Su un dato, che è poi una constatazione, sono tutti d’accordo: lo stato pietoso in cui versa l’edilizia scolastica in Italia. I numeri sono implacabili e a squadernarli all’opinione pubblica è stato Lorenzo Fioramonti, il predecessore della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina: 582 scuole sono state costruite prima del 1800, 944 tra il 1800 e il 1920, 3.099 hanno visto la luce tra il 1921 e il 1945; le restanti 11.969 scuole sono state edificate tra il 1961 e il 1975. La maggior parte degli edifici, oltre 21mila, non hanno il certificato di agibilità che posseggono invece 15.689 istituti. Ma ci sono anche le scuole che a questo proposito non hanno fornito informazioni.
Il portale dell’anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica aggiorna i dati: gli edifici attivi sono al momento 40.160, quelli inattivi 3.042, quelli inattivi per calamità sono 34.
Ma se questa è la situazione, quanti soldi servirebbero per mettere in sicurezza tutti gli ambienti in cui si fa didattica? I conti li ha fatti la Fondazione Agnelli: per ristrutturare e rinnovare i 40mila edifici, corrispondenti a circa 150 milioni di metri quadrati, servirebbero non meno di 200 miliardi di euro, una cifra pari all’11% del nostro Prodotto interno lordo.
Secondo una stima dei sindacati, se solo il 30% delle scuole italiane dichiarate inagibili o parzialmente inagibili fosse oggetto di manutenzione, si potrebbero creare, tra diretti e indiretti, altri 90mila posti di lavoro.
È quindi una corsa contro il tempo ma che si trascina dietro anche malumori e polemiche: sugli interventi di messa in sicurezza degli istituti scolastici in vista della riapertura delle scuole, fissata per il 14 settembre, il governo si mette d’accordo con i sindacati del comparto edile, le associazioni di rappresentanza di Comuni e Province – Anci e Upi – ma tiene fuori dalla porta il mondo delle imprese.
Il risultato è che il protocollo riguardante il “Programma di interventi di ammodernamento del patrimonio edilizio delle scuole per l’anno scolastico 2020-2021 a seguito dell’emergenza Covid 19”, non porta la firma dell’Ance, l’associazione che riunisce i costruttori edili di Confindustria.
Il presidente nazionale dell’Ance, Gabriele Buia, non nasconde la sua profonda delusione: «Sono esterrefatto. Ragionare di lavoro e cantieri senza coinvolgerci è un paradosso. Questa è pura improvvisazione. Abbiamo già pronta una lettera che invieremo ai ministeri competenti per chiedere spiegazioni». I due dicasteri interessati sono Pubblica istruzione, retto da Lucia Azzolina, e quello alle Infrastrutture e ai Trasporti, guidato da Paola De Micheli.
«Pensare di fare in poco più di due mesi – aggiunge Buia – ciò che non si è fatto in tanti anni è utopia. Mancano i progetti ed è mancata la voce delle imprese a quel tavolo di confronto dal quale è scaturito il protocollo. Noi rappresentiamo la parte datoriale e avremmo voluto dire la nostra. Siamo alle prese con il periodo in cui i nostri lavoratori vanno giustamente in ferie mentre l’emergenza sanitaria ha creato problemi di sottodimensionamento del personale. Tutto questo è stato ignorato e come spesso accade nel nostro Paese si passa facilmente da un eccesso all’altro».
Già nel 2013, durante un’audizione promossa dall’allora governo in carica, l’Ance chiese l’istituzione di due unità di missione, una sull’edilizia scolastica e l’altra sul dissesto idrogeologico. «Purtroppo si è fatto ben poco nonostante i corposi finanziamenti per intervenire in questi due settori. Da quel che ci è dato sapere, ora si parla di spendere circa 330 milioni di euro in due mesi dopo che non siamo riusciti ad impiegare i 6 miliardi di euro degli anni scorsi. Qualche Comune avrà pure fatto qualche bando ma voglio proprio vedere a settembre quali saranno i risultati. Mettere in sicurezza le scuole è certamente un intento nobile ma non è proprio questo il modo corretto di procedere», spiega Buia.
Il segretario generale della Fillea-Cgil, Alessandro Genovesi, è di parere diverso: «Il governo – fa sapere – ha assegnato poteri commissariali a sindaci e presidenti di Provincia fino al prossimo 31 dicembre. L’obiettivo è garantire la rapida esecuzione degli interventi di edilizia scolastica, coerentemente con quanto previsto dalle Linee guida per il rientro in classe, in tutta sicurezza, degli studenti. Tanto per capirci i lavori interesseranno prevalentemente le aule, i laboratori e le palestre. Su queste basi è partito il confronto con i ministeri, l’Anci e l’Upi e alla fine, soddisfatte determinate condizioni, abbiamo sottoscritto il documento».
In sintesi: gli operai dovranno frequentare un corso di formazione per la sicurezza: «abbiamo chiesto che le notifiche di avvio del cantiere ci siano comunicate con congruo anticipo per poterci consentire di fare eventuali controlli; infine, abbiamo preteso garanzie circa la corretta applicazione del contratto nazionale degli edili. Ottenute queste rassicurazioni, ci siamo detti disponibili anche a ragionare di lavoro notturno, distribuito su tre turni di lavoro. Naturalmente si valuterà a livello locale, caso per caso», dice Genovesi.
Sui soggetti che dovevano essere presenti al tavolo che ha poi portato alla firma del protocollo, il sindacalista spiega: «Il contratto nazionale di categoria stabilisce che sono le organizzazioni sindacali che autorizzano, sottoscrivendola, una modifica dell’orario di lavoro. Se una stazione appaltante è orientata a considerare anche la possibilità che si lavori di notte, e riprendo l’esempio già fatto, è con noi che deve confrontarsi perché tutto ciò incide sul costo complessivo dell’appalto. Non è una novità, è uno schema che utilizzammo all’epoca degli interventi post terremoto quando il nostro interlocutore fu il commissario straordinario alla Ricostruzione Vasco Errani».