Tu scendi dalle stelleTra miracoli e presepi, così nacque la canzone natalizia più antica

Sette strofe composte nel 1754 che, insieme a “Quanno nascette ninno”, costituiscono un piccolo canone di melodie tradizionali. Mescolano elementi biblici a ispirazione popolare, accompagnando la speranza dell’avvento di un mondo migliore

AP Photo/Gregorio Borgia

«Questo Natale si è presentato come comanda Iddio». Oltre 5 milioni di persone hanno riascoltato due giorni fa la nota battuta eduardiana, che Sergio Castellitto ha interpretato nel riadattamento Rai di “Natale in Casa Cupiello”. E non poche avranno pensato all’attinenza dell’amara ironia di quelle parole a un 25 dicembre 2020, che difficilmente potremo dimenticare.

Ma il remake della più celebre opera teatrale di De Filippo ha fatto anche risuonare nelle case italiane le note di “Tu scendi dalle stelle”, sia pur nella versione tragicomica della consegna dei doni a Cuncetta Cupiello come da copione, e di “Quanno nascette ninno”. Quest’ultimo scelto da Enzo Avitabile come colonna d’apertura con l’aggiunta del tamburo al tradizionale suono dolce e malinconico delle zampogne.

A restituire una parvenza di clima natalizio in tempi di Covid-19 sono proprio questi due brani di un musicista, letterato, artista e napoletano doc come sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Soprattutto il primo, «senza di cui – come osservava quasi cent’anni fa Costantino Petrone – Natale non sembrerebbe Natale». Concetto espresso in tempi più recenti da Andrea Bocelli, secondo il quale «il brano che incarna lo spirito del Natale è “Tu scendi dalle stelle”. Ricordo che se non veniva cantato alla messa di mezzanotte, ci rimanevo malissimo».

D’altra parte la pastorale, che, scritta da Alfonso a Nola (Na) nel 1754, è il più antico canto popolare italiano ancora universalmente in uso, è intonata non solo in chiese e contesti familiari. Oltre a Bocelli si potrebbero infatti menzionare Luciano Pavarotti, Claudio Villa, Nini Rosso, Lucio Dalla, Alex Baroni, Mina tra gli artisti più celebri che l’hanno interpretata in un recente passato.

Le sette strofe di “Tu scendi dalle stelle”, in cui temi biblici s’intrecciano a quelli mistici, non potrebbero però essere valutate appieno senza correlarle alle 26 strofe in napoletano di “Quanno nascette ninno”, forse scritte precedentemente anch’esse a Nola o a Deliceto (Fg). Di esse, interpretate da nomi dal calibro di Eugenio Bennato, Peppe e Concetta Barra, Pina Cipriani, Enzo Avitabile e Mina, Giovanni Getto scrisse che sono «il vero capolavoro della poesia alfonsiana». Mentre, secondo il grande poeta partenopeo Ferdinando Russo, «costituiscono il primo contributo alla rinascita del nostro moderno dialetto; ed entra trionfalmente nella storia della canzone popolare».

In “Quanno nascette ninno” Alfonso utilizza linguaggio, simboli e immagini delle masse popolari a lui care per offrire alle stesse, in un crescendo poetico, il messaggio centrale del mistero del Natale: il rinnovamento integrale dell’uomo e del cosmo in un piano di rivolgimento totale. Non a caso l’autore canta: «Se rrevotaje nsomma tutt’o Munno», (“si rivoltò insomma tutto il mondo”).

È l’inveramento delle parole del profeta Isaia e l’anticipo di quanto avverrà con l’apocatastasi: alla nascita del bambino «arravugliato, e dinto a lo Presebbio curcato» (“in fasce e coricato nella mangiatoia”) i fiori, pur essendo inverno, sbocciano, la paglia si riempie di germogli, non ci sono più nemici sulla terra, la pecora pascola con il leone, il leopardo gioca col capretto, l’orso e il vitello sono insieme, il lupo è in pace con l’agnello: «Co tutto ch’era vierno, Ninno bello, nascetteno a migliara rose e sciure. Pe ‘nsì o ffieno sicco e tuosto che fuje puosto sott’a Te, se ‘nfigliulette, E de frunnelle e sciure se vestette. […] No nc’erano nemmice pe la terra, la pecora pasceva co lione; co o caprette se vedette o liupardo pazzeà; l’urzo e o vitiello e co lo lupo ‘n pace o pecoriello».

È quel mondo ideale di cui il Presebbio è immagine plastica. Non a caso, quando sant’Alfonso compose i due canti – ma furono anche altri i brani natalizi da lui scritti, come, ad esempio, Fermarono i cieli – il presepe aveva raggiunto a Napoli la sua piena espressione artistica sulle orme di Francesco Solimena.

Dai quartieri più poveri alla corte di Carlo di Borbone e di Maria Amalia di Sassonia non c’era abitazione in cui non si rappresentasse la scena della natività con pastori e ambienti dagli accentuati dettagli realistici. In un colpo d’occhio complessivo, in cui diseguaglianze e divisioni sembravano scomparire, almeno una volta, definitivamente. Un mondo migliore che, pur sempre auspicato, si spera tale col lasciarci alle spalle quest’annus horribilis.

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