«Se si è in qualche modo interessati alla crisi climatica e all’ambiente, l’elezione di Biden è senza dubbio una buona notizia. La migliore notizia del 2020, su questo fronte. Quanto buona rimarrà, però, dipende da molti fattori, tutti in divenire», sottolinea il giornalista de Il Messaggero Nicolas Lozito, curatore della newsletter incentrata sulla comunicazione green “Il colore verde”.
Dal 2017, anno della proclamazione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, l’amministrazione repubblicana ha smantellato le principali politiche climatiche precedenti, annullando regole e leggi federali a tutela di ecosistemi e biodiversità: 84 sono state messe fuori gioco e 20 inserite nel processo che le avrebbe portate a diventarlo. Si tratta di strategie che le amministrazioni antecedenti avevano adottato per gestire settori cruciali quali le attività estrattive ed edilizie, le energie rinnovabili ma anche per affrontare criticità urgenti come l’inquinamento atmosferico e idrico, la tutela di biodiversità ed ecosistemi, la contaminazione da sostanze chimiche tossiche.
«Biden ha promesso di mettere la lotta al cambiamento climatico al centro della sua agenda e fin dal primo giorno in carica vuole firmare ordini esecutivi, organizzare incontri, direzionare la politica e le strategie delle agenzie federali. La prima cosa che farà, sarà rientrare negli accordi di Parigi, dopo che Trump è uscito all’indomani delle elezioni. Con qualche firma, il democratico può ripristinare molto di quanto tolto in questi quattro anni dall’amministrazione repubblicana», spiega Lozito.
Durante la sua campagna elettorale il neo presidente democratico Joe Biden ha presentato un ambizioso piano da 2000 miliardi di dollari per una transizione ecologica che annulli le fonti fossili in 15 anni e che renda gli Stati Uniti un paese a emissioni zero entro il 2050 affidandosi solo a fonti rinnovabili. Questo implica modificare radicalmente il modo di produrre energia che ora negli Usa dipende per l’80% da petrolio, gas e altri idrocarburi. «Il progetto è ambiziosissimo, e probabilmente è servito in campagna elettorale ad avvicinare Biden alle posizioni della sinistra più radicale (e verde) di Bernie Sanders, Elizabeth Warren e Alexandria Ocasio-Cortez. Dovesse essere messo in pratica come da programma non solo rallenterebbe il surriscaldamento globale, ma lo potrebbe ridurre di 0.1°C per il 2100», come sottolinea uno studio di Climate Action Taker.
Ma il piano dovrà essere negoziato. Tanto con i repubblicani, che potrebbero tenere la maggioranza al Senato, quanto con le varie anime del partito democratico e della sinistra americana. «Nonostante Biden abbia promesso che la transizione energetica porterà benessere e posti di lavoro, le unions, i sindacati americani, non accetteranno mai un piano che distrugga il settore del petrolio e faccia finire a casa migliaia e migliaia di lavoratori. Nemmeno la sinistra più centrista, ancora legata alle lobby degli idrocarburi, sembra sposare in pieno la transizione energetica, mentre la sinistra più progressista non intende parlare di formule leggere di green new deal che non portino un cambiamento concreto all’approvvigionamento energetico».
Secondo Andrew Steer, presidente e Ceo del World Resources Institute, città, stati e imprese statunitensi hanno continuato, anche negli ultimi quattro anni, a impegnarsi per compiere progressi nell’affrontare il cambiamento climatico, nonostante la mancanza di una guida attenta al green. Tuttavia, ora si rende necessario un coordinamento diretto tra i leader nazionali, statali e locali «per un’economia a basse emissioni di carbonio, alimentata da una crescita equa e sostenibile. I leader dovrebbero sollecitare il Congresso a unirsi allo sforzo nazionale».
Secondo Steer, nei suoi primi cento giorni di governo il neo presidente dovrebbe tracciare una nuova rotta accelerando la transizione energetica e ripristinando norme e regolamenti a tutela di salute pubblica e ambiente. Per agire in questo senso, Biden dovrà lavorare con il Congresso istituendo un pacchetto di stimoli climatici ed economici per la ripartenza post Covid e formulando strategie per migliorare la resilienza climatica, ridurre le emissioni e potenziare l’uso di energia pulita. Spingendo così gli Stati Uniti a ridurre le emissioni totali di gas serra del 45-50% entro il 2030, promuovere l’obbligo per la vendita di auto a zero emissioni dal 2035, aumentare gli standard di energia elettrica pulita (55% entro il 2025, al 75% entro il 2030 e al 100% entro il 2035).
Ma anche combattere i super inquinanti, agevolare i sistemi di sostituzione dei combustibili fossili, migliorare il riciclo dei materiali e abbattere le emissioni industriali. E infine progettare più azioni per ridurre la CO2, pensare a eventuali tasse sul carbone e sui fossili e ristabilire la leadership internazionale degli Stati Uniti. «Questo è un nuovo giorno per il clima, l’ambiente e il popolo americano – ha sostenuto Steer – L’opportunità per un domani migliore è possibile. Non c’è un minuto da perdere».
«Biden potrà fare molte cose – dichiara Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club di QualEnergia, presidente di Exalto Energy&Innovation e direttore del Comitato scientifico di KeyEnergy -, come trovare un’alleanza in materia di politiche ambientali anche con una parte dei repubblicani. Infatti, le energie rinnovabili, ad esempio, riscontrano grande consenso, grazie alla loro capacità di offrire nuovi posti di lavoro, in zone repubblicane come il Texas e gli stati del centro America».
Secondo Silvestrini, con o senza l’accordo con il Senato, grazie a Biden l’America lancerà alla comunità internazionale una serie di messaggi mirati e rapidi, con il ritorno all’interno dell’Accordo di Parigi, e contribuirà al rilancio internazionale dell’eco-diplomazia. «Probabilmente con compromessi, se non vincerà in Senato, ma è molto probabile che Biden adotterà politiche più aggressive sul versante climatico, delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica, della mobilità elettrica, spinto dall’ala più progressista del suo partito».
«Malgrado fossero in piena era Trump – continua Silvestrini -, gli Usa hanno continuato a diminuire l’affidamento al carbone perché poco economico, e nel 2019 la potenza elettrica aggiuntiva da cui il Paese è dipeso è stata per il 40% derivante dal fotovoltaico e per il 27% dall’eolico. Questo ci fa capire ancora di più che “la grande onda verde” è inarrestabile».