La sinistra terrapiattistaLa ministra spagnola delle Pari opportunità dice che donne e uomini non esistono

George Orwell non è arrivato abbastanza lontano con la neolingua. Irene Montero (Podemos) ha fatto una lunga intervista in cui ha difeso le teorie queer. Il risultato? Una valanga di (giuste) critiche delle femministe radicali. La verità è che non si è imparata la lezione di Mark Lilla: aggiungere una per una tutte le minoranze non fa una maggioranza

AVIER SORIANO / AFP

Se non vi piace la filosofia forse dovete smettere di leggere. Ma per farla più semplice cominceremo da una stronzata: «Esistono uomini e donne? Cosa vuol dire essere uomo e donna? Come si concettualizzano le teorie del sesso e del genere […] Che livello di ormoni dobbiamo avere per essere considerati uomo o donna? Che misura di reggiseno dobbiamo avere per essere donna? […] Il sesso è qualcosa di genetico? È un dibattito molto interessante, questo».  

Questa summa del pensiero occidentale è opera di Irene Montero, ministro delle Pari Opportunità in Spagna, nonché compagna di Pablo Iglesias (entrambi i fatti sono evidentemente una coincidenza, vi prego di non essere maschilisti o maschiliste) e una delle “teste” di Podemos. Testa in senso figurato se avete letto bene il primo paragrafo.

Prima parliamo delle reazioni, poi di filosofía. Dopo l’uscita dell’intervista di Irene Montero, i social spagnolo sono insorti e l’hashtag #IRENEDIMITEYA (Irene dimissioni adesso) è diventato in poche ore trending in Spagna.

Scritto da donne di destra, con tacco a spillo e figlie vestite di rosa? Macché. A dichiarare guerra alla ministra è stato il femminismo di sinistra, nonostante Montero abbia scelto il suo dicastero proprio perché credeva fosse il posto ideale: grande visibilità e nessun rischio politico guidare le pari opportunità del governo più femminista della storia. E invece…

E invece Irene Montero è stata sepolta da una cascata di sillogismi. Se uomini e donne non esistono il femminismo smette di esistere. Da subito. Se le donne non esistono in quanto donne, come si può giustificare una discriminazione verso di loro? E se il sesso dipende dalla taglia di reggiseno, allora… Meglio se ci fermiamo qui. 

Elisa Beni, editorialista e importante voce del femminismo in Spagna, ha risposto così su El Diario: «Chiedersi se i cromosomi XX e XY esistono è come chiedersi se la terra è piatta. Forse è normale che le donne si arrabbino se dici che questo è un dibattito interessante».

Ed ecco battezzato il terrapiattismo della sinistra cool. Quella che, pur di sembrare moralmente open, accetta tutti i relativismi. E mette in dubbio uno dei cardini della società umana: l’esistenza di donne e uomini. Podemos abbraccia così il buonismo plus ultra arrivato dagli Stati Uniti: donna non si nasce, si sceglie di essere. In altre parole, il genere è una libera scelta culturale, non genetica.  

Podemos e Irene Montero non hanno letto Mark Lilla, come del resto gran parte della sinistra occidentale. Il politologo americano ha colto meglio di tutti questa tendenza verso l’abisso ideologico dei liberal, in senso anglosassone, quando ha spiegato, nel suo libro “L’identità non è di sinistra. Oltre l’antipolitica” (Marsilio) che molte minoranze messe assieme non fanno una maggioranza. 

È il pianto di un riformista che, in un paese allo sbando, vede come i democratici si scannano per chiedere bagni per uomini, donne e non binari. La sinistra, nella sua postmodernità liquida, ha deciso di parlare separatamente a tutte le minoranze, affogando pian piano in un oceano di relativismi.

Il ragionamento delle femministe sui social, in risposta a Irene Montero, non fa una piega (aritmetica): «Invece di parlare al 52% della popolazione, Irene Montero ha deciso di parlare a una nicchia che non arriva nemmeno allo 0,01%». La nicchia a cui ci si riferisce sono gli adepti della teoria queer. Ma questo ve lo spiega meglio la Soncini ogni giorno nell’Avvelenata. 

Titania McGrath sarebbe, oggi, il mito di Irene Montero. Una che ha 546.000 follower grazie a tweet-sentenze di questo tipo (preso al volo, lo giuro): «Rispetterò un uomo soltanto quando rimarrà incinta da un feto non binario». Un simbolo della coscienza über tollerante della contemporaneità, e che adesso firma un libro successone intitolato: “Woke”

Prendiamone un altro: «Il fatto che la famiglia reale non sia maggioritariamente nera e asiatica ci spiega tutto ciò che dobbiamo sapere sul razzismo istituzionalizzato nel Regno Unito». Titania non è un’icona dei nostri tempi solo per queste tweet-cazzate, ma perché è un personaggio finto. Un alter ego del comico e scrittore Andrew Doyle.

Titania rappresenta esattamente ciò che accade nel dibattito pubblico sulla tolleranza: le barzellette esagerate sono diventate vere. Sapete quella del ministro delle Pari Opportunità che si chiede se esistono uomini e donne? È uno spasso. Purtroppo ve l’ho già raccontata. Al primo paragrafo.

Un altra barzelletta diventata realtà riguarda il sindacato del New York Times, che ha chiesto alla direzione di imporre l’uso dei sentitivity readers per evitare ogni tipo di discriminazione sui pezzi del miglior giornale al mondo. Cioè, una censura di sensibilità. La finta bontà per decreto. L’obbligo del buonismo istituzionalizzato. La morte del giornalismo e la scrittura nel nome di una presunta sensibilità. Nemmeno George Orwell lo avrebbe immaginato.

E mi pongo una domanda forse scomoda: se il pensiero totalitario ti obbliga ad avere delle idee e rifiutare apioristicamente altre, sarebbe totalitario obbligare ad avere un certo livello di sensibilità? 

Intanto, come risposta mi va bene quella che ho letto in un bel pezzo della magazine online australiano Quillete: «Scrivere non serve a proteggere i sentimenti della gente, ma a provocarli». 

A volte sembra che siamo entrati nella serie di HBO Years and Years, dove un’adolescente spiega ai suoi genitori che lei è trans. I genitori, bravissimi fighetti della sinistra a modo, le fanno capire che per loro non è un problema. Che l’accettano così com’è. Ma lei, stupita, chiarisce che non è transessuale, ma transumana. Che preferisce vivere dietro una faccia-ologramma da emoticon. 

Più o meno la scena è questa:

-Non appartengo a questo corpo… Ma non voglio cambiare il mio sesso

-Non ti preoccupare, cara, lo sappiamo, ora si dice cambiare genere

-No! Non voglio essere carne e ossa. Voglio diventare digitale. 

Chi vorrebbe un corpo umano potendo invece diventare un insieme di dati caricati su un cloud? Senza pregiudizi. Senza discriminazione. Senza razzismo. Senza grassofobia. L’orizzonte di un mondo nuovo. Ma qualcuno dica a Irene Montero che è solo una fiction. Casomai lo proponga per gli spagnoli al prossimo consiglio dei ministri.

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