Sempre connessiIl Parlamento europeo chiede il diritto alla disconnessione per i lavoratori

Con la pandemia e la diffusione dello smart working si è ridotto sempre di più il tempo per la vita privata dei cittadini europei. Una rapporto del socialista maltese Agius Saliba esorta la Commissione a tutelare lo switch-off

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La giornata di lavoro è finita, ma il telefono continua a squillare e le mail a invadere la posta. Meglio rispondere, pensano in molti, per senso del dovere o timore reverenziale verso i superiori. Ma anche perché le comunicazioni lavorative possono ormai facilmente raggiungerci a qualunque ora su canali, come WhatsApp o i social network, utilizzati soprattutto al di fuori della sfera professionale. 

Questa commistione fra lavoro e vita privata, spesso troppo sbilanciata a favore del primo, si chiama in gergo work-life blend: non è necessariamente un male, ma lo diventa quando i lavoratori sono obbligati, in modo esplicito o implicito, a occupare il proprio tempo libero con mansioni lavorative. Il Parlamento Europeo ha riconosciuto il problema e approvato una risoluzione con cui chiede alla Commissione di intervenire, fissando una serie di paletti che riconoscano il diritto alla disconnessione nei 27 Stati Membri.

La tendenza a mantenersi sempre a disposizione si manifesta in misura maggiore per chi lavora da remoto e quindi fatica a trovare una cesura fisica tra il proprio orario lavorativo e il resto della giornata. Secondo un’indagine di Eurofund, il 27 % dei telelavoratori ha utilizzato il proprio tempo fuori dall’orario canonico per soddisfare esigenze lavorative. Con la pandemia da Covid19, del resto, la platea dei lavoratori a rischio aumenta considerevolmente: Eurofund stima che circa un terzo della forza-lavoro dell’Unione Europea abbia cominciato a svolgere le proprie mansioni da casa.

Il problema si farà dunque sempre più diffuso, sottolinea un rapporto del Parlamento Europeo approvato a larga maggioranza dall’aula e non troverà ostacoli sul suo cammino finché l’UE non adotterà una legislazione in merito. La relazione, curata dal deputato maltese Alex Agius Saliba, intende garantire ai lavoratori il diritto di staccare la spina, permettendo loro di ignorare volutamente le comunicazioni lavorative fuori orario senza subire ripercussioni.

Si tratta di un diritto che, al momento non è negato dalla legislazione europea, ma messo a repentaglio proprio dalla mancanza di una precisa definizione. Secondo il Parlamento è necessaria una netta distinzione fra tempi di lavoro e tempi di riposo: per questo serve una direttiva comunitaria che impedisca ai datori di lavoro di contattare i propri sottoposti fuori dagli orari concordati, così come di richiedere loro una reperibilità non retribuita.

Spesso infatti, non è la mole di lavoro fuori-orario a pesare sul lavoratore, quanto la necessità di essere sempre disponibile in caso di bisogno, cosa che non gli permette di riposare o svagarsi completamente. Ovviamente questa “ansia da connessione” viene moltiplicata dalle possibilità che abbiamo oggi di essere rintracciabili: «Gli strumenti digitali applicati al mondo del lavoro hanno creato una cultura del “sempre-connessi”, che richiede uno sforzo maggiore ed estende le ore lavorative con un effetto negativo sulla salute», ha affermato il relatore durante la sua presentazione alla Plenaria dell’emiciclo.

Da questa continua esposizione a richieste e flussi informativi deriva il pericolo di tecnostress, una sindrome che colpisce chi si trova a gestire forme di comunicazione digitali, provocando soprattutto ansia, insonnia e forti emicranie. Il tecnostress, ribattezzato come la malattia dell’era digitale, è considerato uno dei rischi emergenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, riconosciuto già nel 2007 come malattia professionale da una sentenza del Tribunale di Torino. 

Disconnessione in Italia: un diritto solo sulla carta
Proprio l’Italia è uno dei Paesi in cui sembra più difficile mettere una netta cesura fra vita privata e professionale. Secondo il Randstad Workmonitor 2020, un’indagine condotta in 34 Paesi del mondo su un campione di 400 lavoratori per ogni nazione, il 68% dei connazionali risponde “immediatamente” a telefonate, mail e messaggi oltre l’orario d’ufficio e ben il 53% gestisce questioni di lavoro anche in ferie. Per oltre metà degli intervistati, gli input a portarsi i compiti a casa arrivano dai propri superiori, che si aspettano dipendenti disposti a sforare l’orario lavorativo (59%) e/o a rispondere anche nel tempo libero (52%), 

Una cornice legislativa per impedire queste dinamiche ci sarebbe anche, è la legge 81 del 2017, che regola lo smart working e le sue tutele: l’articolo 19 si sofferma proprio sulle “misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche del lavoro”. Tempi e modi del diritto a staccare la spina dovrebbero essere decisi in sede contrattuale, ma per ora poco si è mosso a livello di contrattazione collettiva. 

«La legislazione italiana sul tema perlomeno riconosce i termini del problema, ma potrà essere applicata meglio nell’ambito di una direttiva europea», dice a Linkiesta Daniela Rondinelli, eurodeputata del Movimento 5 Stelle che si è occupata del tema in Commissione Occupazione e Affari Sociali. Secondo la parlamentare, senza una normativa comunitaria in questo settore si lascia campo libero al dumping: visto che la presenza fisica non è  necessaria, le grandi aziende potrebbero facilmente reclutare lavoratori in quei Paesi europei che meno li tutelano. 

La posizione di forza del datore di lavoro rispetto al lavoratore prima dell’assunzione contribuisce probabilmente a fare in modo che la questione del diritto alla disconnessione venga tralasciata. «Noto la predisposizione di molte aziende a richiedere una disponibilità continua dei propri dipendenti», dice Rondinelli, che analizza però anche l’altro lato della medaglia: «Forse i lavoratori stessi faticano a vedere queste richieste come una lesione dei propri diritti: non si sentono abbastanza tutelati dalla giurisprudenza in materia e sono scoraggiati dall’avviare azioni legali».

Alla posizione largamente favorevole del Parlamento (la risoluzione è passata con 472 sì, 126 no e 83 astenuti, fra cui i deputati di Lega e Fratelli d’Italia), si contrappone quella delle confederazioni di imprese. Business Europe, la potente lobby delle aziende, starebbe secondo la deputata remando in senso contrario, per frenare un accordo sul tema fra le parti sociali. Ago della bilancia potrebbe essere il Consiglio Europeo, con la presidenza portoghese orientata a rafforzare la dimensione sociale dell’UE e per Rondinelli in grado di fare pressione sulla Commissione, a cui spetta il compito di stilare una proposta legislativa.

«Le aziende mettono sempre in evidenza i benefici del teleworking, la possibilità di conciliare le attività lavorative con quelle domestiche o l’eliminazione dei tempi di percorrenza casa-ufficio. Sta alla politica fare in modo che questo nuovo modo di organizzare il lavoro non si traduca in nuove forme di sfruttamento».

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