I sonnambuliStiamo perdendo la guerra del virus, ma guai a discutere i generali

Siamo primi in Europa per numero di decessi, eppure anche solo ipotizzare cambiamenti al governo è considerato di cattivo gusto. Ma prima o poi qualcuno dovrà rispondere di questi risultati

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Sfortunatamente, nemmeno la notizia del triste primato raggiunto dall’Italia come paese europeo con più morti di Covid ha posto fine all’assurdo ritornello che nelle ultime settimane ci siamo sentiti ripetere ossessivamente da giornali, telegiornali e talk show. Quello secondo cui, dinanzi a una crisi tanto grave, non sarebbe proprio il momento per discutere di cambiamenti nella compagine di governo. Anzi, il solo ipotizzare una simile discussione sarebbe addirittura di cattivo gusto, irritante, scandaloso, lunare, assurdo, e via aggettivando il proprio indignato sconcerto.

Dunque, delle due l’una: o ci va bene così, e consideriamo il fatto di avere più morti di tutti gli altri paesi europei (e di quasi tutti gli altri paesi del mondo) una sorta di destino inevitabile, contro il quale è inutile opporsi, o pensiamo che si debba cambiare qualcos’altro. Chessò: dentifricio? Cover del telefonino? Colore delle mascherine? O forse la soluzione implicita in tanti discorsi sull’impensabilità di toccare i ministri e la necessità di responsabilizzare i cittadini è che – come diceva anche una vecchia poesia – dobbiamo tenerci il governo e cambiare i cittadini?

Nessuno dice che fare come la Corea del Sud, o come la Germania, o come uno qualsiasi dei paesi che hanno fatto meglio di noi – vale a dire come quasi tutti i paesi del mondo – fosse facile, che non fossero comprensibili ritardi e difficoltà, che l’Italia nell’affrontare la pandemia non scontasse un carico particolare di inefficienze, e magari anche un certo grado di sfortuna, ad esempio per il modo in cui ne siamo stati investiti tra i primi in Europa, o per le nostre caratteristiche demografiche, urbanistiche, sociologiche. Ma per quanti ritardi, carenze e sfavorevoli peculiarità potessimo avere, è mai possibile che al mondo nessuno, o quasi nessuno, fosse messo peggio di noi? E soprattutto, per quanto sfavorevoli potessero essere le condizioni di partenza, non lo erano anche qualche mese fa, quando governo e giornalisti compiacenti ripetevano che il nostro approccio era un modello che tutto il mondo ci invidiava?

Il punto è che a riorganizzare davvero tutto quello che ci sarebbe stato da riorganizzare non ci abbiamo nemmeno provato. O vogliamo parlare ancora una volta dell’app Immuni, di come è stata pensata e pubblicizzata, e dei trasporti, e di tutto ciò che avrebbe dovuto costituire la nostra prima difesa contro il virus (le famose tre T)?

Ci siamo sentiti dire per quasi un anno che dovevamo considerare l’impegno contro il virus come una guerra. Ebbene, se abbiamo più morti di tutti pur avendo fatto più lockdown, tenuto le scuole chiuse più a lungo e affrontato perdite economiche maggiori, mi pare arduo sostenere che stiamo vincendo. E quando un paese comincia a perdere una battaglia dietro l’altra, dalle guerre puniche alle guerre mondiali, quello che fa è esattamente questo: cambiare i generali. O quanto meno convocarli, per discutere del perché la strategia seguita fin qui abbia condotto a tali risultati.

Il problema è che ministri, leader politici e scienziati dei vari comitati sembrano più impegnati a coprirsi a vicenda, rovesciando sistematicamente la responsabilità dei pessimi risultati sui comportamenti individuali dei cittadini, che a fornire una strategia di qualsiasi genere, al di là del solito tira e molla di restrizioni e lockdown più o meno parziali, e sempre tardivi (altrimenti non avremmo quel numero di morti).

Il fatto che opposizione, presidenti di Regione e le stesse voci critiche all’interno della maggioranza, come Italia viva e a tratti un pezzo del Pd, abbiano fatto pressione per allentare anche quei provvedimenti – dimostrando quindi che al posto del governo avrebbero fatto persino peggio – dà la misura della gravità della situazione, ma non può certo costituire un’attenuante per chi aveva comunque la responsabilità di decidere. E prima o poi, persino in Italia, di quelle decisioni dovrà pur dare conto.