Vendetta identitariaCaro Hitchens, ti sbagliavi: facciamo ridere un sacco, spesso involontariamente

L’autrice Bess Kalb ha scritto 50 minuti di monologhi al femminile, Yearly Departed, per protestare contro un articolo di tredici anni fa di Hitchens che fu interpretato come se intendesse che solo gli uomini sono divertenti. Eravamo scemi anche prima dei social

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Prima dei social, c’era lo Speakers’ Corner. È in un giardino di Londra, Hyde Park, e quei matti convinti d’avere opinioni interessanti che ora si sfogano sull’internet prima andavano lì, salivano su una specie di cassetta della frutta, e argomentavano su un tema a piacere. Ogni tanto qualcuno li trovava abbastanza interessanti da fermarsi ad ascoltarli.

Fu così che, centocinquant’anni fa, l’Inghilterra inventò tutto quel che ci avrebbe portato al disastro centocinquant’anni dopo: i like, il bastiancontrarismo, i disvelatori di scomode verità che il sistema vuole nasconderci.

Prima che arrivasse l’internet, e tutti si sentissero portatori d’opinioni interessanti, la differenza tra il salire sulla cassetta della frutta e l’essere un intellettuale la dava solo la qualità della prosa. Può essere che esista un segno di povertà intellettuale più sicuro del notare se chi scrive ha o no la tua stessa tesi, invece del notarne il fraseggio, il saper mettere in fila le idee, la capacità di sostenere qualunque tesi; può essere che esista, ma io non l’ho ancora individuato.

Gli scarsi si offendono per le tesi divergenti; i meno scarsi invidiano il saper mettere in fila le parole; i bravi ti fanno disinteressare di quale sia la loro tesi: t’interesseresti della tesi d’un giocoliere?

Il più bravo a tenere in equilibrio i birilli dialettici (chiedo scusa per la patetica metafora) era inglese, e ha vissuto nell’ultima epoca in cui saper scrivere contava qualcosa. A dicembre faranno dieci anni che Christopher Hitchens è morto, e la settimana scorsa ho scoperto che gode ancora del più disperante effetto collaterale del successo: essere egemoni presso gli imbecilli.

(Questo è il punto in cui alcuni lettori si chiederanno chi diavolo fosse Christopher Hitchens, e si aspetteranno ch’io lo spieghi. Questo è il punto in cui io esorto costoro a smettere immediatamente di perdere tempo con Candy Crush, con Instagram, e anche con quest’articolo, e ad andare a leggere Hitchens. Una cosa qualunque: vi ho già spiegato che il tema non è importante).

Bess Kalb è una giovane signora che lavorava come autrice di Jimmy Kimmel, uno dei conduttori di programmi comici di seconda serata sui network americani. Adesso ha fatto una cosa sua che trovate su Prime, s’intitola Yearly Departed (gioco di parole: year è l’anno, dearly departed è la formula con cui si indica il caro estinto), ed è una roba fatta tutta di monologhi di donne. Non dovrebbe essere la principale cosa da dire d’un prodotto d’intrattenimento, che gameti abbiano le performer. Non lo era, direi, dal 1939, l’anno in cui George Cukor diresse Donne, l’anno in cui fare un film con tutte donne poteva essere dirompente. A parte gli ottantun anni di ritardo, la maggior differenza tra quel film d’allora e questi cinquanta minuti di comicità di fine 2020 è una: Cukor era un uomo di talento, Kalb è una donna di rancore.

L’ha spiegato lei, evidentemente convinta (non a torto, vedremo tra poco) che rimuginare sia un’attività lodevole. Ha annunciato su Twitter la sua prima opera da autrice principale raccontando che, nel 2007, al suo secondo anno d’università, comprò Vanity Fair e lesse un articolo di Hitchens intitolato «Perché le donne non fanno ridere».

L’articolo – lo dico a chi non l’avesse letto o a chi, come la signora Kalb, l’avesse letto e non l’avesse capito – argomentava benissimo un’ovvietà così ovvia che persino io ne ho scritto varie volte: tutte le donne sospirano «voglio un uomo che mi faccia ridere»; nessun uomo si aspetta che una donna abbia uno straccio di senso dell’umorismo.

(La conversazione più illuminante che abbia mai avuto circa le dinamiche seduttive fu con un amico che mi svelò che al primo appuntamento, se «fai la simpatica», lui ne trarrà la conclusione che non vuoi scopare. Conclusione che si può indurre l’interlocutore a riconsiderare – altrimenti io, che da sempre tengo a essere la miglior battutista della conversazione in corso, sarei ancora vergine – ma certo non analisi infondata).

Per le donne, diceva Hitch, è più facile. Siamo noi che dobbiamo sbatterci a farle ridere, a loro non serve. (Ovviamente era un articolo scritto per far incazzare le più fesse di noi, come puntualmente avvenne, poiché l’autore sapeva che all’umanità più fessa interessa la tesi, mica com’è svolta).

Giacché l’analfabetismo funzionale esisteva prima dei social, prima che ne verificassimo la diffusione, prima che scoprissimo la formuletta magica per spiegare ogni incomprensione; e poiché già allora l’analfabetismo funzionale affliggeva soprattutto aspiranti intellettuali, la giovane signora Kalb legge questo articolo e reagisce in modo che fa sembrare non rancoroso il conte di Montecristo.

Tredici anni dopo, ella rievoca che fu in treno, ad articolo appena letto, che decise di abbandonare ancor prima d’intraprenderla la carriera di consulente per la quale si era iscritta a scienze politiche, e di andare a fare la stagista all’allora programma comico di Stephen Colbert.

E da lì, spiega in tutta serietà (puoi fare l’autrice comica essendo così priva di senso del ridicolo?), tutta la sua carriera si srotola al ritmo di «Fanculo Hitchens» («Fuck That Guy», in lingua originale).

Una carriera nata da un equivoco: Kalb riteneva che Hitchens la stesse sfidando, Hitchens non sapeva neppure che lei esistesse. Praticamente era Twitter prima di Twitter, coi picchiatelli che si offendono convinti tu parli di loro, mentre tu neanche sai che loro abitino il tuo stesso pianeta.

Il gran finale, quindi, è merito (o forse colpa) di Hitchens. Kalb va da Rachel Brosnahan, che è la signora Maisel in quella serie comica di cui tutte ricordiamo i cappottini e nessuna le battute.

Propongono ad Amazon questa vendetta identitaria, coinvolgendo un po’ di donne della comicità americana, da Tiffany Haddish (quella alla quale, in quanto donna, i Grammy hanno offensivamente offerto di presentare a titolo gratuito la loro cerimonia, dovendo poi passare giorni interi a scusarsi), a Sarah Silverman (quella che è riuscita a non farsi espellere dal consesso civile pur avendo raccontato che sì, anche a lei Louis CK aveva chiesto se si poteva fare una sega davanti a lei: era un suo amico, quindi gli aveva risposto che, se proprio ci teneva, eccetera).

Mettono su questa sala di pompe funebri in cui ognuna di loro fa un’orazione per qualcosa che è defunto nel 2020, dagli orrendamente razzisti cerotti beige al sesso con gli sconosciuti. In mezzo c’è roba che piangono come morta ma che per la verità nel 2020 ha trionfato, come la categoria «influencer miliardarie», ma forse le autrici erano troppo occupate a mandare affanculo Hitchens per accorgersi della Ferragni.

Tra le donne che in quanto donne hanno su Twitter lodato Kalb in quanto donna per questi suoi tredici anni di rancore (invece di dirle: forse devi aggiustare il dosaggio dello Xanax), c’è Emily Nussbaum. Già critica televisiva del New Yorker, in aspettativa da un anno per scrivere un libro. Kalb in risposta ha pigolato che lei questo speciale l’ha fatto «solo perché piacesse a te, Emily». Al che Nussbaum le ha dovuto spiegare, un po’ imbarazzata, che lei veramente non fa più la critica televisiva. Kalb è così sua fan che non s’è accorta di non aver trovato neanche un suo articolo nel suo giornale nell’ultimo anno. È quella alla cui opinione tiene di più, in quanto donna; ci tiene così tanto che è dal 2019 che si scorda di leggerla.

Caro estinto Hitch, ti sbagliavi. Facciamo ridere un sacco. Certo, non sempre volontariamente.

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