il susseguirsi di grandi scandali di corruzione, spendendo troppo tempo nei tentativi di “ricomporsi” e nelle discussioni sull’utilità o meno del boicottaggio.
Un episodio accaduto una decina di giorni fa nel centro di Belgrado ben illustra questa situazione. Sergej Trifunović, leader del Movimento dei cittadini liberi, è stato aggredito mentre raccoglieva sottoscrizioni a sostegno della lista del suo partito per le prossime elezioni.
Trifunović è stato avvicinato da un uomo che lo ha accusato di essere un traditore per aver rinunciato all’idea di boicottare le elezioni.
I due hanno cominciato a litigare e la polemica è sfociata in tafferugli, ma – come dimostrano alcuni video pubblicati sui social network – gli agenti di polizia che si trovavano sul posto si sono dileguati senza intervenire.
I tabloid e i media mainstream hanno approfittato dell’incidente per porre ancora una volta l’accento sullo scontro in seno all’opposizione, parlandone sulle prime pagine. Nel frattempo, le autorità hanno aperto un’indagine sull’episodio.
Il presidente Vučić ha contribuito ad acuire lo scontro tra le forze di opposizione, prendendo apertamente le difese di Trifunović e affermando di credere che il Movimento dei cittadini liberi riuscirà a superare la soglia del 3% ed entrare in parlamento.
Questa affermazione di Vučić, come atteso, è stata interpretata dai ferventi sostenitori del boicottaggio come l’ennesima prova dell’esistenza di un’intesa tra Trifunović e la leadership al potere, dopodiché lo scontro sul boicottaggio si è ulteriormente infiammato.
Episodi come questo distolgono l’attenzione dell’opinione pubblica dalle principali questioni politiche ed economiche e dagli scandali che vedono coinvolti alcuni funzionari della coalizione al governo, ponendo in primo piano lo scontro all’interno dell’opposizione.
Allo stesso tempo, la leadership al potere sta conducendo una tipica campagna elettorale focalizzata sulla figura di Vučić e su altri funzionari statali, che quasi ogni giorno inaugurano i lavori per la realizzazione di nuove strutture, percorrono città e villaggi, promettono di costruire nuove strade, ecc.
Anche negli spot elettorali tutta l’attenzione è posta sulla figura di Vučić, nonostante si tratti di elezioni politiche e amministrative, e non di quelle presidenziali.
La leadership al potere ha scelto questa strategia perché Vučić è indubbiamente molto più popolare del suo partito. I media filogovernativi, ma anche alcuni funzionari statali e membri della coalizione di governo continuano a porre l’accento sui presunti enormi successi economici della Serbia e sul fatto che il merito di questi successi sarebbe da attribuire al presidente Vučić, mentre dalle fila dell’opposizione arrivano commenti secondo cui si assisterebbe al tentativo, da parte dell’élite al potere, di creare un culto della personalità.
Kosovo
Vučić si sforza attentamente di non parlare troppo delle relazioni tra Serbia e Kosovo e di non fare promesse ottimistiche sul raggiungimento di un accordo bilaterale. La scorsa settimana, quindi in piena campagna elettorale, Vučić ha fatto sapere che senza una normalizzazione dei rapporti con il Kosovo, la Serbia non avrà un futuro europeo e non potrà aderire all’Unione europea, aggiungendo che, nonostante tutto, la Serbia proseguirà sulla strada dell’integrazione europea.
Quindi, Vučić non ha usato l’espressione «riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo», ma ciononostante la sua affermazione può essere interpretata come una sorta di annuncio dei passi che dovranno essere compiuti dopo le elezioni del 21 giugno, compreso un accordo con il Kosovo che godrebbe dell’appoggio di Bruxelles e Washington.
Vučić ha pronunciato l’affermazione di cui sopra quasi en passant durante una trasmissione televisiva, e il conduttore della trasmissione non gli ha fatto ulteriori domande sul Kosovo. Il presidente ha messo in chiaro che la Serbia non abbandonerà la strada europea, il che significa che non mette in discussione la possibilità di risolvere la questione del Kosovo basandosi sui principi promossi dall’Ue.
Vučić ha affermato che la soluzione della crisi kosovara dipenderà sempre di più dall’esito dello scontro tra l’Ue e gli Stati Uniti su questo tema. «[Se mi state chiedendo] se sono molto ottimista su una soluzione [veloce], vi dico che non lo sono, ma parteciperemo ai negoziati», ha dichiarato Vučić.
Dal momento che il presidente non ha fornito ulteriori spiegazioni in merito alle soluzioni di cui si sta discutendo, né tanto meno ha insistito sul fatto che non farà ulteriori concessioni nei confronti di Pristina, l’opinione pubblica serba ha interpretato l’affermazione di Vučić come parte integrante del suo tentativo di proseguire sulla strada europea e, al contempo, mantenere il Kosovo.
Questo obiettivo, ovviamente, è impossibile da realizzare, ma si presta bene ad essere sfruttato durante la campagna elettorale.
Bruxelles e Washington potrebbero interpretare l’affermazione di Vučić come un segnale della sua prontezza a collaborare alla risoluzione della questione del Kosovo, mentre l’opinione pubblica serba, e in particolare i sostenitori della coalizione al governo, è indotta a pensare che la soluzione della questione del Kosovo non dipenda dalla leadership serba, bensì dalle potenze mondiali.
Quindi, se dovesse essere raggiunto un accordo sfavorevole per la Serbia, molti cittadini serbi ne riterranno colpevoli l’Ue e gli Stati Uniti, e non l’attuale leadership di Belgrado.
La maggior parte dell’elettorato serbo è di orientamento nazionalista e non guarda con entusiasmo alle concessioni nei confronti di Pristina, ma ciononostante l’annuncio di un imminente accordo con il Kosovo non inciderà negativamente sulla popolarità di Vučić.
Le forze di opposizione che potrebbero sfruttare la situazione per incalzare la posizione della leadership al potere sono molto deboli e non hanno alcuna possibilità di apparire sui media mainstream per rivolgersi agli elettori.
Gli elettori serbi che non sono favorevoli all’idea di ulteriori concessioni nei confronti di Pristina sono, al contempo, consapevoli del fatto che Belgrado non può dettare le regole del gioco né imporre soluzioni, per cui potrebbero essere spinti a non votare più per l’attuale leadership al potere solo se l’opposizione riuscisse a lanciare una solida campagna contro il regime.
Ma in questo momento gli oppositori di Vučić non hanno alcuna possibilità di riuscire in tale impresa, e probabilmente non l’avranno nemmeno nel prossimo futuro.