A fine anno si chiuderà un’era nel mondo informatico. Nel 2021 sarà ufficiale la morte di Flash Player. Un nome che probabilmente suonerà familiare anche agli utenti meno esperti in materia: si tratta di una delle architravi del web da circa un ventennio.
Adobe aveva creato Flash Player intorno alla metà degli anni Novanta per dar vita ad animazioni vettoriali e giochi e per permettere la riproduzione di alcuni prodotti multimediali sul web. Ma una volta riposto in soffitta Flash Player i contenuti basati su questo software verranno bloccati e le pagine web non saranno visibili.
Non sarà una rivoluzione. «La morte di Flash Player non dovrebbe creare problemi agli utenti, almeno in teoria», dice a Linkiesta il divulgatore informatico Francesco Bindi. Questo perché già nel 2017 Adobe aveva indicato dicembre 2020 come la data di fine vita del suo progetto. «Non è come quando siamo passati in poco tempo da Windows 7 a Windows 8 e poi 10, che cambiava tutto. Magari alcuni siti, costruiti un po’ alla vecchia maniera, dovranno adeguarsi. Ma è un problema che interessa più gli sviluppatori, ammesso che nel frattempo non si siano già adeguati», dice Bindi.
Il software di Adobe è già superato: il nuovo linguaggio HTML5 – ma ci sono anche WebGL o WebAssembly – ha preso il posto Adobe Flash, perfezionando qualità e velocità nel caricamento dei siti. «Sono trasformazioni abbastanza frequenti nel mondo informatico, vengono introdotte ogniqualvolta si trova un sistema per semplificare e velocizzare i processi, per renderli più comodi agli utenti. Ovviamente qui l’annuncio della chiusura è stato dato in anticipo perché è stato utilizzato moltissimo e bisognava dare a tutti la possibilità di aggiornarsi», dice Bindi.
Già cinque anni fa solo il 6 per cento dei siti richiedeva l’utilizzo di Flash Player per visualizzare i video, un dato che poi si è assottigliato verso l’1 per cento già nel 2018, quando HTML5 era già più diffusa.La fine del 2020 segna la chiusura di un’era nel mondo informatico. Con l’arrivo del 2021 sarà ufficializzata la morte di Flash Player. Un nome che probabilmente suonerà familiare anche agli utenti meno esperti in materia: si tratta di una delle architravi del web da circa un ventennio.
Il lavoro delle grandi piattaforme online quindi è andato proprio in questa direzione: il product manager di Google Chrome Anthony Laforge ha spiegato che nell’ultimo periodo «si è lavorato a stretto contatto con Adobe, altri browser e diversi attori informatici per assicurarsi che il web sia pronto per assorbire l’addio a Flash. Gli utenti potrebbero non notare la differenza, tranne che non vedranno più i messaggi che chiedono di abilitare le sue funzioni».
Sebbene sia stato uno strumento di grande successo Flash ha sempre portato con sé alcuni difetti: il grande consumo di batterie per i pc portatili, oltre alla già citata la lentezza nel caricamento di alcune pagine.
L’obsolescenza di Flash non riguarda solo le prestazioni ma riguarda anche la sfera della sicurezza informatica. Lo spiega a Linkiesta Vincenzo Colarocco, responsabile del dipartimento protezione dei dati personali, compliance e sicurezza informatica dello Studio Previti: «Un contenuto Flash poteva diventare facilmente un veicolo per i virus: spesso era utilizzato dagli hacker per accedere a determinati sistemi. E questo ha sicuramente giocato un ruolo importante nello sviluppo di sistemi migliori come HTML5».
È una delle motivazioni che aveva portato maggiori critiche al software nel corso degli anni: secondo molti esperti del settore questo problema avrebbe creato diversi problemi sia agli utenti sia agli sviluppatori, sia alla stessa Adobe che ha dovuto aggiornare costantemente Flash Player.
La fine di un software così importante, protagonista a lungo nel mondo informatico, accende i riflettori anche su un altro tema, quello della conservazione della memoria storica di internet. «Se tante pagine e tanti contenuti sparissero all’improvviso – dice Colarocco – si perderebbe un pezzo di storia informatica: è importante trovare il modo di preservare anche quei contenuti che non sono stati aggiornati negli ultimi anni».
Un esempio è quello dell’archivio storico del quotidiano La Stampa, consultabile gratuitamente online dal 2010. Si tratta di un archivio che raccoglie 138 anni di storia, al suo interno conta 12 milioni di articoli e oltre 1.700.000 pagine pubblicate dal 9 febbraio 1867, cioè dalla pubblicazione del primo numero della Gazzetta Piemontese (che avrebbe cambiato nome in La Stampa nel 1894). La scomparsa del plugin Flash Player non è l’unico motivo che potrebbe portare alla chiusura dell’archivio, ma ha un peso non irrilevante dal momento che è l’elemento che permette di visualizzare le pagine dell’archivio.
Lo stesso discorso si applica anche ai cosiddetti “giochi flash”. Il rischio di non poter più vedere online quei giochi che hanno segnato una lunga fase della storia videoludica ha spinto gli sviluppatori della piattaforma Blue Maxima a creare un progetto che ha già salvato decine di migliaia giochi dall’oblio.
Il progetto si chiama Flashpoint e ha l’obbiettivo di collezionare la maggior parte dei giochi Flash disponibili su internet prima che scompaiano: centinaia di appassionati hanno scelto di contribuire volontariamente alla raccolta di una vera e propria libreria di videogames.
Salvare l’archivio della Stampa o i giochi flash significa contribuire a preservare un pezzo di storia digitale. Su questo stesso principio è stato fondato Internet Archive: un progetto no profit che vuole tutelare la memoria storica di internet creando una biblioteca digitale di siti.
La mission di Internet Archive è quello di «aiutare a conservare tutto ciò che contribuisce alla creazione di una eredità culturale, e poiché la nostra società ora produce sempre più contenuti in forma digitale, dobbiamo archiviare anche questi».
Così come diversi anni fa si è iniziato a convertire testi, documenti, libri e tanto altro dalla forma fisica a quella digitale, oggi è sempre più necessaria una nuova conversione, da digitale a digitale. «Il materiale informatico prodotto 25, 30 o 35 anni fa – conclude Colarocco – non gira più, e allo stesso modo quello che produciamo oggi potrebbe non essere più visibile tra qualche anni. Se non viene fatta questa trasformazione si perderà moltissimo materiale, una parte della nostra eredità digitale».