Cronaca di uno scazzo in radioUna frase che non ho mai detto diventerà il mio epitaffio

Da un anno a questa parte J.K. Rowling è considerata transfobica per aver difeso Maya Forstater, quella che «metteva a disagio e chiamava coi pronomi sbagliati» i colleghi transessuali pur non avendone. È successo qualcosa di simile anche a me per un equivoco con un politico che ha inteso quel che gli faceva più comodo. Nell’epoca in cui leggiamo i titoli degli articoli e ci precipitiamo a ritwittarli in un attimo si passa dalla parte sbagliata della storia

SEBASTIEN BOZON / AFP

Tutte le guerre culturali sono ridicole, non sarebbero guerre culturali se non fossero ridicole. (Sì, l’avete già sentita. Sì, era un po’ diversa. Sì, nell’originale non erano guerre culturali ma lettere d’amore).

E tutte hanno qualcosa in comune. Lo stesso meccanismo per cui Jack Dorsey ha inventato un avviso che ti chiede se sei proprio sicuro di voler ritwittare quell’articolo, visto che non l’hai letto. Lo stesso meccanismo per cui ci facciamo bastare il titolo. Quel meccanismo che uno dei miei sceneggiati televisivi preferiti sintetizzava con metafora ovina: «Se qualcuno dice che Charlie s’è scopato una capra, anche se la capra nega, sulla sua lapide scriveranno “Charlie, scopatore di capre”».

Facciamo finta di non parlare di me. Cominciamo dagli altri.

J.K. Rowling è l’autrice di Harry Potter e, se non vivete su Marte, sapete che dall’anno scorso è al centro d’una polemica che riguarda le transessuali. Tutto cominciò quando difese Maya Forstater (segnatevi il suo nome, tra qualche riga tornerà), licenziata per aver detto che il sesso biologico esiste. Già allora, a Rowling venne affibbiata l’ignominiosa accusa d’essere una terf, cioè una femminista vecchio stampo, di quelle che non vogliono includere chi ha apparati genitali maschili ma si percepisce donna nel discorso femminista.

Sei mesi dopo, Rowling ha osato fare una battuta su un titolista che invece di “donne” aveva scritto “Persone che mestruano” (era francamente una palla che nessuno di noi avrebbe resistito a schiacciare: persone che mestruano? Ma davvero?).

Da allora e per sempre, Rowling è transfobica.

Il suffisso -fobica ha da un bel po’ perso qualunque significato. Sei omofobo se per strada vedi due gay e li aggredisci (quando in quel caso basterebbe definirti un povero stronzo), sei omofobo se la pensi diversamente da me su qualsivoglia diritto dei gay (il che, avendo gli omosessuali diritti diversi in tutti i paesi, farebbe immagino di tutti i paesi tranne il più illuminato dei paesi omofobi), sei omofobo per pigrizia lessicale, e anche perché la fobia che sarebbe inclusa nel termine l’abbiamo completamente persa di vista.

Rowling, quindi, è transfobica perché osa pensarla in maniera lievemente diversa dai suscettibili del Twitter in materia di identità di genere. Solo che, anche se completamente svuotata di significato per ogni persona sensata, “transfobica” resta un’accusa piuttosto grave, ripetuta come niente in tutti i titoli che la riguardano. Rowling, scopatrice di capre.

Maya Forstater, da quando è stata licenziata, si vede continuamente raccontata come una che “ripetutamente metteva a disagio e chiamava coi pronomi sbagliati colleghi transessuali”. Accantoniamo per un attimo la fissa del nostro tempo per i pronomi, per passare a: non è vero, e la ragione per cui siamo sicuri che non lo sia è che l’hanno testimoniato gli ex capi della Forstater.

Hanno detto che non solo non era mai successo, ma non sarebbe potuto succedere giacché con lei non lavoravano transessuali.

Eppure, chiunque scriva di lei dà per acclarato il grave crimine di misgendering (pronomi sbagliati, appunto). Maya Forstater, per gli amici Charlie, difesa da J.K. Rowling, Charlie anche lei. Tra un po’ non basteranno le capre.

Lunedì ho partecipato a un programma radiofonico. L’altro ospite era un uomo politico. Il conduttore mi ha chiesto cosa pensassi dell’uso che il politico fa di Twitter. Ho risposto che era strano leggerlo, nel libro che aveva appena pubblicato, mentre si autocertificava un uso equilibrato e autoironico di Twitter, quando chiunque lo seguisse poteva assistere a continue crisi di nervi, che non davano l’immagine di uno che potesse gestire non dico un paese, ma neanche un condominio.

Il politico ha iniziato a urlare (è sempre bello quando uno si fa venire una crisi isterica per dimostrarti che hai torto nel definirlo un isterico). Urlando, elencava il suo curriculum, chiedendomi (retoricamente) cos’avessi mai amministrato io mentre lui faceva il ministro il dirigente il questo il quello.

Avrei spiegato che io veramente non avevo detto che lui non avesse mai amministrato niente, ma che sui social non sembrava il genere di persona cui daresti da amministrare qualcosa – ma non l’ho fatto, perché giustamente il conduttore stava cercando di cambiare argomento per sedare la crisi di nervi.

Poco dopo, nel dire che, se sei uno disponibile al confronto su Twitter, ti chiedono brevi cenni sull’universo, e tutto non puoi sapere, ho citato un tweet dell’anno scorso, in cui il politico in questione, sul tema della gestazione per altri, aveva scritto di non sapere cosa fossero le terf, ma che sua madre, femminista, era contraria. Sintesi mia: non aveva una posizione particolarmente informata, e ha citato la mamma.

Apriti cielo. Urla, strepiti, sintomi da premestruo (se il sesso biologico non esiste, ce l’avranno anche i maschi), vibranti accuse «è una menzogna!». Era informatissimo sul dibattito di cui le terf sono un gran pezzo pur non sapendo cosa significhi terf; pure io non distinguo il prezzemolo dal basilico ma sono un’ottima cuoca.

Va bene, come vuole lei. Ci parli del suo libro, così si calma.

È un episodio totalmente irrilevante, ma i giorni successivi sono interessanti. Perché sono quelli in cui gli adepti del politico, avendo ascoltato il programma, mi hanno ripetutamente accusato: di avergli detto che non aveva mai amministrato nulla, e di aver mentito circa la sua posizione sul tema gestazione per altri.

Cioè esattamente delle due cose che aveva equivocato lui. Forse non le aveva equivocate, forse aveva capito benissimo e, come diceva mia nonna, fa lo scemo per non andare in guerra; ma questo ora non importa. Quel che importa è la ripetizione automatica di cose capite male da altri. Quello su cui ora mi sto interrogando è: quindi sulla mia lapide, oltre a «scopatrice di capre», ci sarà scritto «accusava ex ministri di non avere mai amministrato niente, lei, che neanche riusciva a gestire gli spicci per le mance ai fattorini»?

Quante volte va ripetuta una cosa falsa perché diventi vera? Una (quella dell’ex ministro) è diversa da un milione (quelle che riguardano la Rowling)? E, nell’epoca in cui leggiamo solo i titoli (e a volte neanche quelli) e ci precipitiamo a ritwittare, che ne sarà del povero Charlie?

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