Tredici anni schiaviIl libro “La Casta” non ha più niente da dire, serve un seguito sugli incompetenti della Terza Repubblica

Nell’accurato catalogo di favoritismi e furberie varie c’era un capitolo intestato a un commerciante di pesce diventato consulente per le Carceri del ministro della Giustizia, ma oggi c’è un compagno di scuola di Di Maio nel cda della più strategica azienda pubblica italiana

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A 13 anni dalla sua uscita, il fortunato bestseller di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella intitolato “La casta”, sta per terminare la sua parabola. Con il referendum sul taglio dei parlamentari sarà raggiunto anche l’ultimo traguardo di questo saggio sui politici “obesi ed ingordi”.  Si sentirà presto il bisogno di un “Casta 2, la vendetta”, dedicato ai politici “magri e sobri”.  Ci vorrà il doppio delle pagine.

Non è con questo libro che si è aperto in Italia il ciclo più virulento dell’antipolitica. Altri ci hanno messo del loro. Risalendo nel tempo, persino due presidenti della Repubblica: Sandro Pertini con le sue sfuriate e Francesco Cossiga con il suo piccone. Non trascurabile l’apporto di “Mani pulite” quando i Pm scrivevano in modo irrituale ai presidenti delle Camere, intimando la resa dei politici indagati, o quello di Mariotto Segni con il suo referendum sulle preferenze equivalenti a corruzione.

A distanza di tanto tempo da quel 2007 in cui veniva letteralmente bruciato in libreria da orde di lettori che vi entravano talora per la prima volta, il messaggio del libro ha ormai perso la sua carica virale.

Pressochè tutti i “privilegi” elencati sono stati cancellati e alcuni bersagli-emblema sono stati colpiti e affondati ma soprattutto ha vinto il concetto di casta. C’erano dei bramini da additare al pubblico ludibrio e pubblico ludibrio è stato. Mancavano all’epoca i talk show in tv, diventati poi una gogna perfetta. C’è un fustigatore che ha intitolato la trasmissione “Fuori dal coro” senza accorgersi che fuori dal conformismo ci sarebbe solo l’esercizio di un po’ di razionalità e buon senso. L’indignazione è il vero coro.

Nelle intenzioni iniziali degli autori, il libro era nato come una brillante inchiesta giornalistica, l’accurato catalogo di favoritismi e furberie varie, ma nel tempo ha cambiato pelle. È diventato il programma dell’antipolitica, quasi un breviario da tenere in mano ed applicare capitolo per capitolo per fustigare una categoria, quella de “i politici” (detta così, l’espressione è diventata un’infamia già solo a pronunciarla).

Nel sottotitolo del libro venivano descritti come “intoccabili”, ma nel giro di un decennio sono stati toccati, sbeffeggiati, maltrattati e vilipesi come non mai, pur nel Paese che certo non li ha mai amati. D’Annunzio aveva lanciato un pitale dall’aereo su Montecitorio.

In concreto è così diventato un programma copiato punto per punto da apprendisti politici, smaniosi di costruire le proprie fortune sull’abbattimento di quelle altrui. Togliti tu che mi ci metto io.

Un testo godibile e leggibile, non certo il mattone, lungo cento pagine in più, dell’indigeribile programma dell’Ulivo/Unione.

Ci siamo sempre chiesti se Rizzo e Stella abbiano avuto qualche momento di perplessità in questi anni, assistendo alla mattanza cui hanno dato corso sia pur involontariamente. La politica è scesa nelle graduatorie della fiducia e si è autoalimentata con una spirale di degrado qualitativo discendente. Che la Terza Repubblica sia migliore della vituperata Prima quasi più nessuno è disposto a sostenerlo.

Gli eccessi dell’antipolitica sfuggita di mano, la perdita del rispetto istituzionale e umano, del buon gusto, non sono certo colpa di due scrittori, come non erano colpa dell’inventore della dinamite le stragi provocate dall’esplosivo. Lui, per redimersi, aveva comunque istituito un Premio per le cose buone fatte dall’uomo.

Stella e Rizzo hanno cosparso il libro di distinguo, di inviti a non generalizzare, ma i lettori non hanno distinto, e hanno generalizzato.

In qualche momento, ne siamo certi, qualche brivido, Stella e Rizzo, lo hanno però provato. Anche Geppetto si è spaventato per gli eccessi di Pinocchio. Come non pensare che anche i due autori abbiano visto con sgomento qualche conseguenza indesiderabile della loro inchiesta? In certi scritti attuali del più intransigente, Sergio Rizzo, sembra talora di vederne traccia.

Tutto quello che hanno descritto era comunque basato su dati veri, magari qualche volta sviati in buona fede da studi altrui non verificati, ad esempio proprio la classifica europea dei parlamentari in proporzione con gli elettori, che è tema molto sventolato in questi giorni per dire che il nostro sia il Parlamento più pletorico. Ma stiamo parlando di due giornalisti, non di due artificieri. Volevano scrivere un libro, non smantellare una democrazia. Anzi, pensavano giustamente che una democrazia ha bisogno di trasparenza e denunce, se vuole rinforzarsi. Il libro è uscito quando non si poteva prevedere fino a che punto sarebbe arrivato il successo della setta dei meet up, l’orgoglio dei terrapiattisti, la scalata ministeriale di chi non crede allo sbarco sulla luna o vede complotti multinazionali nei vaccini. O scambia la Libia con il Libano, il Cile col Venezuela eccetera eccetera.

Stella e Rizzo parlavano di politici disonesti, non di incompetenti che gridano “honestà-honestà” senza aver letto Benedetto Croce quando ricorda che l’onestà in politica è innanzitutto competenza.

Esisteva già il mito della democrazia diretta, ma chi mai poteva pensare che gli eredi della Democrazia cristiana e del Partito comunista italiano l’avrebbero assecondato votando all’unanimità non una riforma istituzionale – troppo complicato, e poi porta sfiga – ma un taglio lineare della rappresentanza con numeri tondi? «Che faccio, lascio?», come fette di prosciutto.

Sarebbe ingiusto addebitare a due giornalisti la colpa di aver scritto a loro insaputa il programma di un nuovo partito. Con soli 18 euro, chiunque poteva comprarlo e poi indignarsi onanisticamente in casa propria, oppure comiziare nei bar, oppure ancora infilarsi nella misteriosa piattaforma di una srl sconosciuta.

Che il libro sia stato un manifesto programmatico non ci sembra però discutibile. Il problema è che un conto è un saggio universitario, un conto è il prodotto dello spin giornalistico, cioè quella maniera di rappresentare le cose che le rende interessanti e sfiziose.

Quando i professori ci hanno provato (vedi Commissione Giovannini che doveva verificare il quadro comparato in Europa degli emolumenti dei politici) si sono arresi, restituendo il mandato, perché impossibile valutare quanto è giusto riconoscere a una cosa che non è un lavoro, e che è legata a un quadro istituzionale sempre diverso.

Per il giornalismo è più semplice. È ben nota la regola secondo la quale la notizia non è mai quella del cane che morde l’uomo, ma dell’uomo che morde il cane, e “La casta” è per l’appunto un libro che punta a colpire l’immaginazione. Il metodo di Stella e Rizzo è stato molto spesso quello dei casi limite.

I vitalizi riconosciuti dopo un giorno in Parlamento, le società con più consiglieri di amministrazione che dipendenti (e sarebbe da discutere se proprio è un male), gli eletti che cambiano partito o che non vanno mai in Parlamento. Se poi c’è una Comunità montana che comprende le spiagge marine questa è la prova che “i politici” si inventano di tutto solo per moltiplicare le poltrone.

Sarebbe bello poter riflettere sull’utilità delle Comunità montane in un Paese in cui il dissesto idrogeologico è diffuso su tutto il territorio. Si potrebbe anche dimostrare che se Roma è lontana, la Regione pensa solo a comprare mutande verdi e le Province tu dici che bisogna abolirle, qualcuno ci vorrà che segnali un torrente che esce dai suoi argini. Ma sarebbe probabilmente tempo perso.

Nell’immaginario c’è solo la moltiplicazione delle poltrone, non certo la responsabilità che incombe su qualche disgraziato che va lì non per star seduto ma per essere sentinella del territorio, collaborando con Sindaci che in migliaia di casi devono provvedere in proprio – in quelle valli sperdute – a occuparsi di tutto. Ben remunerati? Anche qui è facile prendersela con il Sindaco che riceve 1000 euro quando va bene e poi chiede i 600 euro governativi perché, oltre che trascurarlo, non può neppure esercitare il suo lavoro.

Quando si parla di portafoglio scatta il riflesso condizionato della sottostante invidia sociale. Lo chiamano stipendio, Salvini dice sempre «mi pagano per», ma è una indennità, che già nella parola è cosa concettualmente ben diversa. Quanto all’entità del percepito dai parlamentari tutto è complicato dalla questione dei rimborsi per spese che hanno raggiunto la vetta di quasi quattro volte di più rispetto all’indennità vera e propria, per cui i parlamentari incassano (anzi: intascano, che suona meglio) anche 18 mila euro. Ma nella “busta paga” vera e propria del senatore ci sono oggi 5304 euro netti. Nel libro del 2007 la cifra indicata era di 5486. Insomma, in 13 anni, la busta paga del gambero. Ecco un caso che si presta a strumentalizzare al contrario. Diventerebbe facile dire che in 13 anni l’emolumento dei senatori è andato indietro, lo attestano persino Stella&Rizzo!

Sulle pensioni, poi, apriti cielo, pur in un Paese in cui il 96% dei pensionati riceve di più di quanto versato, spesso moltissimo di più, anche l’intero importo. Massimo Giletti porta sempre in TV un panettiere che appartiene ad una categoria a cui leggi clientelari hanno consentito di andare in pensione dopo una vita di contributi molto limitati, e lo dipinge come un martire. Grottesco però usarlo come ariete contro i privilegi individuali, lui che personifica quelli di massa…

L’altra caratteristica del taglio dato dal libro è quella di paragonare casi diversi per suscitare scandalo. C’è sempre il parallelo tra un presidente di Regione che “guadagna” più del presidente degli Stati Uniti. Paragone che suscita orrore nel lettore, un po’ come il Senato degli Stati Uniti di 100 membri e quello italiano di 315. Difficile spiegare le differenze tra istituzioni e sistemi non comparabili.

Comunque, l’effetto c’è, ed è stato in questi anni molto forte. Ma il fatto nuovo è che il catalogo delle cose da “toccare” si è nel frattempo pressoché esaurito. Quasi tutti i punti rilevanti della denuncia di Stella e Rizzo sono stati attuati. Il libro è pronto per l’archivio.

Peccato che i risultati pratici di questa strage della vecchia politica siano così così. È andata spesso come accadeva prima dell’invenzione della ghigliottina. Qualche volta il boia ha sbagliato mira e il risultato è stato da macellaio, non da professionista della pena di morte.

Si prendano le Province. Definite inutili, senza tanti complimenti, sono state decapitate nella parte politica. Via la rappresentanza, che sarà mai la democrazia, questi pensano solo alle solite poltrone. Ne è venuto fuori un pasticcio orribile. Pochi consiglieri, scelti non dagli elettori ma da altri membri della casta, rigorosamente non pagati. Intere aree provinciali non rappresentate e Presidenti travicello, accompagnati da “delegati” (mai dire Assessori, è roba da Prima Repubblica) che danno una mano volonterosamente. E la burocrazia, nel frattempo, tutta confermata, ad esercitare il potere vero, ridendosela sotto i baffi per i “delegati” senza potere che pretendono di comandare e devono solo rispondere alla Magistratura se cade un ponte a Lecco o vien giù una valanga in Abruzzo.

Bel risultato. Risparmio di circa un caffè all’anno per i contribuenti che non “pagano” più i consiglieri, e costi invariati per i funzionari. Dovevano essere assorbiti dalle Regioni, ma là gli stipendi sono più alti e i costi sarebbero aumentati troppo, altro che taglio.

Si potrebbero fare altri esempi. I vitalizi non ci sono più dal 2012, ma restava una piccola area sfuggita al boia. Circa 2000 ottantenni a cui tagliarlo, per tener vivo il tema, accesa l’indignazione. Gli unici italiani in pensione, su 16 milioni di pensionati, a cui togliere dalla sera alla mattina dal 50% in su del credito derivante da un diritto riconosciuto trent’anni fa e più. Esattamente il contrario di quel che si dice: il non privilegio. Una manna per giuristi, un caso di scuola per chi vuol spiegare come muore uno stato di diritto. E un illusorio moltiplicatore di “risparmi” pubblici. C’è chi ha calcolato risparmi milionari per le prossime tre legislature, come se a tutti questi ex fosse garantita una longevità fino a 105 anni.

Sorridere per non piangere, specie quando autorevoli leader politici commentano una flebile sentenza favorevole alla fine della farsa, paragonando i vitalizi di pochi ex alla tardiva ma sicura erogazione della cassa integrazione, per inefficienza dell’INPS ora guidata dai nuovi arrivati.

L’ossessione delle “poltrone” (è il sostantivo più usato dai 5Stelle quando non vi sedevano), ha sempre condizionato qualunque giudizio. Anche Renzi si era inventato un Senato che doveva diventare il dopolavoro di consiglieri regionali perché ricevessero così un solo emolumento (che anche lui chiamava stipendio).

C’è andato di mezzo anche il Quirinale, usando l’appannaggio del Presidente come riferimento per gli stipendi pubblici. Nessuno prenda più del Presidente. Che criterio è? Come si può paragonare il Capo dello Stato ad un direttore generale in carriera, già di suo molto più in basso dell’equivalente nel settore privato?

Cose insensate, col risultato che Mattarella è circondato da personale di fiducia cui ha chiesto di non essere pagato, se già pensionato ad altro titolo. C’è del resto una legge, genialmente inventata da Marianna Madia, che impedisce ai pensionati di assumere incarichi retribuiti e comunque di poter restare anche gratis in quel posto non oltre un anno…  “i politici” inquinano. Se una bocciofila ha nel consiglio direttivo degli ex politici deve giustificarsi, e se sono troppi cacciarli via. In Banca devi dichiarare di essere un soggetto politicamente “sensibile”, come un condannato che ha scontato la pena.

Come non celebrare dunque il successo di un libro-programma? Ha voglia Mario Giordano, il cattivo imitatore di Stella e Rizzo, a strabuzzare gli occhi in tv e scrivere libri urlati, non riuscirà mai a raggiungere risultati così importanti, a parte la ben diversa raffinatezza ed eleganza di Rizzo, l’uomo del rigore, e di Stella, l’uomo della sottile e simpatica ironia. Mai volgarità.

Ma un Casta 2 ci vuole, perché se i risultati della parte destruens ci sono, il panorama che ha seguito le rovine non è certo incoraggiante. La denuncia ha provocato sconquassi ma non certo ha redento il sistema.

Il risultato vero è di avere allontanato dalla cosa pubblica i migliori. Un conto è abolire le preferenze e un conto è diventare “pluriministro” avendo ottenuto qualche decina di voti su una piattaforma segreta. Non è un progresso.

Il materiale per costruire il secondo volume è quindi potenzialmente molto abbondante, e riesce persino ad attenuare l’efficacia della prima puntata. Abbasso le auto blu, certo, ma che dire del Presidente Fico che va un giorno in autobus, e mai più? O del Ministro Di Maio che fa il selfie al suo biglietto in economy per il giubilo di fans si spera poco numerosi, perché farsi prendere in giro non dovrebbe piacere a nessuno?

E che dire del pentastellato pescato nel Mississippi per presiedere l’agenzia del lavoro e viaggia su e giù (in business, come è giusto) si rifiuta di rendicontare il fallimento del suo lavoro e risolve tutto giustificandosi perché non sapeva – quando ha accettato l’incarico – che i CinqueStelle erano populisti e quindi avevano un certo “impianto retorico”?  Nella Casta 1 c’era un capitolo intestato ad un commerciante di pesce diventato consulente per le Carceri del ministro della Giustizia, ma oggi c’è un compagno di scuola di Di Maio nel cda della più strategica azienda pubblica italiana, e un commesso di un negozio per animali incaricato di seguire il Next Generatio Eu per l’Italia intera.

Meglio fermarsi qui. C’è lavoro per Stella, Rizzo o chiunque vorrà cimentarsi nel bis.

Per ora, tagliamo i parlamentari così chiudiamo il primo capitolo in gloria. Sempre meglio che definire “sorda e grigia” l’Aula parlamentare.  In fondo, quell’assembramento è in violazione delle norme anti Covid e togliere un po’ di gente farà solo bene alla salute.

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