La campagna nazionaleA che punto è il piano di vaccinazione anti Covid (e chi lo sa?)

Sono molte le criticità da affrontare per la prima staffetta di immunizzazione. Medici e infermieri hanno bisogno di maggiore formazione, soprattutto negli ospedali più piccoli e periferici. E mancano ancora i super-frigoriferi per il mantenimento delle dosi in alcuni hub

Lapresse

Manca solo un giorno. Dopodiché il vaccino anti-Covid arriverà anche in Italia. A margine del via libera dell’Ema (Agenzia europea del farmaco) al vaccino Pfizer, è cominciato il conto alla rovescia per la consegna in Italia delle prime 9.750 dosi simboliche per i soggetti più esposti, prima dell’inizio della vaccinazione di massa. Il 27 dicembre è la data scelta per l’avvio della campagna di immunizzazione, con le prime dosi che verranno inoculate ad alcune unità del personale medico e infermieristico.

Il vaccino arriverà tramite i furgoni della Pfizer, mantenuto a -75 gradi in apposite celle frigorifere, che lasceranno il Belgio il 24 dicembre e consegneranno il carico all’Esercito Italiano, il quale a sua volta prenderà in consegna le dosi che saranno portate a Roma il giorno dopo. Il 26 dicembre le fiale arriveranno all’ospedale Spallanzani, dove il 27 mattina verranno somministrate. Il primo vaccino sarà inoculato a un’infermiera dello Spallanzani e altrettanto avverrà nelle altre capitali europee. Sempre il 27 dicembre partirà la campagna di vaccinazione anche nelle altre regioni: 1620 dosi in Lombardia, 685 in Sicilia, 910 in Piemonte, 955 nel Lazio. In totale all’Italia spetteranno 202 milioni di dosi, il 13,4% di quelle a disposizione per i Paesi Ue, mentre da Pfizer il nostro Paese ne riceverà 27 milioni: 8,8 nel primo trimestre 2021, 8,1 nel secondo trimestre, 10,1 nel terzo.

Dopo lo spot iniziale, il Commissario straordinario Domenico Arcuri ha assicurato che il primo lotto di vaccini arriverà il 30 dicembre, e non il 30 gennaio come aveva affermato in precedenza durate un’intervista al Fatto Quotidiano. Per poi, ieri sera durante una conferenza stampa, tornare sui suoi passi con una timeline che diventa sempre meno credibile: «Nella settimana successiva, da lunedì 28, speriamo nei primi giorni della settimana – dice Arcuri -, contiamo di proseguire la vaccinazione, la prima fase di quella di massa. Pfizer ha assicurato che in quella settimana arriveranno altre 450 mila dosi, portate direttamente dall’azienda nei 300 punti somministrazione scelte con regioni e province autonome».

Da lì si dovrebbe iniziare a vaccinare un milione e 400 mila sanitari e 570 mila ospiti delle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa). La campagna di vaccinazione in strutture sanitarie e Rsa andrà avanti fino a marzo. Ma già a febbraio si inizierà a immunizzare i 4 milioni e 442 mila ultraottantenni in Italia.

Il “Piano Speranza” prevede poi che da aprile a giugno tocchi agli oltre 13 milioni di over 60 per poi passare nel terzo trimestre a operatori della scuola, dei servizi essenziali e ai malati con più di una patologia cronica. Da ottobre è poi la volta di giovani e sani: decisamente tardi se si pensa che a pesare ulteriormente sulla data di inizio potrebbe esserci anche il giudizio dell’Ema. L’Agenzia europea del farmaco dovrebbe infatti autorizzare solo per gli under 55 il dosaggio più efficace del vaccino AstraZeneca, il che potrebbe accorciare ma anche allungare i tempi di attesa per la categoria giovani e sani.

A mischiare ancor di più le carte in tavola ci ha pensato sempre Arcuri. «Non so se tutte le regioni riusciranno a fare le vaccinazioni il 27. So che il vaccino Pfizer può stare 4 giorni a certe temperature, quindi entro il 30 va fatto, ma credo che accadrà prima», ha dichiarato il Commissario straordinario. Affermazione che stride con un programma già di per sé ballerino, sminuisce l’importanza delle tempistiche (il vaccino Pfizer può resistere 5 giorni – non 4 – a basse temperatura, ma solo fino a 2 ore a temperature intorno ai 25°C) e dà per scontato il fattore imprevedibilità che muove un sistema, quello delle prenotazioni del vaccino, fatto di rinunce e rinvii.

Asl, ospedali e Rsa sono chiamati a una prova di efficienza e organizzazione che ha già fatto emergere le prime criticità. «La situazione è frastagliata: ci sono regioni che hanno già preparato le catene per i vaccini e altre che sono in netto ritardo» spiega Carlo Palermo, segretario Nazionale del sindacato Anaao Assomed. «La Toscana, l’Emilia-Romagna e la Liguria sembrano essere le più preparate, sia per quanto riguarda la catena del freddo, sia per la formazione degli operatori sanitari. Perché è bene chiarire che la gestione e la somministrazione del vaccino non è poi così semplice» continua Palermo.

Il trattamento, secondo le procedure ufficiali, prevede infatti la somministrazione di due dosi da 0,3 mm ciascuna, somministrate a distanza di 21 giorni. Le fiale della Pfizer devono inoltre essere trasferite a 2-8°C per farle scongelare lentamente (una confezione da 195 fiale può richiedere 3 ore), poi capovolte delicatamente 10 volte prima di essere diluite con 1,8 ml di soluzione iniettabile, con tecniche asettiche.

Dopo occorre uniformare la pressione del flaconcino prima di rimuovere l’ago, capovolgere ancora una volta per 10 volte la soluzione, che va contrassegnata con la data e l’ora della diluizione perché poi va utilizzata entro le 6 ore successive. Una volta scongelato, il vaccino non diluito può essere conservato (come detto poc‘anzi) per un massimo di 5 giorni a una temperatura compresa tra 2°C e 8°C ovvero fino a 2 ore a temperature fino a 25°C.

«Non è proprio una passeggiata» spiega un primario di Roma, di ruolo al Policlinico Umberto I. «Per il momento, a me e agli altri colleghi di reparto, ci hanno solamente chiesto tramite mail se siamo disposti a somministrare il vaccino. Senza aggiungere modalità o altri dettagli. Ovviamente il nostro è un istituto capace di gestire, anche in termini di frigoriferi, questa prima fase di vaccinazione, il problema sorge per i colleghi dei piccoli ospedali» aggiunge.

Una preparazione, quella dei medici, che deve essere aggiornata «non tanto per questa prima staffetta che prevede poche unità da somministrare, ma per quando saranno milioni le persone in fila per il vaccino», chiosa Carmela Rozza, consigliera della Regione Lombardia.

La somministrazione del vaccino richiede una formazione specifica, e i veri «problemi – aggiunge Rozza – arriveranno quando bisognerà somministrare il vaccino nelle strutture periferiche». Lì ci sarà bisogno di una sostegno, che al momento in alcune parti del Paese non sembra essere in programma. «Soprattutto dalle regioni del Meridione gli operatori sanitari si lamentano di una preparazione, per tutte le fasi della gestione del vaccino, ancora assente. E imparare in corso d’opera è un azzardo che non possiamo permetterci» puntualizza Palermo.

Altra nota negativa riguarda i medici che esercitano la libera professione, non compresi tra coloro che saranno vaccinati per primi. «È molto grave il fatto che a una categoria come quella degli odontoiatri, molto esposta ai pericoli del virus, non venga garantita una protezione primaria» chiosa Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo. Che fa eco alla consigliera Rozza, in particolare per il cluster lombardo: «Le disposizioni attuali sono adatte per una distribuzione del vaccino in hub o sedi ospedaliere, ne serviranno quindi di nuove quando la platea si allargherà a 60 milioni di persone» puntualizza.

La Lombardia, come conferma anche Rozza, dovrà fare i conti anche con la questione dei “super-frigoriferi”. La regione di Attilio Fontana ha a disposizione solo i due terzi dei freezer ULT per la conservazione del vaccino. Mentre su 294 punti di somministrazione a livello nazionale, soltanto 222 sono dotati delle celle Ult (Ultra low temperature) capaci di raggiungere la temperatura necessaria per conservare a lungo le dosi. Secondo il piano messo a punto dal Commissario straordinario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri, diventeranno 289 dopo il 7 gennaio.

Dai dati del 15 dicembre, però, nove Regioni e una provincia autonoma non hanno ancora tutti i super frigoriferi necessari. L’Abruzzo ne ha 4 rispetto ai 7 che servono, la Calabria 5 su 6, Lazio 18 su 20, la Liguria 10 su 15, la Puglia 10 su 11, la Sardegna 4 su 12, la Sicilia 22 su 36 e la Toscana 8 su 12. Ne sono sprovvisti anche sette presidi ospedalieri: 5 in Liguria, uno in Lazio e uno in Puglia.

La Liguria sembra invece essersi ben organizzata. Così come la Toscana, dove è già prevista una catena che va dallo scongelamento, al frazionamento e infine alla somministrazione. Tra le regioni promosse c’è anche l’Emilia-Romagna: «Si inizia con 975 professionisti della sanità, che saranno vaccinati da Piacenza a Rimini. Già definiti dalle Ausl i luoghi e i team di vaccinatori» fanno sapere dalla Regione.

L’organizzazione del Vaccino-day in Emilia-Romagna è in carico alle singole Aziende sanitarie, con la supervisione dell’assessorato regionale alle Politiche per la salute. La sede per la somministrazione sarà all’interno delle strutture sanitarie presenti sul territorio di competenza, mentre per quanto riguarda i vaccinatori che presteranno servizio: «Non esiste un “team tipo” – come ci sarà invece nella campagna vaccinale vera e propria – ma è a discrezione dell’organizzazione aziendale» specificano.

Ogni Azienda sanitaria si è dotata di una cabina di regia per l’organizzazione della vaccinazione. Nei territori dove ci sono anche Irccs e Aziende ospedaliero-universitarie, sarà definita un’unica cabina di regia coordinata dalla direzione sanitaria, e composta da un medico della direzione sanitaria (che svolgerà il ruolo di referente con la Regione), un medico di sanità pubblica, un medico di cure primarie, un responsabile della direzione assistenziale, un responsabile della direzione attività socio-sanitaria, un farmacista (responsabile dell’hub che conterrà le dosi vaccinali), un referente del servizio Ict, un medico competente aziendale, un referente della Protezione civile, un referente dell’Ordine dei medici provinciale.

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