Mai alle urne in un clima così nevrotico. Il Paese andrà domenica 20 e lunedì 21 in luoghi fisicamente ansiogeni: le scuole. Una scelta incomprensibile, quella di aprire per forza il 14, poi richiudere e poi riaprire, in un susseguirsi di “sanificazioni” – una parola così dolce come una caramella – e di stress per tutti, studenti, bambini, genitori, docenti e non docenti. Ma non è solo di questo che si tratta.
Già, lunedì riaprono le scuole (molte no, non sono pronte) in un clima che da giorni è sovreccitato. Ed è sicuro che quello che accade normalmente ogni anno, cioè il caos, stavolta sarà molto più accentuato perché le misure anti-Covid non sono state approntate per tempo e per bene, e qui di mezzo c’è la cosa più importante di tutte, la salute (a cominciare da quella dei bambini): ecco perché l’Italia non è sull’orlo di una crisi di nervi ma già ben oltre, e non basteranno certo due-tre giorni per ottenere una normalità che forse nelle nostre scuole non vedremo mai. E non basta ancora.
Di ritorno dalle vacanze da anni Sessanta si è ripristinato il terrore del Covid, sebbene la situazione sia sotto controllo pur nella sua serietà, con la gente che appare già stanca ancora prima di aver iniziato l’anno lavorativo, per chi un lavoro ce l’ha ancora, s’intende (l’occupazione giovanile è ormai crollata sotto il 50%), mentre poco o nulla di positivo si vede di all’orizzonte – siamo ancora ai titoli dei famosi “piani” per ottenere i miliardi europei -, il vaccino forse non funziona, si dà la piazza a dei pazzi negazionisti, in Israele c’è il lockdown e la Corsica è zona rossa, il telegiornale è di nuovo portatore d’ansia, Zangrillo ha pure detto che Berlusconi poteva morire. Le persone sono preoccupate. La prospettiva di un anno così è devastante.
E infine si assiste sconcertati a episodi aberranti come l’omicidio di Willy a Colleferro e ieri la denuncia di stupro in quel Circeo che evoca la mostruosità del delitto del lontano 1975. Circa i due episodi, si riparla di fascismo, di botte, di violenza sessuale, i mostri di sempre di cui questo Paese non riesce a liberarsi e che risorgono puntuali dalle memorie dell’oltretomba.
Ora, nel bel mezzo della nevrosi collettiva generata da tutti questi fatti i cittadini vanno a votare in sette regioni dove i partiti stanno duellando attraverso alleanze varie, con candidati talvolta improbabili, in un mischione di messaggi spesso politicisti. C’è poi questo referendum su una legge inutile, anzi dannosa, che sta scaldando i cuori solamente dalla parte di chi vi si opporrà con un rotondo No.
L’impressione è che l’Italia profonda abbia ben altri problemi per la testa, anche perché non è obiettivamente facile districarsi fra un Pd che ha votato tre volte no a una riforma su cui ora chiede un Sì e una destra che è per il Sì ma sotto sotto è tentata di votare No. Anzi, neanche troppo sotto sotto. Un pezzo da novanta della Lega come Giancarlo Giorgetti voterà No: è il segnale del rompete le righe. Fiutano il vento, a destra, sentono che il No cresce. E si adeguano.
Pur in un clima generale di paura, di angosce, di nervosismo che ribollono nel fondo del Paese e che potrebbe diventare il propellente per una risposta di destra, tuttavia la Lega sbanda politicamente, inseguita dagli ennesimi arresti a Milano di persone legate alla gestione dei soldi “verdi”, con un leader che pronostica un irrealistico sette a zero, un’asticella troppo alta che gli verrà rinfacciata anche dai suoi che, con ragione, gli diranno: caro Matteo Salvini, hai mancato il bersaglio un’altra volta. E a quel punto potrebbe succedere di tutto, nella Lega di Zaia e Giorgetti.