Le campagne elettorali somigliano molto alle strategie militari e hanno regole, dinamiche, princìpi, sedimentati in secoli e secoli di storia. Non tanto perché farsi eleggere sia una guerra, ma perché la strategia e le valutazioni di una campagna elettorale del 2020 trovano le loro radici in Sun Tzu, Quinto Tullio Cicerone e nelle parole del generale Carl von Clausewitz.
Nasce da qui “I segreti dell’urna: Storie, strategie e passi falsi delle campagne elettorali” (Utet), l’ultimo libro del consulente politico Giovanni Diamanti, co-fondatore di Quorum e YouTrend.
L’analisi di Diamanti mescola due componenti fondamentali: da un lato c’è la sua esperienza personale sul campo – maturata partecipando in vari ruoli in moltissime campagne elettorali, tra Beppe Sala, Dario Nardella, Barack Obama e molti altri; dall’altro ci sono citazioni e documenti sulla comunicazione politica che servono a passare dal particolare al generale per spiegare l’importanza della forza del candidato, del suo messaggio, dell’uso della tecnologia o dei mezzi di comunicazione.
Intervistato da Linkiesta, Diamanti spiega che «il libro ha come chiave di lettura i testi sacri del pensiero strategico militare, e da qui si introducono gli argomenti, poi ho provato a raccontare campagne e strategie elettorali che partivano da princìpi secolari o millenari del pensiero strategico». E così ogni capitolo è un piccolo segmento di comunicazione politica completo di teoria, esempi pratici e analisi.
Uno dei primi obiettivi dell’autore è demistificare la comunicazione politica: gli spin doctor non vincono le campagne elettorali, non da soli almeno. Una buona comunicazione è fondamentale, va studiata e modulata più e più volte, ma poi quando si va alle urne si vota per un candidato, è lui che vince o perde l’elezione: la campagna elettorale è necessaria, non sufficiente.
«È una professione – dice – molto macchiettizzata, spesso veniamo descritti come degli stregoni del consenso. Invece è una professione molto analitica, che io faccio seguendo un metodo scientifico. In un’epoca in cui si dice che Obama vince grazie a Facebook e Trump vince con Cambridge Analytica ci dobbiamo ricordare che questi seguono princìpi che si possono leggere nel nel “Commentariolum Petitionis” di Quinto Tullio Cicerone, quindi non si sono inventati niente, anche se fortunatamente le tecniche si sono enormemente evolute».
Lo stesso discorso si può applicare anche per altri “oracoli” delle campagne elettorali, come i sondaggi: troppo spesso esaltati come se avessero potere predittivo, quando sono una fotografia del presente da analizzare e da cui muovere i passi successivi.
E poi, ancora, l’importanza della personalizzazione della comunicazione politica: le campagne di comunicazione devono essere un abito su misura. Diamanti scrive: «Qualcuno ha mai immaginato Mario Monti vincere alle urne perché si presenta come l’amico di quartiere che ti offre una birra in allegria? Ci vogliono Coerenza e Credibilità».
O l’esigenza di saper giocare con il timing giusto, muoversi in anticipo quando possibile e scegliere il terreno dello scontro anziché farlo scegliere all’avversario, quest’ultimo punto spiegato con uno dei termini di paragone più indovinati: «Solo un pazzo sceglierebbe di sfidare la Royal Navy inglese in mare».
Una campagna elettorale non si gioca solamente sulla vittoria, o almeno non solo sulla vittoria immediata, perché la vittoria non è un mantra. Un concetto che si intuisce più facilmente in sistemi elettorali proporzionali, dove i giudizi su chi siano o meno i vincitori sono spesso soggettivi.
Un concetto che si ritrova nell’organizzazione di una campagna elettorale molto aggressiva, strategia valida soprattutto nelle situazioni di grande svantaggio. L’esempio è quello delle elezioni politiche del 2006, in cui Silvio Berlusconi riuscì a trasformare una débâcle (circa otto punti di svantaggio nei primi sondaggi) in una sconfitta onorevole per mano di Romano Prodi, gettando lì le basi per le vittorie degli anni successivi.
Le nozioni, i racconti e le analisi delle campagne elettorali sono racchiuse in un libro agile, leggero, che non ha la pretesa di essere un manuale di comunicazione politica. «Non ha un taglio manualistico – dice l’autore – ma la definirei una lettura che prova a fare un po’ ordine per gli addetti ai lavori, e allo stesso tempo vuol essere comprensibile per chi è semplicemente interessato alla politica. È un testo che mi sarebbe servito molto 10 o 12 anni fa, quando ero un giovane appassionato di politica».