Luna calantePerché Erdogan ha fatto crollare il valore della lira turca e cosa vuol dire questo per l’Europa (e l’Italia)

La moneta ha raggiunto i minimi storici a causa delle crescenti tensioni geopolitiche alimentate dalle provocazioni del presidente della Turchia. È il valore più basso di una valuta nei mercati emergenti e il fallimento più lungo dal 1999

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Dopo mesi di calo del mercato finanziario, il valore della lira turca ha raggiunto i minimi storici: stando ai dati Morningstar del 4 novembre l’USDTRY (il tasso di cambio dal dollaro americano) raggiunge quota 8.50, un calo del 28% rispetto all’inizio dell’anno e più del 50% dal 2017. Male anche per l’EURTRY (il tasso di cambio dall’Euro), che arriva addirittura a 9.93. 

Si tratta del valore più basso di una valuta nei mercati emergenti e il fallimento più lungo dal 1999. La svalutazione della moneta è dovuta alle misure adottate dalla Banca centrale turca (TCMB) negli ultimi anni e alle crescenti tensioni geopolitiche del governo di Ankara con l’Occidente, combinazione di eventi che ha portato a una generale sfiducia economica nei confronti del Paese.

Haitam al-Jundy, analista finanziario, spiega come lo scenario attuale sia una diretta conseguenza delle politiche economiche adottate dalla Banca centrale turca a partire dal 2008: riducendo i tassi d’interesse più del necessario e aumentando i tassi di credito, si è giunti a un aumento del costo della vita e dei prezzi delle importazioni. 

Se da un lato tale svalutazione offre un vantaggio alle aziende esportatrici, dall’altro mette in difficoltà la maggior parte delle imprese locali che dispongono di entrate in lira turca ma hanno contratto debiti in valuta forte, rischiando di porre le basi per una crisi del sistema bancario nazionale.

Al momento la TCMB ha aumentato i tassi di interesse di due punti percentuale, passando da 8.25% a 10.25%, scrive il Sole 24 Ore. Ciò è stato fatto per contenere l’inflazione ma, se i tassi dovessero continuare a crescere, l’assenza di credito getterebbe l’economia turca in una profonda recessione. 

Sul fronte geopolitico, una delle cause della crisi è l’aumento delle tensioni con gli Stati Uniti, storici alleati della Turchia durante la Guerra Fredda, in corso dal 2016, quando Washington fu accusata di aver favorito un tentato colpo di stato dell’esercito turco per porre fine alla presidenza di Recep Tayyip Erdogan.

Oggi l’oggetto della disputa è l’acquisto del sistema di difesa antiaereo russo S-400, i cui accordi risalgono al 2017, ma le sperimentazioni sono iniziate solo quest’anno.

Gli Stati Uniti hanno più volte tentato di impedire le trattative turche con Mosca, offrendo il sistema di difesa statunitense Patriot: secondo la Casa Bianca l’utilizzo di tecnologia bellica russa rischia di offrire informazioni chiave al Cremlino circa gli aerei caccia della NATO. Al rifiuto di Ankara di rinunciare agli S-400, Washington ha minacciato nuove sanzioni (dopo quelle adottate nel 2019 per l’intervento turco in Siria).

L’ascesa dei rapporti economici tra Ankara e Pechino non migliora certo la situazione, soprattutto ora che la Cina ha intenzione di raddoppiare gli investimenti realizzati in Turchia tra il 2016 e il 2019, portandoli da 3 a 6 miliardi di dollari. Il timore statunitense che la Cina possa conquistare il mercato tecnologico globale è sempre maggiore e recentemente si sta considerando la possibilità di un disimpegno statunitense dal paese anatolico.

A complicare i rapporti con l’Europa è invece la contesa con la Grecia e Cipro sul controllo della zona marittima del Mediterraneo orientale dove, dal 2015, sono stati trovati ingenti giacimenti di gas naturale dall’azienda italiana ENI. 

Situati a largo di Cipro, tali giacimenti offrono diverse opportunità economiche e politiche: essendo zone facilmente accessibili e dotate di infrastrutture ben collegate, il 28 maggio 2020 il governo di Nicosia ha approvato la costruzione del gasdotto EastMed al fine di collegare le riserve energetiche di Cipro, Grecia e Israele per portare il gas naturale nell’Europa continentale.

La Turchia, esclusa dal progetto, ha quindi avviato una serie di trivellazioni illegali nella Zona Economica Esclusiva (ZEE) di Cipro che le sono costate sanzioni da parte dell’UE e accuse di Grecia, Egitto e della stessa Cipro di violare le leggi internazionali.

Le dispute per lo sfruttamento delle risorse non semplificano certo i rapporti diplomatici tra Grecia e Turchia, già in bilico per il controllo dell’isola cipriota che si trova divisa tra la Repubblica di Cipro, riconosciuta a livello internazionale e di influenza greca, e la Repubblica di Cipro del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia. 

Pertanto il 27 novembre 2019 il governo turco ha firmato un accordo bilaterale sulle ZEE con la Libia: nel patto vengono definite le aree in cui i due paesi potranno sfruttare le risorse energetiche, mentre Ankara si impegna a fornire aiuti militari nel caso Tripoli ne faccia richiesta. Parte delle aree indicate erano tuttavia rivendicate da altri paesi. 

I primi di agosto la Grecia ha quindi firmato un accordo con l’Egitto per delimitare le proprie aree di competenza, in sovrapposizione con quelle del governo turco che ha reagito intensificando le esplorazioni nella zona. Il 12 agosto si è raggiunto l’apice con lo scontro tra la Oruc Reis, nave turca per l’esplorazione, e una nave militare greca.

L’evento ha allarmato la comunità internazionale oltre ad aumentare le tensioni tra Francia e Turchia, con il presidente francese Emmanuel Macron che si è schierato a favore di Grecia e Cipro.

Il crollo della lira non riguarda solo il governo di Erdogan, ma potrebbe essere un problema anche per l’Europa: quest’ultima dipende dalla Turchia per il controllo dei flussi migratori dai conflitti in Medio Oriente, in cambio di cospicui finanziamenti europei. Se le tensioni con l’UE e gli USA dovessero aumentare, Erdogan potrebbe far leva proprio sui migranti per chiedere a Bruxelles ulteriori fondi per far fronte alla crisi.

Sul piano economico la collaborazione tra istituzioni finanziarie europee e turche è piuttosto rilevante: nonostante negli ultimi anni abbiano ridotto le loro attività in loco, numerose banche francesi, britanniche, tedesche e italiane hanno investito miliardi di dollari nella penisola anatolica.

L’analista della Berenberg Bank di Londra Carsten Hesse sostiene però che una recessione in Turchia avrebbe conseguenze limitate nella zona Euro, riducendo il PIL solo di 0,1 punti percentuali: le perdite che le banche europee potrebbero subire non sono di proporzioni tali da innescare una crisi bancaria. 

Tuttavia potrebbero esserci ripercussioni sulle aziende italiane: secondo i dati dell’Istituto di Statistica turco Turkstat, l’interscambio commerciale tra i due paesi ha raggiunto i 16.4 miliardi di dollari tra gennaio e novembre 2019, con 7.8 miliardi di esportazioni italiane, rendendo l’Italia il quinto partner commerciale della Turchia.