Trump parte per la pensione
È andato via con la moglie mascherata da Audrey Hepburn e YMCA dei Village People dagli altoparlanti. E un discorso più da televenditore che da golpista e poca gente a salutarlo, tra loro i parenti. Sembrava il seguito del seguito del seguito di Nashville di Robert Altman; col candidato del Replacement Party diventato presidente sconfitto e in disgrazia (potrebbe interpretarlo il Tim Robbins di Bob Roberts, dopo tantissimi Big Mac).
Ma poi, dopo tutto il grottesco-ironico-drammatico-sgangherato con suono in presa diretta da film anni Settanta, la partenza di Donald Trump da Washington è finita come un brutto varietà. Il decollo dell’aereo, sincronizzato passo passo con “My Way” di Frank Sinatra, è entrato nella top five della scene più kitsch della politica mondiale. Però ha una sua tenerezza, “My Way” è l’inno dell’affermazione individuale per maschi bianchi americani anziani, quelli che magari l’hanno messa nella playlist della festa per la pensione, e ora sono in Florida, ad aspettarlo.
Trump e l’addio strano
C’erano quasi solo giornalisti e cameramen, alla base aerea di Andrews, prima dell’arrivo dell’elicottero Marine One dalla Casa Bianca. Ad aspettare c’era l’Air Force One, per l’ultima volta. Lo possono usare solo i presidenti, per questo Trump è partito alle otto di mattina, così sarebbe arrivato a Palm Beach prima del giuramento di Joe Biden.
Per un uomo ossessionato dai simboli di status e dalle dimensioni delle folle, il gruppetto radunato a Andrews non deve essere stato di conforto. C’erano staffer imbarazzati, c’era Mark Meadows, appena proclamato «il peggior capo di gabinetto della storia della Casa Bianca», che ha salutato Trump col gesto brusco di chi si libera di un seccatore.
C’erano i figli con nuore generi e nipoti, schierati come una famiglia reale che va in esilio. C’era una colonna sonora degli anni Ottanta, da lezione di aerobica, con Macho Men e poi Gloria. Cantata da Laura Branigan, ballata da familiari Trump in un video prima dell’assalto al Campidoglio.
E il presidente che quattro anni fa nel discorso inaugurale scandiva «America First», stavolta ripeteva «questa non è stata un’amministrazione normale», e in effetti.
Quattro anni dopo i toni autoritari (consulenza di Steven Bannon, appena graziato, che forse andrà in Florida a consigliarlo ancora) ha salutato con una specie di fervorino agli ex dipendenti prima dell’asta giudiziaria.
Ha detto di essersi occupato «dei nostri bellissimi veterani», di aver tagliato le tasse, di aver abolito regolamenti che impedivano catastrofi ambientali e altro, di aver nominato centinaia di giudici reazionari, di aver fatto innamorare la Borsa, di aver trovato in tempo record un vaccino (sempre Trump). Vaccino ormai quasi inutile, del virus Trump parla al passato.
Trump si è celebrato con una metafora sportiva (lui odia lo sport ma i discorsi non li scrive lui): «abbiamo dato tutto sul campo», inclusi cinque trumpiani morti a Capitol Hill, ma vabbè. Ha concluso come un corteggiatore che l’ha presa male, augurando «buona vita».
Trump e i figli in lacrime
Prima di salire sull’aereo, ha salutato con freddezza i figli. Don jr. e fidanzata, Eric e moglie, e Ivanka piangevano (Jared Kushner ha sempre la stessa espressione, un ghigno pieno di soldi, paracit.) Tiffany meno, e al solito lei e il fidanzato sono stati ignorati. Barron, minorenne, non c’era. Melania sembrava in un altro film, sorridente, allegra, col passo leggero, (era davvero lei, chissà come stanno le presunte false Melanie che avrebbero accompagnato Trump, anche loro alla fine disoccupate causa Covid).
Trump e i repubblicani confusi
Poco dopo, in tribuna per l’insediamento di Joe Biden e Kamala Harris, c’erano i due senatori che volevano ribaltare il risultato e il Campidoglio, Josh Hawley e Ted Cruz, e sono arrivati in anticipo. C’erano due governatori ex trumpiani, la bellissima covidiota Kristi Noem del South Dakota e Doug Ducey dell’Arizona. C’era Mike Pence, che non è neanche andato a salutare Trump, e i leader repubblicani di Camera e Senato, che erano appena stati a messa con Biden. E c’erano tutti quelli che in questi anni in Congresso hanno fatto i trumpiani per interesse e per paura, e ora non sanno cosa sarà del loro partito.
Si sono liberati (forse) di Trump, ma il Grand Old Party è ostaggio della base trumpiana. Non possono tornare al partito vecchia maniera, e magari faranno come Fox News. Che, per tenere il suo pubblico attratto da nuove reti tv estreme, sta diventando MAGA Tv.
Hanno appena cacciato, insieme ad altri, Chris Stirewalt, il giornalista che per primo aveva assegnato l’Arizona a Biden. Hanno messo in prima serata la giornalista economica Maria Bartiromo, un tempo nota come Money Honey e ora megafono di fake news in quota Trump. Le hanno chiamate «purghe della reality-based people», di quelli che insistono sui fatti, e non pare una buona cosa.
Trump e la fine degli anni Dieci
Ora, forse, Trump smetterà di colonizzare l’attenzione e l’immaginario, come è successo in questi anni; come succedeva in Italia con Silvio Berlusconi all’inizio degli anni Dieci. Ma con l’andata via di Trump gli anni Dieci sono finiti, e lo si legge su un sito che più anni Dieci non si può, Buzzfeed.
Scrive Katherine Miller: «È difficile ricordare esattamente quando i telefoni e gli altri device siano diventati motore centrale della vita culturale e politica…e forza ambivalente, che può portare conseguenze inaspettate e risultati ottimi o dolorosi o terrificanti. Ma è successo tutto negli anni Dieci».
E la fine della presidenza Trump potrebbe essere la vera fine del decennio «in cui eventi incredibili su uno schermo potevano trasformarsi in eventi credibili nella vita reale» (la fine è stata quando Trump è atterrato a Palm Beach, è sceso dall’aereo con Melania in copricostume, l’aeroporto era semivuoto, ma lungo la strada, a salutarlo, in bermuda bandiere e cappelli MAGA, c’erano gruppetti di Florida Men).