La parola d’ordine a San Basilio è «lèvate», che in romano significa «sparisci». La usano le vedette per avvisare gli spacciatori dell’arrivo della polizia. Insieme a Tor Bella Monaca, questa è la principale piazza di spaccio della Capitale e rifornisce tutta la città. Qui la cocaina si vende in strada e nei giardini condominiali, a tutte le ore del giorno. Tra caseggiati anonimi e degrado, girano senza sosta alcune Smart nuovissime, rigorosamente a noleggio per evitare la confisca. Pattugliano il territorio per conto delle organizzazioni criminali, che insieme all’accento romanesco parlano quello calabrese della ‘Ndrangheta.
«C’è una vera militarizzazione, quando siamo arrivati qualche mese fa il quartiere era al buio, i pusher mettevano fuori uso i lampioni per fare i loro comodi. Questa è la Gomorra romana». Don Antonio Coluccia ha 45 anni ed è un sacerdote vocazionista. Ex operaio e sindacalista di origini salentine, ha preso i voti all’età di 34 anni. Oggi guida l’opera don Giustino, che ha sede nella villa appartenuta a un boss della Banda della Magliana dove ospita tossicodipendenti ed ex detenuti.
Occhi chiari, tonaca nera. Tutte le sere don Antonio scende in processione per le strade di San Basilio. Armato di megafono, recita preghiere e canzoni. Percorre le vie dello spaccio ostacolando, in parte, gli affari dei clan. La gente apre le finestre: c’è chi applaude e ringrazia, qualcuno insulta. «È capitato di ricevere una sassaiola». I pregiudicati della zona hanno già emesso la sentenza: «Tanto prima o poi gli spareranno».
In questa periferia abbandonata a se stessa, sempre più persone scrivono al prete. «Molti – dice Coluccia a Linkiesta – non scendono in strada per paura di ritorsioni e restano in silenzio. C’è tanta gente onesta che si alza alle cinque del mattino per andare a lavorare». A SanBa succede che gli spacciatori bussino alle finestre dei condomini intimando di chiudere gli scuri perché non vogliono essere disturbati mentre vendono le dosi. «Qui la malavita si sostituisce allo Stato, che non c’è. I pusher hanno un consenso sociale, danno lavoro e fanno paura. Prestano soldi e forniscono cibo. Basti pensare che le vedette guadagnano 150-200 euro al giorno e spesso sono minorenni».
Da cinque anni don Coluccia vive sotto scorta. Ha ricevuto minacce di morte e colpi di pistola contro la sua auto, ma tira dritto. «Il Signore ci chiama a essere miti ma non muti, il Vangelo ci invita a non girarci dall’altra parte e Papa Francesco ci chiede di essere preti in uscita». Nelle notti di San Basilio, lo accompagnano gli agenti della Questura. Questa sera l’appuntamento è alle 20, sotto la pioggia. Si parte da via Carlo Tranfo, ribattezzata piazza della Lupa per via di un grande scudetto della Roma dipinto sul muro. Ormai scolorito come tutto il resto.
Prevale il grigio in questo alveare di palazzoni scrostati, negozi con le saracinesche abbassate e spazi comuni abbandonati. Piazza della Lupa frutta 22mila euro al giorno tra cocaina e hashish. Sotto i portici sono disposte le sedie delle vedette. Che, nonostante due volanti e un’auto della scorta, restano in piedi a poche centinaia di metri, mentre le macchine dei clienti sgommano. Don Antonio osserva e parla con tutti. I poliziotti lo accompagnano ovunque: «Ha carisma, tiene accesa la luce su questa situazione».
Qui, a comprare, ci vengono da tutta la città. Siamo alla periferia Nord-Est della Capitale. San Basilio conta 25 mila abitanti con quasi 4mila case popolari, è la seconda zona di Roma per numero di alloggi di edilizia residenziale pubblica. Nata nel 1930 e costruita con materiali scadenti, ha ospitato diverse rivolte per la casa negli anni Settanta. Oggi, tra disagio economico e occupazioni abusive, la criminalità vende addirittura gli alloggi comunali. «Un racket in cui pagano sempre i poveri», osserva don Coluccia.
San Basilio è «una enclave della disuguaglianza», così la definiscono gli studiosi. Solo un abitante su dieci è laureato, il tasso di disoccupazione è quasi il triplo rispetto a quello dei Parioli. Un quartiere senza biblioteche, con pochi servizi e ancor meno opportunità. Una borgata a circuito chiuso, che non comunica col resto della città. Il doposcuola lo organizzano le associazioni, i parchi vengono puliti dai cittadini che si danno appuntamento su Facebook, le iniziative culturali nascono dai comitati. «Qui la gente non sa a chi rivolgersi, nessuno li ascolta. L’altro giorno una signora mi ha fermato per parlarmi delle fognature», racconta spiazzato don Coluccia.
A funzionare benissimo però è la vendita di stupefacenti. Le retate di polizia e carabinieri si sprecano: l’ultima all’alba di mercoledì 9 dicembre. «La particolarità di San Basilio? È una piazza di spaccio al dettaglio e all’ingrosso. Qui non vengono solo i clienti ad acquistare le dosi, c’è una grande centrale di distribuzione che rifornisce tutta Roma». Luigi Silipo è il capo della Squadra Mobile di Roma, a Linkiesta spiega come funziona la prima industria criminale della borgata. «Oltre a pusher e vedette, lavorano importatori e broker. Nei box dei palazzi si stoccano tonnellate di cocaina, che poi viene smerciata negli altri quartieri della Capitale».
Bunker, fili spinati, bracieri pronti per incenerire le sostanze all’arrivo delle forze dell’ordine. Il narcotraffico è strutturato come un’azienda, gli impiegati sono centinaia. Il dirigente della Questura racconta: «I vari gruppi controllano le singole strade. Parliamo di grandi organizzazioni con 50 membri, ma anche di piccole bande composte da cinque persone». La regia è della ‘Ndrangheta, con la famiglia Marando e altri clan originari di Platì, Calabria. Poi ci sono i gruppi romani «che lavorano senza pestarsi i piedi».
Dopo cinque anni, la sindaca Virginia Raggi si è accorta di San Basilio. Ha avviato alcuni progetti di riqualificazione nel quartiere e ha deciso di aiutare il prete. Nella piazza simbolo dello spaccio, il Comune ha assegnato a don Antonio Coluccia un locale dove sorgerà una palestra di pugilato popolare in collaborazione con le Fiamme Oro. Fino a poco tempo fa le quattro mura, di proprietà comunale, erano il supermercato dei pusher. In attesa della ristrutturazione però, sono già arrivati i primi avvertimenti tra cui una svastica di nastro adesivo nero su una tavola di legno posta davanti alla saracinesca.
Don Coluccia sdrammatizza: «Accanto alla porta della paura abita il coraggio». Nel silenzio, insiste, fioriscono le connivenze e il consenso della criminalità. Anche per questo serve la partecipazione del quartiere. Dopo la palestra, c’è in progetto un doposcuola sociale. «San Basilio non si salva con le operazioni di polizia. Se arrestano trenta persone, dopo cinque minuti le organizzazioni ne avranno messe in strada altre trenta. Oltre alla repressione, servono l’educazione e la cultura. Molti qui hanno solo la quinta elementare, non hanno opportunità. La malavita è immediata e risponde ai loro bisogni, noi dobbiamo offrire un’alternativa».
A chi gli chiede se non ci sia il rischio che Raggi usi San Basilio per fare campagna elettorale, don Antonio risponde: «Io guardo alla pastorale e non ai massimi sistemi politici. Ben venga l’aiuto di questo sindaco e di un eventuale prossimo, purché si sporchino le mani. L’importante è coinvolgere le persone e provare a risolvere i problemi». Intanto la processione è ferma su via Corinaldo, altra tappa dello spaccio. Vicino al “bar della coltellata”. Una vedetta diciottenne passa accanto a Coluccia e sorride: «Ciao don Antò, ho finito il turno». Il lavoro del prete, invece, è appena cominciato.