Sono state depositate le motivazioni della pronuncia con cui lo scorso 15 settembre la Corte di Cassazione ha annullato il provvedimento di sequestro di pc ed email disposto dai pubblici ministeri nei confronti dell’imprenditore Davide Serra, nell’ambito dell’inchiesta avviata dalla procura di Firenze sull’ex fondazione renziana Open, accusata di aver agito come “articolazione di partito”, violando la legge sul finanziamento ai partiti.
L’argomentazione dell’annullamento (senza rinvio al Riesame) delle perquisizioni ai finanziatori non indagati critica le finalità dei sequestri, non effettuati per cercare conferme alle ipotesi accusatorie ma per ricercare a strascico notizie di reato.
La decisione della Cassazione di accogliere il ricorso dell’imprenditore Marco Carrai e di Davide Serra contro il sequestro di documenti e computer (ora restituiti), nello specifico, aveva già cambiato il quadro delineato dall’inchiesta toscana secondo cui la Fondazione Open aveva «agito, a prescindere dal suo scopo istituzionale, quale articolazione di partito». Da qui erano partite le accuse di finanziamento illecito, ora messe in discussione dalla Cassazione.
Il ricorso, presentato dall’avvocato di Davide Serra, Alessandro Pistochini, è stato quindi recepito praticamente in pieno dai giudici della Sesta Sezione della Suprema Corte. E a tremare adesso è l’intero impianto accusatorio. Quella di oggi è una vittoria per Davide Serra, che tuttavia nei prossimi giorni potrebbe essere seguita da altre motivazioni analoghe: un provvedimento simile è infatti atteso per tutti i sostenitori della Fondazione.
I giudici partono precisando che i finanziatori erano «terzi» all’ormai traballante inchiesta, che vede indagati per finanziamento illecito ai partiti l’avvocato Alberto Bianchi, presidente della Fondazione chiusa nel 2018, e il consigliere Marco Carrai. «In tale prospettiva il decreto di sequestro avrebbe dovuto indicare con precisione il nesso strumentale che legherebbe il pc aziendale e le mail estratte dalle caselle di posta elettronica volte ad accertare i fatti di reato».
Secondo i giudici della Suprema Corte, che hanno rilevato «assenza di indicazioni circa la rilevanza probatoria», non era quindi pertinente alla contestazione della procura prendersi i beni personali in questione. Sono state ritenute «inidonee» anche le giustificazioni sull’utilizzo di stringenti parole chiave per estrapolare solo quello che era utile a fini investigativi: «Le chiavi di ricerca non erano comunque capaci di garantire il rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza», ed esse «non trovavano la loro fonte nel decreto di sequestro, ferma restando la genericità di gran parte di esse» si legge nelle motivazioni.
La Cassazione ha contestato anche lo scheletro dell’indagine, ovvero l’accusa che considera Open un’articolazione di partito, collegata quindi al finanziamento illecito effettuato da privati. Nel caso di Serra: la triangolazione con gli investimenti in società lussemburghesi, la Wadi, riferibili a Marco Carrai. «Nel caso di specie le scarne informazioni fornite – si legge ancora -, in aggiunta all’assunto di una concomitante attività di finanziamento della Fondazione, non consentono in alcun modo di prospettare il tipo di condotta cui sono correlate le attività investigative, non comprendendosi in che modo il reato sia attribuibile al Carrai o a terzi in relazione ad una mediazione illecita richiesta o all’incarico di remunerare pubblici ufficiali per un atto contrario ai doveri di ufficio».
La motivazione della sentenza «ci soddisfa pienamente, perché vede riconosciuta la fondatezza delle ragioni che hanno fin da subito animato e sorretto la ferma opposizione ad una iniziativa investigativa che abbiamo fin da subito percepito come contraria ai principi di diritto» afferma il difensore di Davide Serra e di Algebris Investments, l’avvocato Alessandro Pistochini.
La Corte di Cassazione «non manca ulteriormente di rimarcare come, nonostante l’indiscussa estraneità di Davide Serra ed Algebris ai reati ipotizzati, il decreto di sequestro nulla dicesse in ordine alle ragioni, ritenute poi dalla Cassazione insussistenti, per le quali sarebbe stato legittimo acquisire mail e supporti informatici per approfondire sul piano investigativo un fatto di reato in alcun modo riconducibile a Davide Serra» conclude il legale.