Dacché la storia ricordi, la Senna ha sempre straripato. Nel maggio del 2016 la pioggia cadde per diverse settimane consecutive. La Senna si gonfiò, si agitò, divenne color del fango, straripò dagli argini e inondò la terraferma. L’amministrazione parigina chiuse le strade e spense i lampioni lungo il fiume. Il Louvre trasferì le sue inestimabili opere d’arte custodite nei sotterranei in magazzini più sicuri.
Il traffico fluviale in città venne sospeso. I ristoranti e i locali sul fiume vennero sommersi; alcuni vennero distrutti dalla piena. Seminterrati, parcheggi sotterranei e gallerie furono invasi dall’acqua. La circolazione della metropolitana e dei treni extraurbani venne interrotta. Migliaia di persone furono evacuate dalle città intorno alla capitale. Una donna di ottantasei anni venne trovata morta nella sua casa allagata. Venerdì 3 giugno la Senna raggiunse il livello più alto mai toccato in trentaquattro anni, oltre sei metri. Quel giorno c’era una sola persona che potevo chiamare: il mio vecchio amico Mort.
Mort Rosenblum è uno scrittore ed ex corrispondente di guerra che vive su una nave britannica in disarmo ormeggiata nella Senna. È lunga più di sedici metri, assai meno di un freycinet, la tipica chiatta che arriva quasi a quaranta metri progettata per superare le chiuse lungo il fiume e, ristrutturata ad arte, ottima anche come abitazione.
Quella di Mort è una scattante imbarcazione militare pensata per operare in mare aperto. Conosco il nome della nave, ma lui preferisce che non si sappia in giro. Fu lui stesso a concepirlo, venticinque anni fa, quando scrisse un memoir sulla sua vita sul fiume.
La maggior parte delle case sulla Senna sono chiatte ristrutturate, ma, come nel caso della nave militare di Mort, molte residenze galleggianti sono piuttosto rare e bizzarre, fra cui alcuni vascelli di legno antichi di secoli e almeno una giunca cinese. Guardando giù da un ponte, non si può fare a meno di chiedersi come dev’essere vivere lì sopra.
Mort ha passato da poco la settantina, ma porta ancora i jeans abbassati sulla vita stretta e la chioma arruffata e vaporosa. Ha scritto libri su argomenti disparati come il cioccolato e l’olio d’oliva. Vive con la moglie, Jeannette, ma poiché lei è spesso in viaggio per lavoro, il natante è il regno di Mort.
Adora i gatti e i sigari Cohiba, gli stessi che fumava Fidel Castro. È allergico alle muffe e agli acari della polvere; la barca ne è piena, così ogni tanto deve fare i conti con l’asma. Quando parla, bisogna prestare molta attenzione a quello che dice; certe volte le parole gli escono così in fretta che inciampano su se stesse.
Nel 1987 Mort viveva al quinto piano di un vecchio stabile senza ascensore sull’Ile Saint-Louis; poi il padrone di casa trovò un inquilino migliore e lo sfrattò. In quel periodo Mort dirigeva la sede parigina della Associated Press, e quando un collega inglese e la moglie decisero di vendere la loro casa galleggiante e tornare in patria, lui decise di comprarla.
«Bastò un pranzo sul ponte», scrisse nel suo memoir. All’epoca Mort non sapeva nulla di barche, e si definiva «un figlio del deserto dell’Arizona e un imbranato in fatto di chiavi inglesi e pennelli».
Mort e io ci conoscemmo nel 1978, quando viveva ancora sulla terraferma. Ero appena arrivata a Parigi come corrispondente per Newsweek.
Mort dirigeva un grande ufficio un piano sotto la nostra sede al 162 di rue du Faubourg Saint-Honoré, non lontano dal palazzo dell’Eliseo e dalle boutique di abbigliamento di lusso, uno degli indirizzi giornalistici più chic della città.
Era un’epoca in cui molti corrispondenti esteri americani volavano in prima classe, ricevevano compensi alquanto generosi e potevano permettersi di inserire nella nota spese le cene nei tre stelle Michelin. Mort era un veterano che aveva girato il mondo: aveva seguito diversi conflitti – Vietnam, Congo – e diretto agenzie a Kinshasa, Lagos, Kuala Lumpur, Giacarta, Singapore e Buenos Aires.
Io, invece, mi stavo occupando della siccità in Kansas e dei futures sulla pancetta di maiale a Chicago. Più tardi sarei tornata a Parigi, dopo un periodo a Roma e due decenni a New York e Washington, come caporedattrice del New York Times. Ma durante la mia prima permanenza in città ero ancora inesperta, e Mort mi elargì molte delle sue conoscenze.
Mort è un’enciclopedia vivente sulla Senna. Tutti i giornalisti sono dei narratori, e Mort è grandioso. Scoppia a ridere quando parla della sua vita sulla terraferma, quando i suoi vestiti non emanavano un cattivo odore e abitava in un appartamento caldo e asciutto, in un affascinante palazzo antico con il camino e un roseto sulla terrazza.
Vi parlerebbe dell’estate del 1992, quando l’acqua era tiepida, il livello di ossigeno basso, e migliaia di tonnellate di pesci morivano e marcivano nel fiume. Si ricorda della Piscine Deligny, una piscina all’aperto galleggiante ormeggiata vicino al Musée d’Orsay, dove – finché la piattaforma non affondò nel 1993 – le donne stavano in topless e gli uomini facevano il bagno nudi.
All’epoca dell’inondazione del 2016, Mort e io non ci sentivamo da qualche anno. Scovai un suo vecchio numero di cellulare e lo chiamai.
«Vieni a trovarmi a casa» mi disse.
« Non potremmo vederci sulla terraferma? » ribattei. «Che ne dici se ti offro il pranzo?»
«Non puoi perderti un momento simile!» insistette lui. «Sbrigati! Se vuoi vedere la Senna, devi venire quassù».
da “La Senna. Storia e mito”, di Elaine Sciolino, Guanda, 2020