Il Trump tradito
Il tradimento del Capo è un passaggio necessario nella narrazione della caduta dei leader fascisti e dintorni, che non possono ammetter di aver perso; e poi il tradimento è da vendicare, e si mantiene la conflittualità, e l’attenzione. Per questo ora c’è la leggenda trumpiana dell’elezione rubata: di Donald Trump tradito dal deep state che ha truccato le elezioni, dai membri della sua amministrazione che non hanno obbedito e vengono cacciati via tweet. E ieri dal giudice da lui nominato, e fatto approvare con fatica, alla Corte Suprema, Brett Kavanaugh.
Kavanaugh ha fatto capire che la Corte potrebbe non bocciare l’Obamacare, come Trump voleva. E poi Boris Johnson si è congratulato con Joe Biden. E il responsabile delle indagini sui brogli elettorali del Dipartimento della Giustizia si è dimesso per non dare retta all’Attorney General Bill Barr. E la Casa Bianca di Trump è diventata una specie di bunker da cui non si sa chi verrà fuori, e quando.
Al 1600 di Pennsylvania Avenue c’è Trump con i suoi collaboratori più stretti, che sono stati definiti «prima truffatori e poi fascisti», il che non è una garanzia democratica. In giro per Washington, ci sono capi e funzionari delle agenzie governative a cui Trump ha vietato di aver a che fare col transition team di Joe Biden finché lui non ha concesso la sconfitta, e potrebbe non succedere (gli ha vietato pure di cercare lavoro, se scoperti verranno buttati fuori). Il presidente eletto, Joe Biden, non riceve ancora i briefing sulla sicurezza nazionale perché Trump non vuole. L’amministrazione è nel delirio, il segretario alla Difesa è stato cacciato l’altro ieri, i prossimi licenziamenti potrebbero decapitare FBI e CIA. Forse per non farsi licenziare, il segretario di Stato Mike Pompeo ha detto ieri di voler assicurare «una transizione senza intoppi verso una seconda amministrazione Trump» (sì, è tutto strano, ora, a Washington).
Il premio Cuor di Leone
Quest’anno va ai repubblicani in Congresso. Solo quattro senatori su 53 (Romney, Murkowski, Collins e Sasse) si sono congratulati ufficialmente con Biden. Ma ieri il democratico Chris Coons del Delaware, stato del presidente eletto, ha raccontato alla CNN un’altra storia. Molti repubblicani sono andati da Coons per fare segretamente gli auguri a Biden. Spiegando di non poterlo ancora fare perché Trump insiste a non concedere. Ma anche per paura della base supertrumpiana, e dei conduttori tv e radio di destra che li massacrerebbero.
Il Washington Post racconta come alcuni parlamentari vedano «del valore nell’assicurare la correttezza dei risultati». Mentre altri descrivono «una situazione caotica» e sperano di potere, più in là, convincere Trump a cooperare per un passaggio pacifico dei poteri. «Che male c’è ad assecondarlo per un po?», ha detto un repubblicano alto in grado al Post. «Nessuno pensa che i risultati cambieranno. Lui nel weekend ha giocato a golf. Sta twittando di cause per brogli, le cause falliranno, lui twitterà su come gli hanno rubato l’elezione, e poi andrà a casa». Altri dicono che, per andare a casa, vuole delle garanzie (ha indagini in corso e centinaia di milioni di debiti; altri in famiglia e nell’amministrazione rischiano guai giudiziari, e altro).
Real Daughters of Donald Trump
Tutti si aspettano che la famiglia Trump commercializzi il folklore sull’elezione rubata. Che potrebbe rendere i lealisti trumpiani ancora più desiderosi di comprare, secondo il New York Magazine, «bandiere, cravatte, cappelli MAGA, forse anche diplomi a una rediviva Trump University» (la precedente aveva chiuso tra molte cause per truffa, e molti risarcimenti pagati nel 2016). E potrebbero diventare spettatori della Trump TV, se ci sarà. O comprare biglietti per serate con Trump che grida. O guardare il reality di Ivanka, lei si sta proponendo, dicono. Dicono anche che detesti l’idea, che vorrebbe ancora girare per eventi di livello come Davos e Aspen, ma è difficile che la invitino ancora. Come è improbabile che la si riveda in tempi brevi al Met Gala, o ad altre feste ufficialmente benefiche a Manhattan.
«Chi è veramente miliardario può venire accettato di nuovo», ha spiegato nel suo podcast The New Abnormal Molly Jong-Fast, commentatrice di sinistra dell’Upper East Side. Perché può far dimenticare l’appoggio a Trump con donazioni giganti. «Ma Ivanka non è abbastanza ricca e non verrà perdonata» (suo marito Jared Kushner ha gestito da cani la pandemia dalla Casa Bianca; per contrappasso, causa pandemia, i suoi immobili uso ufficio ora valgono molto meno).
Forse Ivanka diventerà una star da reality, o forse no. Pare troppo ingessata e bamboleggiante. Senza il carisma, per dire, di una Lisa Vanderpump di Real Housewives of Beverly Hills. Ma non è detto, anche il fratello maggiore veniva considerato un deficiente smidollato e ora è l’idolo dei MAGA, dei trumpiani più ruspanti che come lui amano le armi e vanno a caccia appena possono. Don junior gli piace moltissimo anche perché, secondo Rick Wilson del Lincoln Project «parla un fluente asshole», insomma sa parlare da stronzo agli stronzi. Più in là potrebbe trasferirsi in Montana o in Wyoming, stati repubblicanissimi e poco popolati, dove non bisogna spendere troppo in spot, e correre per il Senato (sembra un’idea, ora, tra due anni chissà).
Il partito più pazzo del mondo
Il 70 per cento dei repubblicani pensa che il risultato delle elezioni sia dubbio. Il 72 dei repubblicani, dieci anni fa, non era sicuro che Barack Obama fosse nato negli Stati Uniti. Quest’anno il 66 per cento dei repubblicani, in varie gradazioni, non rigetta le storie di Qanon sulla cabala di politici e celebrità che bevono il sangue dei bambini. Loro sono la base di Trump. E sono un pezzo di America difficilissimo da raggiungere per i democratici e problematico per i repubblicani. Che sembrano ormai il partito più pazzo del mondo, tra teorie complottiste, eletti pittoreschi, un presidente uscente fuori di testa, una battaglia contro i presunti brogli culminata nella conferenza stampa di Rudy Giuliani nell’ora famosissimo parcheggio del Four Seasons Total Landscaping, una ditta di giardinaggio di Philadelphia lontanissima dal bling bling trumpiano (ma vicinissima all’habitat del lealista trumpiano, quindi tutto bene, anzi no).
Le clausole trumpiane in piccolo
Alcune brutte persone -in genere reporter- che sono nelle mailing list della campagna di Trump senza sostenerlo, stanno condividendo sui social le foto delle email in cui chiedono soldi per i ricorsi e le riconte. Sui moduli per contribuire online, nelle clausole in piccolo, si legge che il 60 per cento delle donazioni verranno usate per «l’estinzione del debito elettorale». Anche per questo – insistono le brutte persone – Trump non concederà per un po’, deve finire di pagare.
Georgia nella mente di tutti
Fino ai primi di gennaio non ci sarà pace in Georgia. I ballottaggi sono l’ultima speranza dei democratici di avere la maggioranza in Senato. I loro candidati sono il pastore della chiesa di Martin Luther King, Raphael Warnock, un tipo occhialuto e simpatico; e l’ex giornalista Jon Ossoff, giovane, fighetto, moderato, uno di quei candidati con cui i vertici democratici amano perdere (ha già perso alla Camera). Corrono contro la ricca Kelly Loeffler che dopo il Covid è ancora più ricca (dopo i briefing riservati sulla pandemia è uscita da tutti gli investimenti a rischio, continuando a dire pubblicamente che era solo un’influenza) e David Perdue, quello che dice «Kamala-mala-mala».
Loffler e Perdue hanno appena chiesto le dimissioni del segretario di Stato Brad Raffensperger, repubblicano, per i suoi “troppi errori” nella gestione del voto (non dicono quali). Raffensperger ha trovato la richiesta “da ridere”, ma al momento nessuno ride, sono tutti nervosi. I democratici di Stacey Abrams, dopo aver portato la Georgia a Biden a furia di registrare elettori afroamericani, devono riportarli a votare (e suggeriscono a Kamala Harris di venire molto spesso).
I repubblicani devono far rieleggere due senatori non popolarissimi, e non hanno più il traino del candidato Trump (ma arriveranno tutti i senatori che vogliono candidarsi nel 2024). I repubblicani sono comunque favoriti. I democratici speranzosi dicono che le pazzie di Trump in questo periodo potrebbero allontanare i repubblicani benestanti dei sobborghi di Atlanta. Il leader del Senato Mitch McConnell deve riportare i due senatori a Washington, altrimenti perde il posto, e anche per questo non rompe con Trump, amato nella Georgia rurale. Gli unici vincitori, al momento, sono i consulenti elettorali e le stazioni tv locali, che avranno altri milioni per miliardi di forse inutili spot.
Florida Men, Mike va in vacanza
Mike Pence, la persona più controllata della presidenza Trump, parrebbe l’opposto del Florida Man. Non è del tutto giusto: molti Florida Men colti a fare le cose più assurde e/o truculente vengono da devote ed emotivamente compresse zone del Midwest, come l’Indiana di Pence. Arrivavano col treno, ora in aereo o in macchina, nella più vicina West Coast, sul golfo del Messico, diversa dal South Florida. La West Florida è molto più bianca e molto più reazionaria, ed è la costa delle vacanze di Mike Pence. Ieri è partito con la famiglia per Sanibel, un’isola collegata da un ponte e abitata d’inverno da ricchi conservatori (la vacanza fa pensare che Pence non sia interessatissimo ai ricorsi).
Florida Men, Ron apre tutto
Il futuro politico dello stato (è ormai solidamente repubblicano? Tornerà contendibile?) potrebbe dipendere da quale gruppo sociale sopravviverà più numeroso al Covid. Gli ebrei liberal della Broward County? I giovani gay di Wilton Manors, il secondo comune più queer d’America? O i vecchi repubblicani di Fort Myers, o gli ultrareazionari della Redneck Riviera? La domanda non è oziosa. Il governatore trumpianissimo Ron DeSantis sta lavorando all’immunità di gregge. Con un ordine esecutivo ha riaperto tutto, tolto le restrizioni per bar e ristoranti, e ha vietato alle amministrazioni locali di mettere obblighi di mascherina e distanziamento (in attesa della community immunity, la Florida è arrivata a 17 mila morti, quindi auguri).