Contro la legge beghina La 194 fa schifo, dovremmo dirlo noi che difendiamo il diritto di abortire

È il più grande dei molti non detti di sinistra, l’indicibile sommo, quello che tutti sappiamo e ci precipitiamo a zittire chi stia per dire: è una legge superata dalla storia, il massimo compromesso possibile per un’epoca con la quale non abbiamo più in comune niente

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Avevo una ginecologa molto femminista, molto abortista, molto una di noi. Un giorno, nello studio privato in cui mi riceveva, mi disse che in ospedale risultava obiettrice. «Altrimenti ti mettono tutto il giorno a fare aborti». Aveva pure diritto di non annoiarsi, porella.

No, forse l’incipit non è questo.

Riproviamo.

Conosco quasi solo italiane che negli ultimi quarant’anni abbiano abortito. Forse perché non conosco italiane povere, non conosco quasi nessuna italiana che si sia servita della legge 194, cioè che abbia abortito nelle strutture pubbliche facendo tutta la trafila.

Se abortisci «senza l’osservanza delle modalità indicate» – che sono: in un ospedale pubblico e col consulto psicologico e la trafila per trovare un non obiettore – l’articolo 19 della 194 prevede che ti multino «fino a centomila lire». 

Ho conoscenti fortunate: ci siamo sempre potute permettere la potenziale multa, e la degenza in una casa di cura che scrivesse “raschiamento” sulla cartella clinica. Sono consapevole della differenza tra aneddotica e statistica, e quindi non dirò che qualunque cifra ufficiale sulle interruzioni volontarie di gravidanza è sballata, considerato che calcola solo quelle “osservanti”.

No, forse l’incipit non è questo.

Riproviamo.

La 194 fa schifo. È il più grande dei molti non detti di sinistra, l’indicibile sommo, quello che tutti sappiamo e ci precipitiamo a zittire chi stia per dire: la 194 è una legge beghina, superata dalla storia, il massimo compromesso possibile per un’epoca con la quale non abbiamo più in comune i costumi, la valuta, la telefonia, i minuti di cottura della pasta – niente. L’unica cosa rimasta uguale sono quelli che appena parli di questo tema ti sfoderano la foto d’un embrione dicendo che è perfettamente formato, autonomo, ragionante, e degno di diritto di voto. Ma una volta si dovevano sbattere a stampare le locandine, adesso l’embrione te lo twittano: ve l’ho detto che era cambiato tutto.

L’affermazione «La 194 fa schifo» produce i più fervidi «shhht» da parte dell’elettorato di sinistra. Mica vorrai metterla in discussione, chissà cosa succede. Mica vorrai aprire il caso, ti ricordi com’è andata con la legge 219 (quella che se non so più come mi chiamo né dove sono devi iniettarmi dei bucatini in vena acciocché continui a vegetare finché qualche dio di fantasia non decida lui di levarmi di mezzo). Mica vorrai rischiare. Non rischiare mai mi pare peraltro una linea ormai dominante nella sinistra italiana: fingersi in coma e sperare che i problemi della contemporaneità passino da soli. Non c’è dettaglio italiano che Corrado Guzzanti non avesse previsto con decenni d’anticipo, in questo caso il riferimento è la sua imitazione di Prodi: immobile, come un semaforo.

La 194 fa schifo, ti sottintendono, ma una 194 rivista potrebbe fare ancora più schifo. Più d’una legge fatta in anni in cui c’erano ginecologi laureati quando l’aborto non era permesso, e cui quindi non si poteva pensare d’imporre di uccidere embrioni che secondo loro avessero diritto di voto?

Quanti ginecologi (e anestesisti, e infermieri, e ostetrici: sospetto che l’obiezione di coscienza s’estenda a chi passa lo straccio, forse se vuoi abortire ti ricoverano in una camera coi pavimenti sporchi) già operativi nel 1978 sono ancora al lavoro? Non abbiamo fatto quota cento?

Se il dio della vocazione t’ha fatto specializzare in ginecologia quando in Italia era già permessa l’interruzione di gravidanza, e sempre il dio della vocazione t’ha fatto impiegare in un ospedale pubblico in cui quindi eseguire aborti è parecchia parte del tuo mestiere (spoiler: non è che la ginecologia sia una specializzazione assai variegata; pomate per la micosi a parte, perlopiù o li fai nascere o non li fai nascere), non sarebbe il caso che quella che chiami «coscienza» fosse rubricata dalla legge come ciò che è, cioè scorciatoia per non fare il lavoro per cui sei pagato?

È impossibile discutere da adulti di queste cose, l’ho capito intorno ai vent’anni, quando flirtavo con chiunque, e a un certo punto pure col marito d’una deputata. Il quale, come tutti i mariti d’altre, voleva innanzitutto parlare dei suoi problemi coniugali. Quello in corso all’epoca era che avevano deciso di abortire, e il rapporto si era successivamente guastato. L’anno successivo vidi lei, in televisione, dibattere del tema. Disse che la 194 non si toccava, che l’aborto era un grande dolore, e che per fortuna lei non aveva mai dovuto servirsi di questa legge di regolamentazione della sofferenza (in clinica anche lei, ci giurerei).

Una legge del cui utilizzo ci si scusa, ci si vergogna, lasciatecela e promettiamo che la useremo pochissimissimo. Siamo proprio sicure?

È impossibile discutere da adulti di queste cose, l’ho capito col dibattito sull’Umbria. La governatrice legava l’uso della RU486 a tre giorni di ricovero, e invece di dire la verità – era un modo per rendertela difficile, sì, ma solo perché trovare tre giorni di letto disponibile è più complicato che trovarne uno – a sinistra strepitavano tutti contro il ricovero coatto. È perché siamo scemi, e pensiamo davvero che qualcuno possa impedirci di firmare una liberatoria e dimetterci da un ricovero, o è perché pensiamo che argomentare razionalmente sia inefficace?

(Comunque poi il ministro della Salute ha revocato questa cosa dei tre giorni, e domenica sera in un’intervista pubblica il presidente del Consiglio ha detto che non ne avevano mai parlato ma che per lui era molto importante il supporto psicologico. Ho 47 anni e la menopausa s’ostina a non arrivare; se la mia fertilità dovesse avere un attacco di tardivo zelo, e qualcuno mi dicesse che la mia decisione d’abortire ha bisogno di supporto psicologico, reagirei come alla proposta d’un reggiseno col ferretto: fatelo mettere ai cartonati delle pubblicità. Incidentalmente, è la stessa reazione che avrei avuto venti o trent’anni fa).

È impossibile discutere da adulti di queste cose: ogni volta che si parla d’obiezione di coscienza gli schieramenti sono calcistici. Da una parte quelli che ti citano l’unico ginecologo non obiettore di tutto il Molise, e le difficoltà che la donna che voglia interrompere una gravidanza non dovrebbe incontrare; dall’altra i cattolici che sostengono non esistano casi di donne che non sono riuscite ad abortire legalmente in Italia.

Nessuno che dica ovvietà quali: la tua coscienza sono cazzi tuoi. Non farai carriera come ematologo obiettando alle trasfusioni, o nell’esercito obiettando alle armi: perché dovrebbero valere regole diverse in ginecologia? Fai il dentista, se sei sensibile: si guadagna di più, e ti voglio vedere a obiettare all’anestesia per la canalare. 

Nessuno che dica l’indicibile: la 194 fa schifo, e qualunque governo non dico di sinistra ma anche solo contemporaneo dovrebbe pesantemente riformarla. Anche io: mica lo sto dicendo, figuriamoci. Per fortuna neanche a me è mai capitato, come a tutte.

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