Non c’è voluta una riforma o un decreto per stravolgere l’organizzazione del lavoro. C’è voluta una pandemia globale. Una tempesta che ha spazzato via all’improvviso scrivanie, sale riunioni, timbri, badge e cartellini. E anche tanti posti di lavoro. Anche quelli del «ci provo, ma non so se ci riesco» alla fine ci sono riusciti, abituandosi alle riunioni su Zoom e Teams e alle chat su Slack. Anche gli scettici hanno cominciato a pronunciare parole come smart working e webinar.
Il Covid-19 non è stato una guerra, come tanti l’hanno definito. È stato uno «stress test», come lo chiama Andrea Malacrida, country manager del Gruppo Adecco. Non ci sono stati bombardamenti e case rase al suolo. Anzi, le case – grandi o piccole, belle o brutte – sono state il posto più sicuro contro il nemico. Molti hanno chiuso la porta di casa e hanno continuato a lavorare. Molti altri sono rimasti a casa senza un lavoro. E molti altri ancora hanno continuato a lavorare là fuori, nel mondo in cui dominava il virus. Quel Covid-19 che ha diviso per sempre i lavoratori tra essenziali e no.
E nella tempesta, l’unica àncora che ha permesso a migliaia di imprese e lavoratori di non farsi spazzare via è stata la tecnologia. La connessione, più o meno veloce, e il computer sono stati il nostro welfare state. I salotti si sono trasformati in uffici, mentre gli ascensori degli uffici si sono fermati per mesi. I tavoli sono diventati scrivanie, mentre le scrivanie si ricoprivano di polvere. Il lavoro ha invaso la vita privata e la vita privata ha invaso il lavoro.
La nuova normalità è diversa da quella cui eravamo abituati. Le concezioni di impresa e lavoro sono cambiate. Gli uffici non saranno più gli stessi. Le città non saranno più le stesse. Alcuni lavoratori non torneranno più dietro la scrivania, altri ci torneranno solo quando servirà. Gli orari non saranno più nove-cinque. E molto probabilmente anche i contratti. E inevitabilmente anche le politiche del lavoro non potranno più essere quelle che abbiamo visto finora.
Ora è arrivato il momento di provare a ridisegnare le mappe. Del lavoro, delle imprese, delle città. Bisognerà imparare. Capire cosa serve e quali competenze dovremo sviluppare. Non basterà la cassa integrazione, serviranno politiche attive.
Difficile dire come sarà il “lavoro che verrà”, ma dalle forme mutevoli che assumerà la ricostruzione del lavoro dopo la tempesta dipenderà gran parte del nostro futuro. Ma per queste ragioni, assieme a The Adecco Group, abbiamo deciso di lanciare un nuovo osservatorio di informazione e dibattito sul mondo del lavoro.
La squadra de Linkiesta, coordinata da Lidia Baratta, apre assieme a TAG, al gruppo leader nel mondo nella costruzione del capitale umano, una finestra sulle imprese e i lavoratori, sulle esigenze del mercato, sulle professioni e sulle competenze più richieste. Un giornale che aggiornerà sulle novità e sugli input del mercato per consentire ai lavoratori e alle aziende di migliorare costantemente formazione e competenze, perché il mondo post Covid sarà soprattutto un progetto comune tra datori di lavoro e dipendenti. E noi saremo qui a raccontarlo.