Piazza pulitaEvviva l’estate che porta via con sé i talk show

È una grande occasione per la politica, per l’intelligenza e la conoscenza. Finalmente per un po' non saremo costretti a guardare gli emuli (senza confessarlo) di Bruno Vespa, che ormai se ne sta in disparte, con l’aria un po’ scocciata di chi un tempo era solo e ora ha più imitatori della Settimana enigmistica

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Arriva l’estate calda e chiudono quasi tutti i talk show tv.  È una grande occasione per la politica, per l’intelligenza e la conoscenza. Profittiamone almeno per mettere a riposo le emozioni di cui questi spettacoli si nutrono.

Il successo del format, si sa, è il basso costo. Ora, con il virus, non devi neanche mandare l’auto ad accompagnare gli ospiti in studio. Si parla dal tinello di casa, con alle spalle la prova rivelatrice del tuo gusto personale, prevalentemente horror. Si vede di tutto: reperti di viaggi esotici, maioliche, foto dei nonni, corna di cervo, vetrinette-catafalco che forse ospitavano il rosolio da offrire agli ospiti della zia, ma prevalgono i libri.

Chi non si aspetta nulla dal dibattito ha una possibilità: aguzzare la vista e cercare di capire di quali libri si tratta. In genere enciclopedie e collane acquistate chissà quando da un venditore con la scarpa robusta, di quelle che impediscono alla porta di chiudersi. Molte guide turistiche, abbondanti edizioni di dipinti pubblicate da Banche che un tempo omaggiavano così i clienti a Natale.

Insomma, l’Italia media, quella delle buone e sane abitudini casalinghe, con in primo piano, ma abbastanza sfuocato, il virologo di moda, il politico formatosi in provincia (e si vede) e quello improvvisato, che non ha fatto a tempo a cambiare il poster con la spiaggia tropicale.

Quanto alle modalità della trasmissione, va sempre forte la rissa, con i picchi di ascolto se si trascende sul piano personale, quello che non c’entra con il merito delle questioni. Ingrediente fisso, anche per questo, Vittorio Sgarbi, che peraltro offre sfondi meno inquietanti di quelli tenebrosi di uno Scanzi, perché colloca sé stesso tra le opere d’arte e, finché non sbotta a comando, dice cose almeno non banali.

Il lessico da talk show ha una regola precisa: occorre incisività, gli ospiti sono scelti per capacità polemica, non certo per la dottrina di cui sono eventuali portatori. Altrimenti annoiano e vengono imbavagliati dal primo con la voce più tonante. O dalla conduttrice perennemente in ansia da prestazione e cerca sempre la notizia come se fosse un tg, tipo Veronica Gentili, che pare sopravviverà all’estate.

La sospensione della pena talk show dovrebbe sicuramente far bene alla politica. Ogni tanto un bel “ragionamento” alla Ciriaco de Mita sarebbe un toccasana, tra tanti slogan confezionati come un tweet, il linguaggio scarno e un po’ idiota che ha fatto la fortuna di un Trump. 

Lilli Gruber appartiene con Floris e Formigli alla triade dei professionisti più abili e guardabili. È bravissima quando raccoglie l’ultima frase assertiva dell’ospite e la trasforma in domanda inquisitoria al malcapitato interlocutore successivo. Tocca a lui cavarsela, e non tutti ci riescono. È la suspence di 8 e mezzo.

Floris ha una linea politica difficile da seguire, perché spesso contraddittoria (e infatti quando l’intervistato è lui le idee sembrano più nette) ma porta il peccato originale di aver accettato il veto – poi condiviso da tutte le TV – di non far incontrare in contraddittorio contemporaneo due leader politici. Accettò il ricatto di Casalino e da allora addio confronti veri. 

Tecnicamente straordinario nei suoi riassunti intelligenti di quanto è stato detto da chi ha appena parlato, apparentemente incalzante nelle interviste, anche se per lui sembra più importante il ritmo che la cattiveria delle domande. Inaccettabile l’uso a comando del pubblico plaudente capace di apprezzare tutto e il contrario di tutto nello spazio di un minuto. Imperdonabile però nella veste di talent scout

Si deve a Floris la scoperta di personaggi che hanno fatto una incredibile carriera politica, provenendo da un anonimato totale. L’elenco è lungo e tendente al basso. Scovò la Boldrini tra i rifugiati e la portò alla presidenza della Camera, la Polverini in un sindacato di destra (serviva per riequilibrare il solito Landini) e la portò addirittura alla Presidenza della Regione Lazio, e ultimamente ha impreziosito il Parlamento europeo di due personaggi a dir poco ineffabili, entrambi eletti trionfalmente nella Lega ma presentati da Floris come esperti di settore.

La sempre imbronciata, ma secondo Sgarbi molto sexy, Francesca Donato, che nel sottopancia veniva presentata come esponente di un’associazione No euro composta da lei, il marito e il commercialista. E infine un pezzo unico: Antonio Maria Rinaldi, sedicente alter ego addirittura di Paolo Savona, professore di economia indipendente fino a quando non ha potuto inalberare il Carroccio all’occhiello. Una capacità mimica straordinaria, da film scollacciato degli anni ’70.

Il più bravo in assoluto è certamente il conduttore di Piazza pulita, Corrado Formigli, quello che meglio di tutti sa tenere in mano la discussione senza farla trascendere, contiene i partecipanti senza aizzare il pubblico e fa giornalismo, non spettacolo.

L’opposto assoluto di Mario Giordano, capace di trasformarsi in un esagitato interprete del demone che più fa male a una democrazia liberale: l’indignazione. Indignato permanente, solo un po’ seccato se c’è una pandemia che rimette in fila le vere priorità e rende ridicole certe sceneggiate, Giordano è partito dal modello Paragone, quello della Gabbia, ora in politica. Ma Paragone aveva una sua coerenza. Trucida e pericolosa, se vogliamo, ma assolutamente ferma nel condannare il tutto, senza distinzioni e senza fermarsi ai confini di partito.

Anche la Lega era da criticare aspramente se aveva condiscendenza di sistema (ma della lottizzazione leghista in Rai profittò bassamente). Giordano no, ha i suoi limiti editoriali da rispettare. Il suo bersaglio sono i casi estremi, anche se talmente estremi da essere unici. Finge di prendersela con i potenti, ma li sceglie accuratamente tra quelli che non possono difendersi.

Caso diverso quello di Del Debbio. Certamente deve essere stato contaminato dall’effetto “io la vedo sempre in tv, con mio marito non ci perdiamo una puntata”. Ogni volta che lo si vede compiacere una protesta di piazza, o arrabbiarsi per un caso di ingiustizia emerso da una ricerca accanita di casi umani in genere senza soluzione, vien da chiedersi come possa trasformarsi così un intellettuale puro che viene dalle biblioteche e dagli studi. Effetti della popolarità tv.

C’è poi la categoria dei finti concilianti, che gongolano se c’è scontro ma tengono molto alla reputazione di equanimità. Principessa di questa categoria Myrta Merlino, che assume spesso toni di ostentato buon senso, influenzata forse dal pubblico più tranquillo della fine mattinata televisiva. Tradisce favoritismi per alcuni ospiti fissi (Domenico De Masi e Chicco Testa, Emiliano), ma chi non lo fa?

Nicola Porro stravede per la sicumera psuedo liberale di un Capezzone e amoreggia persino con l’illiberale estremismo di un Mario Giordano, contraddicendo così il suo stile volutamente soft, non barricadero, che piace tanto alle mamme in ascolto. La Berlinguer ha un debole per lo smanicato Corona con accenti spesso di intrigante e trasgressiva sensualità. Mentre la Gruber non nasconde di adorare a prescindere le opinioniste donna semplicemente perché donne e tra gli uomini stravede per Cacciari.

Tutti emuli senza confessarlo del principe dei talk Bruno Vespa, che ormai se ne sta in disparte, con l’aria un po’ scocciata di chi un tempo era solo e ora ha più imitatori della Settimana enigmistica. Si accontenta di cercare dei veri scoop, ma il materiale di questi tempi è scarso, e non è nel suo stile scavare tra le trascrizioni dei trojan. 

Sarà per questo che se ne sta sdegnato nelle nuvole notturne della terza serata, quando quelli della prima e della seconda hanno ormai sfinito i telespettatori.

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