Lezioni dalla storiaIl piano economico di aiuti che salvò l’impero romano

Dopo la distruzione di Pompei fu l’intervento di un progetto edilizio di ampia portata a mantenere a galla l’economia. Permise anche agli ex schiavi di liberarsi dalla propria condizione di mezzi cittadini e cominciare una nuova vita

Di Iwona Castiello, da Unsplash

Tutti conoscono la fine di Pompei: l’esplosione improvvisa del vulcano, la pioggia di lapilli, la fuga difficoltosa e interrotta di uomini e done, il cui spasmo finale di fronte alla morte è rimasto conservato e intatto per millenni.

Pochi però sanno cosa accadde dopo. Prima di tutto, la fine della città non ha significato la scomparsa degli abitanti. Come spiega sul New York Times la scrittrice e giornalista americana Annalee Newitz, secondo i calcoli più accreditati, solo duemila dei 12mila pompeiani erano morti nell’eruzione. Gli altri, fuggiti in altre città, erano sopravvissuti ma avevano perso tutto.

È a questo punto che entra in scena l’imperatore Tito. Come gli attuali presidenti, visitò il luogo della tragedia nelle settimane successive ed elargì promesse ai profughi pompeiani. A differenza di tanti altri prima e dopo di lui, le mantenne. Dichiarò che i beni dei ricchi patrizi senza eredi morti nel disastro sarebbero passati ai sopravvissuti, compresi i liberti, dimostrando una certa generosità che aveva anche motivi molto pragmatici.

Nella società romana i liberti, cioè gli ex schiavi liberati, costituivano una delle classi più dinamiche. Impiegati per seguire gli affari dei padroni, erano presenti in tutti i business dell’epoca, dall’insegnamento al commercio, fino alle attività finanziarie.

Non è un caso che tra i sopravvissuti al disastro di Pompei si trovava anche Gaio Sulpicio Fausto, un ex schiavo della famiglia dei Sulpici attivi nel settore bancario nella zona di Pozzuoli e Napoli (un ottimo resoconto della storia della famiglia e dell’economia romana è questo). Anche lui, come altri suoi omologhi, poté approfittare di questo provvedimento. Ma non solo.

Tito, e il suo successore Domiziano, misero in piedi quello che fu a tutti gli effetti un piano di assistenza economica di emergenza. Oltre al trasferimento dei beni dei patrizi senza eredi (che in realtà si risolse in poca cosa), venne organizzato un programma edilizio di ampio raggio, con l’obiettivo di costruire nuovi alloggi per gli sfollati, con tanto di colossei, terme e tutto l’apparato di edifici della città romana.

Secondo Steven Tuck, storico dell’età romana dell’Università di Miami, «in un mondo senza dispositivi contro la disoccupazione, ogni progetto di lavori pubblici equilvaleva a un progetto per l’occupazione dei cittadini».

Secondo le stime, furono realizzate abitazioni per migliaia di persone nel corso dei successivi 10 anni, impiegando una decina di migliaia di persone. Significava lavori assicurati e un’economia che restava a galla, elemento fondamentale in un momento storico già bene avviato.

Del resto la seconda metà del primo secolo, notano gli studiosi, vide un’esplosione del commercio al dettaglio, sorsero negozi e piccoli commerci per tutto l’impero, in una filiera che andava dalla Siria fino alla Spagna. Pompei, importante località vacanziera per i ricchi dell’Urbe, si trovava al centro di questi traffici e ospitava turisti intenzionati a spendere. Era molto ricca, ma la sua distruzione, grazie al programma dell’imperatore non ha affondato la situazione economica.

Questa è la lezione che Annalee Newitz, attualizzando il concetto, vuole estrapolare: in tempi difficili è bene che il governo centrale intervenga con piani mirati e generosi. Il riferimento è al relief package di 1,9 trilioni di dollari del presidente Joe Biden, che ha attirato le critiche anche di economisti keynesiani, preoccupati dal fatto che gli aiuti fossero eccessivi e finissero per ingolfare la macchina economica.

Non solo: una volta dispersi in altre città, i liberti pompeiani potevano ricominciare una nuova vita, lasciandosi alle spalle il passato. Uno come Gaio Sulpicio Fausto, in circostanze normali, sarebbe stato subito riconosciuto come ex schiavo bastava il nome (Fausto, cioè “fortunato”, era un classico per questi casi). Ma grazie al piano economico e alle sue abilità nei calcoli, poté far dimenticare le sue origini e diventare cittadino romano a tutti gli effetti.

Il paragone, secondo Annalee Newitz, funziona anche qui: un progetto di aiuti di ampio raggio aiuterebbe a riportare l’economia sui giusti binari e, al tempo stesso permetterebbe alle categorie finora emarginate (i discendenti degli ex schiavi, questa è l’analogia) a farsi strada con nuove possibilità. Dai disastri, insomma, si può uscire meglio di prima. Ma bisogna sapere come.

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