Mamme rispondono a SonciniDal ceto medio riflessivo, con affetto

Cristina Sivieri Tagliabue e MammadiMerda replicano all’articolo pubblicato su Linkiesta: «Abbiamo deciso di lanciarci in un’agguerrita campagna di post lamentosi su Facebook sulla chiusura delle scuole e sull’impatto che ha in una società civile strutturata in un certo modo secondo Costituzione e sull’occupazione femminile»

Pubblichiamo la risposta di Cristina Sivieri Tagliabue e MammadiMerda all’articolo de Linkiesta “Le mamme dolenti del ceto medio riflessivo che non si rassegnano alla pandemia” di Guia Soncini.

Stavamo pigramente riordinando la libreria per sfumature di colore, valutando di eliminare i tomi che non si intonano con le tappezzerie, quando ci siamo sono ricordate all’improvviso che i nostri figli non ricevono un’istruzione scolastica da mesi.

Complice un po’ la noia, un po’ la canicola estiva – che, si sa, se vai a passeggiare in un periodo storico in cui non esistono più le mezze stagioni dove una volta era tutta campagna alle ore più calde e non ti idrati abbastanza, può tirare brutti scherzi – insomma abbiamo concluso che delle donne mediamente borghesi e riflessive hanno bisogno di ben altro per sentirsi realizzate. Ci siamo quindi messe alla ricerca di altri cromatismi di noi stesse, spulciando un po’ tra le indagini Istat e un po’ tra gli articoli estivi che ci girano i nostri bamboccioni che manifestavano – era pre-Covid – sempre il venerdì con i Fridays For Future, per farci allungare il fine settimana su Santa (Margherita).

Certo, parlare di scuola fa sempre figo e poi, tutto sommato, non ne tratta proprio nessuno negli ultimi tempi e infatti eccoci qui, alla ricerca disperata di un senso della vita, a leggere una Saraceno al giorno senza farci illusioni. Non saremo mai delle intellettuali, saremo sempre solamente delle riflessive che pensano e rimuginano in modo circolare ossessivo, senza tregua e senza risultato. Certamente, rarissimi esemplari del mediocre ceto borghese perché il ceto medio non esiste più. Infatti, paradossalmente, noi non esistiamo.

Ci ha inventato Guia Soncini.

La nostra crisi è profonda quanto lo sfondo dei Supercoralli riflessi su Zoom, o come il bicchiere di certe donne single o maritate tristi che a una cert’ora, prima di mettersi a pontificare, si dissetano in solitudine Covid con una bottiglia comprata di nascosto da se stesse. E infatti, la casalinga scrittrice di Voghera è stato il primo stereotipo al quale abbiamo detto no, non ce la possiamo fare perché il tempo di bere e seguire il “programma” non ce l’abbiamo più, purtroppo. Perché se bevessimo non sapremmo poi come dare ordini alla colf peruviana assunta regolarmente a metà. Che il lavoro che fa in nero è così tanto peggio di quello che le arriva in busta paga ma che comunque deve seguire i miei figli al mare quando io sono nell’attico a patire il caldo.

Altra possibilità, le complottiste che pur di non avere tra le palle i figli li manderebbero anche in infettivologia. Bel profilo, sì, potrebbe andare perché abbiamo un sacco di tempo libero che passiamo sulle chat di Whatsapp No vax No logo solo Fake news. E ripetiamo a manetta la maggior parte degli assiomi che ci capitano, basta che me li instilli il guru che ci vorremmo scopare ma che non possiamo perché lui, si sa, segue sempre la scia delle sciure riccastre e noi al momento non abbiamo il becco di un quattrino se non i 600 euro del Governo con cui paghiamo internet per collegarci a Tinder e alle chat della scuola da cui ormai si evince chiaramente che non c’è rimasta una madre normale in città. Stanno tutte fuori dal centro. O centrate male. O fate voi.

La noia, insomma, è davvero il nostro problema. E infatti ci mangiamo sopra. Rubiamo il cibo dal piatto dei nostri figli ma perché glielo abbiamo cucinato pure, eh. Certi manicaretti da quando ci hanno lasciato a casa dal lavoro Ebbene sì, altro cliché: al posto dello smart working noi superiamo con lo smart cooking. Cuciniamo per tre anche se siamo in due e mangiamo il doppio di quanto dovremmo. Siamo un target interessante? Chissà. Il marito non c’è, non siamo sposate, non siamo lesbiche, non siamo cool, non siamo magre ma siamo molto snelle sui social. Va bene lo stesso come mamme ipocondriache e un po’ di merda che desiderano il figlio a scuola? Perché da qualche tempo in qua, infatti, abbiamo deciso: «adesso basta coi dolci. Perché non cominciare a rompere un po’ i coglioni sul diritto all’istruzione?».

Con la banda finalmente alleggerita da DAD, call e sexting con l’amante in vacanza con la moglie, calchiamo la parte delle giornaliste autocentrate così prese da loro stesse e dal lavoro da non accorgerci di ciò che succede a 8 milioni di italiani e italiane, abbiamo comunque deciso di lanciarci in un’agguerrita campagna di post lamentosi su Facebook sulla chiusura delle scuole e sull’impatto che ha in una società civile strutturata in un certo modo secondo Costituzione e sull’occupazione femminile.

Che sono quelle cose che ti risolvono tutte le situazioni e ti fanno fare sempre una porca figura, come una giacca d’Armani o una bella manifestazione con megafono postata bene sul profilo Facebook. Sarà una lotta senza quartiere fino a Settembre. Quando si spera riapriranno finalmente le estetiste, ché il semipermanente fa un effetto più bello del gel, però dura meno.

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