Tra il no di Oltretevere all’ordinazione delle donne, ribadito nell’Esortazione post-sinodale Querida Amazonía, e le contrarie spinte a favore da parte del Sinodo della Chiesa in Germania, nuovamente esplicitate nelle ultime dichiarazioni del presidente della Conferenza episcopale tedesca Georg Bätzing, Papa Francesco gioca a sorpresa la carta della soluzione mediana e spiazza tutti. O, almeno, spera di farlo.
Due giorni fa ha infatti disposto e normato con la Lettera apostolica in forma di Motu proprio Spiritus Domini l’accesso delle donne ai ministeri istituiti del lettorato e dell’accolitato, stabilendo la modifica del canone 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico nei seguenti termini: «I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa». Viene così a cadere la precedente specifica «di sesso maschile», recepita dal Codice sulla base di quanto regolamentato da Paolo VI col Motu proprio Ministeria quaedam (17 agosto 1972), che riservava solo agli uomini l’istituzione del lettore e dell’accolito.
Ricordando come proprio la riforma disciplinare montiniana avesse messo in luce il carattere laicale di questi ministeri e marcato una differenza con quelli ordinati del diaconato, presbiterato ed episcopato, Francesco parla di sviluppo dottrinale nell’affidare lettorato e accolitato anche alle donne, ponendo come fondamento teologico «la comune condizione di battezzato e il sacerdozio regale ricevuto nel Sacramento del Battesimo».
Un’istituzionalizzazione, dunque, di quanto già avviene da decenni in molte parrocchie e diocesi con donne che esercitano la funzione di lettrice durante le celebrazioni liturgiche o di ministre della parola e quella di accolita presiedendo alle preghiere liturgiche o distribuendo la Comunione eucaristica. Ma anche di quanto già auspicato nel XII (5-26 ottobre 2008) e XIII Sinodo (7-28 ottobre 2012) sotto Benedetto XVI e in quello Pan-Amazzonico dello scorso anno.
A ricordarlo è proprio Francesco nella lettera esplicativa al Motu proprio Spiritus Domini indirizzata al cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in cui, ribadendo nuovamente che l’Ordine sacro è riservato ai soli uomini, spiega anche che «la scelta di conferire anche alle donne» uffici come quelli del lettorato e dell’accolitato, «che comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del vescovo, rende più effettiva nella Chiesa la partecipazione di tutti all’opera dell’evangelizzazione». Da qui anche il compito affidato alla Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti di riformare il rito dell’istituzione dei lettori e degli accoliti nel Pontificale Romanum secondo il nuovo disposto.
Giudizio positivo esprime a Linkiesta, suor Jeannine Gramick, cofondatrice di New Ways Ministry, che dichiara: «La Chiesa ha bisogno di cambiamenti radicali nel diritto canonico per quanto riguarda il ruolo delle donne nella comunità ecclesiale! Consentire alle donne di essere lettrici e accolite è un piccolo passo, ma nella giusta direzione».
Entusiasta anche il gesuita James Martin, consultore del Dicastero vaticano per la Comunicazione, che ricorda come «in molte diocesi e parrocchie, compresi alcuni negli Stati Uniti, vescovi e pastori avevano limitato questi ministeri agli uomini. È anche il primo riconoscimento formale del ministero femminile all’altare. Infine, il Santo Padre lo ha descritto come uno “sviluppo dottrinale”, che è una sfida per coloro che dicono che la Chiesa non potrà mai cambiare».
Considera invece il Motu proprio un capolavoro di strategia bergogliana Marinella Perroni, già presidente del Comitato Teologhe Italiane (Cti) e docente di Nuovo Testamento presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, che apprezza soprattutto la centralità della teologia battesimale nel documento disciplinare.
«Il Vaticano II – spiega la biblista – aveva capito che il vero problema da un punto di vista scritturale, patristico, teologico è la struttura ministeriale della Chiesa. È questo il grande nodo dell’ecclesiologia: tutto il resto passa coi tempi. Nodo che il Concilio non aveva voluto affrontare né tanto meno risolvere, auspicando però che ci si lavorasse sopra. Cosa che hanno fatto i biblisti negli anni ’70 e ’80 con pubblicazioni, che possono considerarsi definitive. Ma poi c’è stato il grande gelo».
Secondo Perroni «la questione dell’ordinazione delle donne può essere affrontata solo con la revisione di tutta la struttura ministeriale. Il Battesimo abilita all’esercizio di alcuni ministeri. Necessario riaffermarlo per ricordare poi che anche diaconi, presbiteri e vescovi sono dei battezzati. È dunque essenziale, sulla linea di quanto fatto da Francesco, un recupero della teologia battesimale come fondamento di ministeri e carismi nella Chiesa. Le reazioni a una tale modifica disciplinare dipendono unicamente da una visione teologica così irrigidita da funzionare come un sistema di scatole cinesi».
Anche per Paola Lazzarini, fondatrice di Donne per la Chiesa, quella di Bergoglio è «una mossa strategica ben piazzata e molto sapiente: ratificare la realtà non sposta nessun equilibrio consolidato e al tempo stesso risponde alle istanze crescenti di più metà della Chiesa, ovvero delle donne. Le reazioni delle canoniste sono molto positive perché sottolineano il passaggio da una concessione a un diritto, che significa permettere alle donne di avvicinarsi al cuore della vita sacramentale, pur senza ovviamente sfiorarla».
Fa poi notare a Linkiesta che «come sociologa, interessata quindi ai fenomeni sociali più che al diritto, osserverei anzitutto che questo cambiamento va letto con lo sguardo alla Chiesa universale e non solo alla nostra esperienza italiana (non omogenea neppure quella), avendo ben presente che ci sono contesti nei quali ad esempio la presenza di donne lettrici è stata finora tutt’altro che scontata; in secondo luogo mi pare che apra in qualche modo al ministero della predicazione, che in molte sentiamo importante perché connaturato alla nostra vocazione battesimale».
Basta tutto ciò? Assolutamente no, rimarca Lazzarini, perché «non si può non rilevare che approvare formalmente l’esistente è ben diverso dall’inaugurare una riforma della Chiesa che sia davvero nella direzione dell’uguaglianza di tutti i battezzati. E, dunque, che la nostra fame e sete di giustizia non si può saziare di queste briciole. E se l’intento era quello di sottrarre argomenti all’azione del femminismo cattolico (che conosce una fase di grande energia grazie alle reti internazionali che stanno emergendo) non funzionerà, anzi ci rafforza nella convinzione che occorre agire ora per il cambiamento, sapendo che le ratifiche arriveranno, se arriveranno, più avanti e magari, come in questo caso, dopo decenni».