La frase sul carattere degli italiani che cito più spesso la disse un tedesco di cui non ricordo il nome, in un talk show romano di molti anni fa. Faceva così: «In Germania non ci verrebbe mai in mente di dire “Lo Stato deve aiutarmi”».
Non ricordo a cosa si riferisse, poteva essere tutto, dalla maternità al terremoto: l’italiano ritiene comunque che lo Stato non faccia abbastanza per lui (se un giorno un politico italiano ci esortasse a chiederci invece cosa possiamo fare noi per lo Stato, la sua carriera finirebbe all’istante).
Tuttavia diffido di tutto ciò che definisce un luogo e i suoi abitanti: quando si dice «solo in Italia» in genere si svela di conoscere pochissimo il resto del mondo, e io in effetti non so niente dei tedeschi. Non so se frignino quanto noi, o se cerchino di cavarsela.
Mi pare che questa fase stia svelando, per esempio, che persino nel paese meno statalista del mondo, gli Stati Uniti, «il governo dovrebbe fare qualcosa per voi» sia un concetto che ha una certa presa. O almeno così mi pare credano i democratici: non c’è minuto che non mi passi davanti qualche pensierino di democratico che esorta a non votare Trump «che vi ha lasciati morire di virus».
Ogni volta penso: ma in che senso?
Sì, so tutto: le mascherine, l’esempio, la quarantena. Ma non siamo adulti? Viviamo in un mondo pieno d’informazioni, se c’infettiamo perché invece di procurarci informazioni gratuite decidiamo di non metterci la mascherina perché non se la mette il nostro politico preferito, neanche fossimo tredicenni col poster della popstar in cameretta, il virus non sta forse praticando una selezione darwiniana?
Sì, lo so: il problema è che se non mettiamo in atto delle precauzioni minime rischiamo d’infettare anche chi non c’entra niente con le nostre paturnie, ma, di nuovo, in quel caso è responsabilità della nostra scemenza, mica del politico che non ha dato il buon esempio, orsù.
Citerò Gaia Tortora, visto che ha detto prima la più impopolare delle indicibilità: «Tutta questa storia delle mascherine, mettila o meno, non dovrebbe avere bisogno dell’esempio del politico. Sembra di stare all’asilo. Siamo qui, 24 ore su 24, a controllare se Salvini mette o toglie la mascherina, se Salvini dice di tenerla o di non indossarla. Ma chissenefrega».
C’entra la bambinizzazione della società? Guardiamo i cartoni della Pixar e vogliamo che i politici ci facciano da genitori e ci dicano come affrontare una pandemia che decine di medici ci hanno già spiegato su centinaia di giornali come affrontare? (Per inciso: non sono d’accordo su come affrontarla neppure i medici, figuriamoci i politici).
Qualche giorno fa un primario romano, Roy De Vita, ha raccontato in un video su Instagram dei tamponi istantanei che hanno dato tre negativi su tre ai figli della sua compagna. Fatto il giorno dopo il tampone ordinario, quello per i cui risultati ci vuole qualche ora, i tre non solo erano positivi ma pure con alta carica virale. Quindi i tamponi istantanei non sono attendibili? Quindi i positivi inconsapevoli se ne vanno in giro per l’Italia rassicurati da un falso negativo ottenuto in aeroporto (sono istantanei i tamponi che si fanno agli arrivi, il modello positivo di Fiumicino decantato da Zingaretti)? Che cosa può fare lo Stato per noi, oltre a illuderci che siamo negativi già al ritiro bagagli?
E non sono istantanei i tamponi che si vogliono fare nelle scuole? I bambini falsamente negativi o falsamente positivi sembrano già un soggetto per una puntata di Black Mirror (i falsi positivi sono avvantaggiati, verrà loro fatto un più attendibile tampone non istantaneo e la verità li renderà liberi, seppure con un giorno di ritardo; i falsi negativi saranno i monatti di questi Promessi sposi postmoderni).
Ieri Repubblica riportava che tre su dieci dei docenti convocati dai medici non sono andati a farsi il tampone, e anche lì si aprivano favolosi scenari distopici. Ti puoi rifiutare perché è un’invasione della privacy, un sopruso, una verifica non prevista dal contratto nazionale, e in quel caso i ragazzini restano senza docenti? E se invece non ti rifiuti, chi mi dice che un tampone negativo del 26 di agosto valga qualcosa il 15 di settembre? Dopo il tampone isoli il docente fino alla riapertura della scuola? E in quel caso non è abuso, sopruso, altra puntata di Black Mirror che in confronto quella volta della deportazione l’avevamo presa bassa? Cosa può fare lo Stato per me, insegnante, per me, genitore, per me, medico che non riesce a convincerti a tamponarti?
Nota a margine per quelli «i bambini non sono a rischio»: lunedì la Florida, stato con ventuno milioni e mezzo di abitanti, ha comunicato che le due settimane di riapertura delle scuole hanno prodotto novemila nuovi minorenni contagiati, per un totale di quasi 49mila minori con virus – dei quali seicento in ospedale e otto morti.
È colpa di Trump? È colpa del governatore repubblicano della Florida? È colpa della sfiga? È colpa della fretta (vogliamo i tamponi istantanei anche se sono inattendibili)? Tutto questo cercare di attribuire delle colpe è almeno un antistress? Ci sentiremmo peggio se smettessimo di chiederci chi non abbia fatto abbastanza per noi, e chi dovrebbe aiutarci invece di pretendere che ce la caviamo? Cosa può fare lo Stato per noi, a parte mandarci in camera nostra come quand’eravamo piccoli, e chiamarlo lockdown invece che castigo?