L’arte è soggettiva, ovvero si specchia nei nostri occhi e quello che ne esce è un’immagine gradita o sgradita. E, se l’arte di strada è una forma di arte in equilibrio tra il legale e l’illegale, anche nel writing esistono canoni artistici. Molti writers si muovono in un anonimato in cui non si conosce quasi mai il nome vero dell’autore. L’identificazione di un writer ricorda il far west dove i writer sono ricercati e l’autore viene “catturato”. Negli scorsi giorni Geco, un writer, ovvero un artista che scrive sui muri, è stato identificato e denunciato dalla polizia locale di Roma.
L’eventuale punizione della persona che sta dietro ai graffiti con la scritta Geco ha suscitato forti polemiche. Ma non per l’identificazione dell’autore in sé. Molto deriva anche dal post Facebook della sindaca di Roma Virginia Raggi, che metteva in mostra gli attrezzi del writer e annunciava l’identificazione del colpevole. Un anno di indagini. Diverse le reazioni, una su tutte quella del deputato del Partito democratico Matteo Orfini, che ha scritto su Twitter: «prima le telecamere puntate sulle scuole. Poi un writer trattato come un mafioso. Leggere e interpretare una città solo con la lente del decoro e della sicurezza non può essere la soluzione. Anzi semmai è parte (non piccola) del problema». I problemi di Roma sono altri.
Diverse persone hanno fatto paragoni con Banksy; la stessa Raggi segue solo 17 persone su Instagram, tra cui Banksy.
Si potrebbe obiettare che l’arte di Banksy sia bella e ricca di significato, quella di Geco facciamo fatica a definirla.
Banksy rimanda un messaggio. Il problema di Geco è che la sua arte è scrivere il suo nickname su un muro senza elaborare forme differenti. Molti writers hanno iniziato così. Poi, magari sono passati legalmente a dipingere o abbellire zone della città. Keith Haring usava come spazio espositivo la metropolitana di New York.
E se da un lato ci sentiremmo violati nel vedere il nostro palazzo imbrattato (chi non si arrabbierebbe?), il blocco di un writer è vissuto come censura artistica. Se sul nostro garage apparisse un graffito di Banksy, lo staccheremmo dal muro e lo rivenderemmo a Sotheby’s.
Resta il fatto che dipingere sui muri è illegale, gli articoli di legge da guardare per configurare un “reato” che si inscrive nel penale per danneggiamento sono il 639 e il 635. I danni imputabili a Geco sono potenzialmente milionari.
Quella di Geco non è arte, quella di Banksy sì. Soggettivamente questo assunto potrebbe essere corretto, oggettivamente c’è qualche problema. Questa storia apre un dibattito morale: dovremmo bloccare anche artisti di opere belle o Geco si può bloccare perché le sue sono opere brutte?
Geco non disegna: scrive semplicemente il suo nome d’arte su monumenti e palazzi. Nel gergo tecnico scrivere il proprio nome su un muro, si chiama tag. Il tag è la firma; è ciò che identifica un writer e lo distingue dagli altri. In pratica, è la prima cosa che una persona sceglie quando si diventa writer. Riempire di scritte una città per far conoscere il proprio nome si chiama bombing.
Per farlo, Geco ha sfidato la forza di gravità. Prodezze atletiche di questo ragazzo quasi trentenne a Roma e Lisbona. Graffiti su posti difficili da raggiungere. «Voglio diffondere il mio nome», diceva in un’intervista sul sito portoghese Ocorvo.
Ma ci sono diversi artisti bravissimi oltre a Banksy e Haring (me li ha fatti conoscere un amico disegnatore). Cercando su Google, ad ogni sigla ho messo un giudizio. Giudizio soggettivo, perché alla fine, l’arte cos’è se non una somma di giudizi soggettivi su un’opera? Van Gogh in vita non era stato capito. Qui ci sono i miei giudizi sui nomi di writers che mi ha passato il mio amico: Fortress, mi piace; Blu, mi piace; Jorit, really impressive; TVboy, molto significativo; Futura, non mi piace ma è arte; C2C, non mi piace. Ma una sola opinione non conta, è l’insieme di opinioni soggettive che delinea la percezione universale.
Cosa fa dell’arte arte? Una banana potrebbe non dire nulla: Cattelan ormai piace. Se vogliamo sorridere un po’, c’è un museo: si chiama MOBA (ripreso un po’ da Moma) e colleziona opere d’arte ritenute brutte.
Ma qual è la differenza tra oggettività e soggettività? E, soprattutto, esiste una differenza? Perché è da qui che parte la polemica su Geco, idee discordanti si scontrano perché si pensa all’opera di Geco come a un’opera brutta. La street art si impadronisce delle strade perché è una forma d’arte probabilmente contraria a un’estetica comune, un’arte non accettata. Ma se il bello e il brutto sono soggettivi e l’arte stessa si muove sul filo di soggettività e oggettività, il discorso che si apre è quasi filosofico. Ah, filosofeggiare. È nata prima la gallina o l’uovo? Si potrebbe anche tirare fuori il vantaggio incolmabile della tartaruga su Achille.