«Abbiamo apprezzato molto che al secondo giorno di guida del gruppo l’ad di Stellantis Carlos Tavares non solo fosse in Italia ma abbia anche voluto incontrare i sindacati italiani». Il segretario generale dei metalmeccanici della Fim Cisl Roberto Benaglia ha appena concluso l’incontro di un’ora e mezza in videoconferenza con il ceo del neonato gruppo automobilistico nato dalla fusione di Fca e Psa. «È stato un incontro generale», spiega, «non siamo entrati nei dettagli, ma è una buona base di partenza».
Benaglia, rassicurati sul destino degli stabilimenti italiani di Fca?
Tavares ha confermato che non solo nessun marchio verrà cancellato, ma c’è l’idea di trovare per tutti un rilancio. Noi in Italia abbiamo bisogno di saturare i siti e abbiamo apprezzato che siano in programma scelte per rilanciarli. L’altra cosa che apprezziamo è che di fronte alla richiesta di non conoscere a scatola chiusa il prossimo piano industriale, ha dato la disponibilità a confrontarsi anche prima della presentazione del piano che verrà fatta nel giro dei prossimi tre mesi.
Rassicurati anche sui livelli occupazionali?
Non siamo entrati nel dettaglio, ma Tavares ha confermato che questa fusione non nasce per chiudere siti o ridurre l’occupazione. Dopodiché noi sappiamo che abbiamo siti con cassa integrazione e che devono essere rilanciati e quindi chiederemo poi nel piano industriale come questo potrà avvenire. Ovviamente speriamo anche che il mercato si riprenda: Stellantis nasce nell’anno in cui in Europa il mercato italiano dell’auto è calato del 25%.
Voi avete chiesto anche un’attenzione del governo italiano sull’operazione. E il viceministro Misiani ha detto che l’ingresso dello Stato non è un tabù.
L’ingresso dello Stato nel capitale sembra ormai non percorribile dopo la quotazione di Stellantis in Borsa. Ma da una parte le scelte industriali di Stellantis devono vedere anche una forte attenzione e pressione del governo italiano perché si creino le occasioni migliori per rendere competitivi i siti italiani. E dall’altro il governo italiano ha il compito di sostenere questa grande trasformazione che la mobilità sta avendo. Se il futuro è la mobilità elettrica, è chiaro che dipende molto dal numero di colonnine di ricarica che ci sono in giro per il Paese. Questo dovrebbe fare il governo: creare infrastrutture e sostenere le innovazioni tecnologiche che questo cambio produttivo richiede. Noi chiederemo di nuovo al governo di aprire un tavolo ed essere attento a un settore così strategico.
Cosa chiedete al governo alle prese con la crisi che sta vivendo?
Chiediamo alla politica italiana di essere affidabile e di essere autorevole. Abbiamo di fronte sfide inedite. Il 2021 sarà un ulteriore anno difficile per l’economia. Bisogna far ripartire l’economia reale. E per farlo la grande sfida del governo è rendere il Recovery Plan concreto e a disposizione di imprese e lavoratori. Non possiamo più vedere una lista infinita di belle idee ma scoordinate tra di loro e con tempi lunghi. Il governo deve ascoltare le parti sociali che sono nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro per avere indicazioni.
Conte ha promesso che vuole aprire il confronto con i sindacati sul Recovery.
Il premier in aula ha citato la volontà di dialogare con tutti per essere riconfermato. Ci sono tavoli sugli ammortizzatori sociali, c’è un tema delle scelte che verranno fatte entro il 31 marzo per evitare che il primo aprile diventi un pesce di aprile che porti la lettera di licenziamento a centinaia di migliaia di italiani. Però sul Recovery Plan il governo ha sbagliato ancora fino a questo momento nel non aver coinvolto le parti sociali, non solo i sindacati ma anche le associazioni datoriali. È una grande mancanza che va recuperata rapidamente.
Come giudica il documento del Recovery Plan?
Mancano forti priorità, manca l’idea di come si realizzano obiettivi pur validi sulla carta. Il problema di questo Paese non sono le leggi, ma come farle farle camminare concretamente. Il governo, nel correggere il Recovery Plan, dovrebbe pensare a un mercato del lavoro moderno ed europeo. Ricordo a tutti che l’Europa dà questi soldi non per fare delle cose ma per raggiungere degli obiettivi. Il governo sarà interrogato su come saranno spesi i soldi. E se non saranno spesi bene, non è detto che arriveranno. È una prova di maturità.
Chiedete di prolungare il blocco dei licenziamenti dopo il 31 marzo?
Noi chiediamo di riflettere seriamente che se l’emergenza non è finita bisogna mantenere provvedimenti straordinari. Il tema però non è procrastinare possibili licenziamenti, ma dare risposte concrete. Ci sono tre priorità: far diventare i contratti di solidarietà lo strumento principale per gestire la crisi; fare formazione per i cassintegrati perché non possiamo solo dire “stai a casa e aspettiamo il giorno in cui o verrai licenziato o riassunto”; e se ci sono aziende che stanno fallendo e posti di lavoro che stanno bruciando, bisogna aiutare le persone a cercare un nuovo lavoro. Sono tre cose che andrebbero fatte da qui al 31 marzo per evitare che quella data diventi un pericolo.
Torniamo alle partite industriali principali. Le trattative tra Cnh (Iveco) e la cinese Faw vi preoccupano?
Siamo alla ricerca di capire cosa potrà capitare. Gli annunci di stampa ci dicono che c’è un interesse dei cinesi a entrare nel capitale di Cnh. Ma non possiamo scoprirlo dai giornali. C’è bisogno di capire cosa intende fare Exor. E c’è da capire anche qui qual è il ruolo del governo, visto che il piano industriale di Cnh era stato firmato al Mise. Il governo non può stare alla finestra.
E sull’Ilva a che punto siamo?
Abbiamo cominciato finalmente un confronto sul piano industriale dieci giorni fa, in questo momento siamo in attesa del via libera dell’Antitrust europeo che permetta a Invitalia di entrare nel capitale, ma soprattutto abbiamo bisogno di raggiungere un accordo sindacale. Ora che la multinazionale non scappa, abbiamo bisogno di far ripartire gli investimenti con una attenzione ambientale forte. Non possiamo dire ai lavoratori di Taranto che oggi sono in cassa integrazione che staranno in cassa integrazione altri cinque anni e “vi faremo sapere”. Non è così che si rilancia la siderurgia. Chiediamo al governo di essere parte attiva per rimettere in carreggiata positiva questo importante pezzo della siderurgia
Che fine ha fatto il tavolo sulla Whirlpool di Napoli?
Quella della Whirlpool di Napoli è un’altra vertenza calda che continua a essere sospesa in una bolla. Servono fatti concreti. Bisogna subito riconvocare un tavolo, ma non per promettere che non capiterà più nulla di brutto, ma per portare Whirlpool magari con altri possibili investitori a ricreare lavoro.
Chiedete più politica industriale, in sintesi.
Un governo così fragile per rafforzarsi ha bisogno di atti politici, ma anche di fare cose concrete. Serve una politica industriale concreta, salvando aziende valide, gestendo fusioni importanti e cercando di far sì che non siano a danno del nostro Paese. Servono scelte per rafforzare gli investimenti, una politica che indirizzi con fatti concreti.
Soddisfatti del programma Transizione 4.0?
Il governo ha realizzato con la legge di bilancio il piano di Transizione 4.0 riprendendo i vecchi progetti, purtroppo riducendo le risorse a soli 21 miliardi e mantenendo un approccio che pure è migliorato – perché si punta più sui software e non sui macchinari industriali – ma che ha tutta l’esigenza di essere rivisto. L’innovazione tecnologica va sostenuta con posti di lavoro competitivi, per cui chiediamo al governo di usare le risorse del Recovery Plan per allargare questo orizzonte, sapendo che gli investimenti non devono andare solo in macchinari ma anche in competenza delle persone. Non basta un macchinario nuovo per rendere un’azienda più produttiva, servono lavoratori più capaci.
Ma come stanno le fabbriche italiane oggi?
Le fabbriche italiane stanno meglio dell’economia italiana. Oggi la situazione è più pesante nel settore del terziario. La manifattura ha ripreso in buona parte, ma tante pmi sono in difficoltà e vogliamo evitare che il 31 marzo siano costrette a gettare la spugna e licenziare. Proprio perché c’è una forte ripartenza della manifattura italiana, non c’è bisogno di licenziamenti ma di sostegno agli investimenti e al lavoro. La priorità è scommettere sul bisogno di lavoro delle persone e sulla sicurezza sociale. Il governo recupererà consenso nel Paese solo facendo cose utili.