Da tempo sono state messe da parte le scatole di lievito, e archiviati gli esercizi di ginnastica a casa insieme agli apertivi su Zoom. Tutte abitudini nuove, eccezionali e di breve durata. Come i tremendi appuntamenti sul balcone con inno nazionale a tutto volume.
Quello che resterà del 2020, oltre ai ricordi e alla diffusione del QR Code, sono altre cose. Quali? Secondo questo pensoso articolo del Financial Times, sarebbe imprudente sbilanciarsi con previsioni ottimiste. La nuova normalità, se è quella che è stata abbracciata nel mese estivo, non ha niente a che vedere con la solidarietà nei confronti del personale medico (gli attacchi di pochi folli non sono rappresentativi, certo, ma il rifiuto da parte del governo inglese di alzare la paga forse sì) e nemmeno con un ritrovato senso di responsabilità nei confronti degli altri.
Si consideri il caso di Francis Scott Fitzgerald durante la guerra e la pandemia spagnola: alla notizia della morte dell’amico prete Sigourney Fay, ucciso dall’influenza, lo scrittore dichiara di voler diventare anche lui prete, esprimendo un sentimeno di sacrificio e raccoglimento adatto al momento. Ma, come tutti sanno, finita l’epidemia, il buon proposito fu dimenticato e prevalse un’ansia vitalista fatta di consumo ed eccessi.
Senza per forza dedicarsi a fare scelte di vita così drastiche, è possibile che i Ruggenti anni ’20 si ripresentino anche stavolta, a distanza di un secolo, spazzando tutti i buoni intendimenti sviluppati in questi mesi? Non è detto: le condizioni economiche erano diverse e l’Europa arriva alla pandemia dopo un decennio di calo e cambiamenti, tra cui alcune innovazioni.
Per questo del 2020, con ogni probabilità, resterà il nuovo modo di lavorare. Senza gli estremi raggiunti con il lockdown, ma lo smart working è arrivato per restare. Secondo una ricerca del Pew Research Center, almeno quattro americani su 10 sostengono che il loro lavoro possa essere fatto, in tutta tranquillità, anche a distanza. E di questi almeno la metà intende continuare. La conseguenza sarà un crollo – lo dice anche Bill Gates – nei viaggi di lavoro, che secondo le previsioni diminuiranno del 50%, soprattutto quando per gli incontri a due, mentre le riunioni di gruppo continueranno: Zoom, per quanto sia entrato a far parte della vita di tutti, non restituisce lo stesso effetto della presenza per il suo valore aggiunto in fatto di serendipity e interazione sociale. Insieme, rimarrà (anzi crescerà) la sensibilità per il digital divide, che al momento davvero spacca il Paese e per il ritardo tecnologico in generale. E forse si svilupperà davvero il cosiddetto Southworking.
Per quanto riguarda i rapporti umani, è verosimile che non ci sarà l’ansia di socialità che era seguita alla Spagnola (in concomitanza con la Prima Guerra mondiale) e forse rimarrà qualche titubanza in fatto di frequentazioni.
Sparirà (per fortuna) il saluto fatto col gomito, non prevarrà l’inchino all’orientale e si tornerà a darsi la mano, ma le mascherine resteranno per tutto il 2021 e forse anche oltre. Si è imparato che, Covid o meno, sono dispositivi che consentono di ridurre il propagarsi dei virus (anche l’influenza) e non è peregrino aspettarsi di rivederle, magari addosso a chi è raffreddato o quando ci si trova in mezzo alla folla.
Di sicuro, i risultati più notevoli il 2020 li ha concretizzati sul piano della politica. Il primo è buono, anche se ottenuto a caro prezzo: la fine (o l’appannamento, se non si vuole esagerare con l’ottimismo) dei populismi. In Italia Matteo Salvini si è sgonfiato, mentre in America un numero record di elettori ha votato per cacciare Trump, anche se alla fine quelli decisivi sono stati solo 42.918. Il 2021 inizia, insomma, con un nuovo presidente americano che forse non sarà l’artefice del New Deal ma di sicuro è meglio del precedente.
Il secondo è ancora da definire: l’Europa, nonostante i tentennamenti iniziali, ha risposto in modo deciso e tutto sommato unito alla crisi. Ha messo in piedi un piano di investimenti, il NextGeneration EU, che ne sancisce una comunità di intenti. Se ben organizzato, poi, pone le basi per un rilancio economico, sociale, ambientale e tecnologico. Una nuova partenza, si potrebbe dire.
Il problema è che in Italia, tra i Paesi più colpiti dal virus e dalla crisi che ne consegue, la gestione di questa occasione di rinascita è affidata (per ora) a un governo che definire inadeguato è un complimento. Resterà anche nel 2021, ma si spera non troppo a lungo.