Ebbene sì, come insegna il caso delle (tentate) dimissioni di Leo Messi, il fax è ancora in circolazione. Esiste, resiste e in certi Paesi del mondo è di uso quotidiano.
Nel caso del campione del Barcellona, in realtà, si parla di burofax, cioè un documento dal valore legale certificato che per ragioni di sicurezza viene spedito attraverso l’ufficio postale.
Una sottigliezza: il documento, una volta nelle mani della posta, può essere spedito anche con un servizio di posta certificata (del resto, ci sono sempre meno fax anche per ricevere comunicazioni).
Insomma, a dispetto di tutti gli annunci di una sua ormai necessaria scomparsa, il fax è ancora vivo. Anzi, per molti aspetti è considerato ancora indispensabile.
In Giappone, per esempio, viene utilizzato come se fossero ancora gli anni ’80. Secondo uno studio del 2019 quasi tutte le aziende ne possiedono uno, e lo stesso vale per oltre la metà della popolazione.
Anche in Germania è uno strumento diffusissimo: ogni anno il numero di fax inviati aumenta del 10%. Una abitudine che comprende giganti come la Bayer, che ogni giorno ne invia uno a 30mila agricoltori con tutte le indicazioni meteorologiche a seconda della zona, ma anche startup come la Lieferheld, azienda di food delivery, che lo usa per mandare in via quotidiana ai ristoranti gli ordini che ricevono. Ma non solo: il fax regna nei supermercati, negli alberghi, nelle aziende di vacanze.
Una longevità inspiegabile solo all’apparenza: i documenti fax (cioè facsimile) sono ancora essenziali in diverse operazioni commerciali, soprattutto nel campo legale (i contratti, per esempio).
È al tempo stesso il mezzo che riesce a essere veloce e affidabile, sia per la sicurezza – alcuni ospedali tedeschi lo usano per inviare dati sanitari ai pazienti per proteggere la privacy sia perché è certificato a livello legale.
Studi, banche, assicurazioni e uffici hanno necessità di avere la prova di una firma genuina (la conferma via mail non basta), con tanto di orario e data attendibili, magari anche grazie a un mezzo non semplice da hackerare.
Come spiega Jonathan Coopersmith, professore di storia della tecnologia all’università del Texas e soprattutto autore di “Faxed: The Rise and Fall of the Fax Machine”, le radici di questo sistema di comunicazione affondano al XIX secolo, quando una serie di scienziati inventori – il primo accreditato sarebbe lo scozzese Alexander Bain, ma nell’impresa si sarebbe cimentato anche Thomas Edison – comincia a lavorare a un sistema per inviare, in forma parcellizzata, messaggi riga per riga.
Ci vogliono quasi 1140 anni perché raggiunga il suo apice e si imponga nella vita di tutti. Sono gli anni ’80, appunto, la sua epoca più gloriosa (basti pensare che, in “Ritorno al Futuro 2”, del 1989, il protagonista si ritrova in un 2015 in cui c’è un fax in ogni stanza).
Da quel momento è cominciato il declino, anche se – come detto – riesce ancora a resistere. Ha coosciuto anche un breve picco dopo il caso del Sony Hack, del 2014, quando un gruppo di hacker ha diffuso alcuni file riservati della Sony Pictures. Molti, non fidandosi più di quello che mettevano in rete, sono tornati alle buone tecnologie di una volta.
C’è da dire, però, che la vera sfida per il fax è arrivata proprio quest’anno, con le restrizioni imposte dalla pandemia e la diffusione dello smartworking.
In Giappone, in particolare, ha mostrato la corda: in mezzo all’emergenza Covid, l’obbligo per i medici di trascrivere e faxare i dati – in effetti obsoleto – ha generato proteste e ribellioni, cioè un passo in avanti sulla via del progresso.
Mentre in Germania si è fatta sentire l’urgenza di una più vasta digitalizzazione, che è andata a colpire la massa di documenti che ogni giorno viene scambiata via fax.
Per il momento, come dimostra anche il caso Messi, il fax è ancora vivo, si difende e resiste. E riesce perfino a guadagnarsi le pagine dei quotidiani.