Ora che il report delle autorità sanitarie tedesche ha fugato ogni dubbio (erano comunque pochi) circa il fatto che il più importante oppositore di Vladimir Putin, Alexandre Navalny, sia stato effettivamente avvelenato, restano ancora due domande sul tavolo. La prima è “Da chi?”. La seconda è “Chi prenderà il suo posto? Quale opposizione è possibile in Russia?”.
Le risposte alle due domande sono strettamente collegate. E se, probabilmente (nonostante le insistenze di Angela Merkel), non sapremo mai chi ha davvero ordinato ed eseguito l’avvelenamento di Navalny, allo stesso modo appare impossibile, oggi, sapere chi potrà o vorrà prendere il posto del leader dell’opposizione e denunciare, tutti i giorni, anche a costo della vita, il potere totalizzante di Putin e di Russia Unita.
Il problema, infatti, è che tolto di mezzo Navalny (per di più con il veleno, arma che non lasci traccia del suo latore) l’opposizione a Putin, oggi, appare decapitata, senza guida, senza forma, senza direzione. Come se dopo Navalny ci fosse solo il diluvio. «Alexandre Navalny – ci spiega Aldo Ferrari – docente di Storia della Russia a Venezia e direttore del dipartimento di studi sulla Russia all’Ispi di Milano- negli ultimi dieci anni, è stato l’unico leader politico capace di intestarsi un’opposizione efficace a Putin e al putinismo».
La forza di Navalny, per paradosso, è sempre stata quella di lavorare da solo, di non avere alle spalle un’organizzazione rigida e diffusa come potrebbe essere quella di un partito o di un associazione (se non la sua stessa “Fondazione contro la Corruzione”). Il che, se da un lato gli ha lasciato sempre le mani libere, dall’altro lo ha reso del tutto privo di eredi. «In Russia – continua Ferrari – di fatto non c’è opposizione. E non c’è per tre ragioni: la prima è che Putin, anche se agli occhi degli occidentali può non sembrare possibile, è davvero molto popolare tra i cittadini e gli elettori, specie nelle campagne. La seconda è che, negli anni, Putin è riuscito, con poco visibili, ma mirate ed efficaci, violenze e uccisioni a silenziare ogni tentativo di opposizione. La terza è che gli unici due partiti cui in teoria è delegata l’opposizione, quello Nazionalista e quello Comunista di fatto sono organici al sistema di potere del Presidente e la loro opposizione è solo di facciata».
Dunque, eliminati i cani sciolti come Navalny o Gary Kasparov (che oggi, stremato, vive in America e non fa più politica attiva preferendole i suoi amati scacchi) non c’è più nulla. «Dopo Navalny non c’è molto altro: eliminato lui, c’è una opposizione frantumata, non organizzata, che presumibilmente non impensierà il Presidente Putin».
Navalny, che pure era relativamente innocuo perché per una condanna ricevuta non poteva candidarsi a nessuna elezione, aveva trovato il modo per dare fastidio a Putin e a Russia Unita, e questo modo era la diffusione di controinformazione (capace di passare attraverso le maglie strette delle reti della censura putiniana) e il continuo insistere sul tasto della corruzione non tanto di Putin quanto dei suoi luogotenenti.
«Putin – ci dice ancora Ferrari – è ancora molto popolare, ma la sua cricca non lo è quasi per nulla. Anzi. Gli altri membri del governo e della dirigenza sono visti dai cittadini comuni come dei corrotti mangiapane a tradimento, che vivono all’ombra di Putin e che da lui, oltre che dalle persone comuni, succhiano ricchezza e potere».
Su questo Navalny puntava molto, come si può leggere nell’ultimo post del suo blog dedicato alle elezioni a Novosibirsk. Ora però Navalny è fuori dai giochi e la sua eredità politica scotta parecchio. Così tanto che nessuno, almeno per ora, sembra avere voglia di raccoglierla. Fanno troppa paura i casi della Bielorussa, le uccisioni degli ultimi anni e anche le intimidazioni economiche e informatiche che, da anni senza far rumore, mettono la sordina a ogni voce di dissenso.
L’ultimo caso, risale solo a pochi giorni fa: il 31 agosto la blogger (il suo canale Youtube ha un milione di iscritti) di opposizione Lyubov Sobol si è risvegliata con il conto in rosso per 400 mila euro (32 milioni di rubli). La ragione di un così grave ammanco era che il comune di Mosca le aveva addebitato tutte le spese (dalle corse straordinarie della metropolitana, all’impiego di forze di polizia) dovute sostenere nei giorni delle proteste da lei organizzate nel 2019 contro l’elezione del sindaco di Mosca, Serghej Sobjanin, fedelissimo di Putin. Contattata da Le Monde Sobol ha detto di non avere nessuna intenzione di farsi intimorire.