Non di rado accade di assistere al collasso di ponti nei fiumi. La causa non è da attribuire esclusivamente a carenze nella manutenzione strutturale: «spesso i piloni sono più vulnerabili per l’abbassamento del letto dei fiumi privato di sabbie e inerti – come ghiaia e argilla – asportati selvaggiamente».
A dichiararlo – chiedendo un cambio di rotta nella gestione degli specchi d’acqua considerando che i fiumi, i laghi e le zone umide sono ambienti naturali che forniscono servizi ecosistemici fondamentali – è Wwf Italia, la maggiore associazione ambientalista italiana.
Il 27 settembre questo concetto è stato steso nero su bianco nel report “SOS fiumi – manutenzione idraulica o gestione fluviale?“. Un documento in cui viene denunciato ciò che è stato definito come un «diffuso e indiscriminato attacco “legalizzato” ai nostri fiumi. Un po’ ovunque – si legge nella introduttiva nota del Wwf – continuano a essere autorizzati dalle Regioni interventi di taglio indiscriminato della vegetazione ripariale o di dragaggio degli alvei con la scusa di renderli più sicuri. Azioni in aperto contrasto con le direttive europee ma anche con la recente “Strategia dell’Ue sulla biodiversità per il 2030” che sottolinea l’importanza di mantenere il buono stato ecologico dei corsi d’acqua». Wwf ha avuto l’occasione di illustrare molti casi di recente manutenzione idraulica che hanno stravolto diversi corsi d’acqua italiani e che, in alcuni casi, hanno addirittura peggiorato la sicurezza lungo i fiumi. «Occorre adoperarsi di più per ristabilire gli ecosistemi di acqua dolce e le funzioni naturali dei fiumi. […] La loro gestione è complessa e non può essere affrontata con formulette semplicistiche del tipo “taglia e scava”».
Il 27 settembre, arrivato alla sua quindicesima edizione, è stato celebrato il “World rivers Day”, cioè la Giornata mondiale dei fiumi, un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica e incoraggiare una migliore gestione dei corsi d’acqua in tutto il mondo ma anche un momento in cui l’associazione ambientalista italiana ha voluto sottolineare come in Italia appena il 40% dei fiumi sia in buono stato, cioè rispetta e presenta i parametri stabiliti dalla Direttiva quadro sulle acque dell’Unione europea. Un altro dato poco rassicurante concerne il consumo di suolo lungo i corsi d’acqua. In Italia questo fenomeno continua ad aumentare un po’ ovunque: secondo il rapporto Ispra 2017 si tratta di un problema che riguarda, in Liguria, circa il 24% del territorio entro 150 metri dagli argini, in Trentino Alto Adige oltre il 12% e Veneto più del 10%.
«Si è irresponsabilmente continuato a costruire in aree pericolose che potevano essere meglio utilizzate per compensare i deficit di aree di esondazione, mentre così la percentuale di suolo consumato all’interno delle aree a pericolosità idraulica elevata è del 7,3%, mentre è del 10,5% nelle aree a pericolosità media, lasciando così oltre 7,7 milioni di italiani a rischio». Secondo l’associazione ambientalista, nonostante l’urgente necessità di riqualificarli questi siti vengono, invece, danneggiati.
«È indispensabile – si legge nel report – considerare la complessità degli ecosistemi d’acqua dolce, dei fiumi, garantire la loro vitalità affinché conservino o ripristino il più possibile la loro funzionalità ecologica per garantire i loro servizi ecosistemici». Tra questi, ad esempio, la capacità di autodepurarsi, di proteggere le sponde, di contenere le acque durante le piene, di ricaricare le falde, ma anche di regolare il ciclo idrologico e attenuare gli effetti del riscaldamento. Funzioni «tanto importanti per favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici». Per questo, secondo Wwf Italia, è indispensabile garantire un approccio interdisciplinare nella gestione del territorio e, in particolare, nella manutenzione dei fiumi: «è necessario coinvolgere geomorfologi, idrogeologi, botanici, ecologi, forestali, insomma le competenze ambientali che sono state fino ad ora generalmente escluse. Ma la tutela e gestione degli ecosistemi acquatici passa innanzitutto dalla corretta applicazione delle Direttive Europee – come la Direttiva Quadro Acque, la Direttiva Alluvioni, la Direttiva Habitat e la Direttiva Uccelli -, per le quali l’Italia è stata già sottoposta a diverse procedure Eu Pilot (il meccanismo di scambio di informazioni tra la Commissione europea e gli Stati membri su possibili criticità che possono scaturire dalla mancata o incorretta applicazione del diritto dell’Unione europea) e d’infrazione dalla Commissione Europea».
Ciò che Wwf chiede è l’avvio urgente di interventi per ridurre il rischio idrogeologico e migliorare lo stato ecologico dei corsi d’acqua e la tutela degli ecosistemi e della biodiversità.
«Sono interventi fondamentali per gli adattamenti ai cambiamenti climatici che le Regioni avrebbero dovuto realizzare già da anni; purtroppo ad oggi si contano sul palmo di una mano gli interventi messi in cantiere. Per questo si chiede che il Ministero dell’Ambiente e del Territorio e della Tutela del Mare di attuare un “potere sostitutivo” verso le regioni inadempienti e farsi carico di impiegare, in collaborazione con le Autorità di distretto nazionali, almeno il 20% dei fondi per il dissesto idrogeologico, per progetti di rinaturazione diffusa».
Il Wwf ha analizzato 26 recenti casi di “mala-manutenzione” dove con i cosiddetti interventi di manutenzione idraulica si è stravolto l’ecosistema fluviale, spesso peggiorando la sicurezza idraulica. È il caso, ad esempio, del fiume Savena in Emilia Romagna dove è stato distrutto il bosco ripariale per quasi 12 chilometri, aumentando anche il rischio idrogeologico: «rami, tronchi e altro materiale accumulatosi lungo il letto e che avrebbero potuto creare qualche problema non sono stati rimossi (perché senza valore economico), mentre sono stati tagliati migliaia di alberi (il cui valore economico è alto; la commercializzazione del legname da parte della ditta di “manutenzione” è in genere consentita e va a scomputo del costo di intervento, per cui più si taglia e più si guadagna) lungo la fascia fluviale. Risultato: è aumentata l’erosione spondale, è stata ridotta la capacità di “cattura” del materiale trasportato dal fiume durante le piene (i boschi ripariali trattengono gran parte del materiale fluitato) e, infine, si è determinato un maggior accumulo di materiale, rispetto alla situazione pre-intervento, alla base dei piloni dei ponti rendendoli così più vulnerabili». Gli altri 25 “casi” riguardano diverse regioni: Abruzzo (fiume Aterno, foro Francavilla al Mare, fosso Marino), Basilicata (Potenza fiume Basento), Emilia Romagna (torrente Savena, fiume Reno, fiume Uso), Liguria (fiume Vara), Marche (fiume Misa e fiume Musone), Lombardia (fiume Brembolo, Olona e Lambro), Puglia (fiume Ofanto), Toscana (fiume Crevole, Canale nella piana forentina, fiume Arno, Cecina, Ombrone, Canale nella Piana fiorentina, fiume Elsa e torrente Arbia e Merse), Sicilia (torrente Baiata), Veneto (Grave del Piave).
La manutenzione, fa intendere il Wwf, è necessaria ma deve essere mirata, basata su criteri che rispettino l’ambiente, e svolta dove è utile seguendo criteri e piani redatti con il coinvolgimento di geologi, forestali, ingegneri ambientali e biologi. Tuttavia ad oggi prevarrebbe un approccio esclusivamente “idraulico”. «Nulla di quanto è effettivamente necessario è stato recentemente promosso: l’adattamento ai cambiamenti climatici, che dovrebbe essere sviluppato prioritariamente sugli ecosistemi acquatici, è stato ignorato per promuovere grandi interventi infrastrutturali, gli inutili impianti di mini-idroelettrico nei corsi d’acqua naturale, la sistematica distruzione degli ambienti ripariali tramite devastanti tagli ed escavazioni in alveo».