Il triopolioCome Facebook, Google e Amazon hanno monopolizzato il mercato pubblicitario

L’industria dell’advertising ha chiuso il 2020 della pandemia con un calo totale del 7,8%, ma nel segmento digitale ha registrato un segno positivo di +6%. Una crescita trainata quasi unicamente dai tre giganti tecnologici che rappresentano circa l’80% degli investimenti pubblicitari digitali italiani

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Tra le conseguenze meno discusse della pandemia c’è è l’evoluzione del mercato pubblicitario. Un settore rimodellato dal lockdown e dalle restrizioni applicate da quasi tutti i Paesi, che hanno costretto alla chiusura negozi e uffici, quindi hanno spinto le aziende a rivedere i loro piani di advertising.

Nell’ultimo anno la maggior parte delle persone ha trascorso più tempo del solito con gli occhi sullo schermo del computer, ha navigato in rete secondo le proprie necessità, ha aumentato il tempo destinato alle piattaforme video, social, di gaming. E ha speso nell’e-commerce piuttosto che nello shopping “in store”.

Così sono nate nuove possibilità di guadagno per aziende in grado di controllare e monetizzare sui dati personali: un maggior utilizzo delle piattaforme online significa una maggiore quantità di informazioni a disposizione di Google, Facebook, Amazon, che sono diventate ancora più appetibili agli occhi degli inserzionisti.

Le tre aziende citate sono quelle che hanno dominato il settore del digital advertising nel 2020. Per avere la misura del dominio del settore pubblicitario basta considerare che i tre colossi della tecnologia, per la prima volta nella storia, l’anno scorso hanno raccolto la maggior parte di tutta la spesa pubblicitaria fatta dalle aziende negli Stati Uniti. Le tre aziende hanno aumentato la propria quota del mercato di digital advertising negli Stati Uniti dall’80% nel 2019 a circa il 90% nel 2020.

Ne ha parlato il Wall Street Journal in un articolo firmato a quattro mani da Keach Hagey e Suzanne Vranica, che definiscono la triade Facebook, Google, Amazon, “un triopolio”.

Il quotidiano economico spiega il fenomeno partendo dall’esempio della Mondelez, multinazionale americana dell’alimentare: «L’anno scorso ha spostato sulle piattaforme digitali i soldi destinati agli spot televisivi del campionato di college basketball e delle Olimpiadi di Tokyo, che erano stati sospesi. Così per la prima volta, l’anno scorso Mondelez ha speso più per gli annunci online che per la tv. E i maggiori beneficiari sono stati Facebook e Google».

Il mercato americano è quello di cui ci sono più dati a disposizione, ma anche a livello italiano la dinamica è la stessa, dicono a Linkiesta dall’agenzia di media Wavemaker: «Secondo i dati del dipartimento di Business Intelligence di GroupM il mercato pubblicitario italiano (tv, radio, stampa, affissioni, digitale) ha segnato un calo totale del -7,8%, con un digitale che ha chiuso invece con un segno positivo a +6%. Questa crescita è trainata principalmente dai big tech (Google, Facebook, Amazon) che rappresentano circa l’80% degli investimenti pubblicitari digitali italiani, e da una ripresa nell’ultima parte dell’anno da parte degli altri player, tra cui i grandi editori italiani».

La crescita della pubblicità online lo scorso anno infatti è avvenuta anche in termini relativi, dal momento che ogni altro tipo di spesa pubblicitaria si è ridotta, sia per la televisione, sia per i giornali, sia per tutte le altre opzioni.

È il trend, più che la fotografia del momento, a restituire la misura del cambiamento: secondo i dati Nielsen nel 2019 il digital advertising valeva 3,3 miliardi di euro, contro i 3,6 miliardi della tv. Mentre nel 2020 sui 6,9 miliardi totali di raccolta, il 42% è appannaggio del web, il 41% della tv, l’8% della carta stampata e il 4% della radio.

E quei guadagni online sono finiti nelle mani dei giganti della tecnologia. Riprendendo l’esempio di Mondelez dal Wall Street Journal: «Per il 2021 si prevede che la pubblicità digitale rappresenterà più della metà dei circa 1,1 miliardi di dollari che Mondelez spende per i media in tutto il mondo. Era solo del 30% circa nel 2017. Mentre la quota della tv della spesa pubblicitaria dell’azienda continua a diminuire».

Il fattore decisivo del digital advertising è che l’enorme mole di dati a disposizione delle grandi piattaforme online offre la possibilità di creare una pubblicità mirata che non sarebbe possibile in nessuno dei sistemi pubblicitari tradizionali.

«Quando Mondelez investe nella pubblicità digitale ottiene un rendimento migliore del 25% rispetto agli annunci televisivi. Ha scoperto che i suoi annunci di Google e Facebook funzionano particolarmente bene, generando rendimenti superiori del 40% rispetto a un qualsiasi altro annuncio digitale. I due giganti di Big Tech ora rappresentano circa il 60% al 70% della spesa pubblicitaria digitale di Mondelez, rispetto a meno del 50% nel 2017», scrive il Wall Street Journal.

Molti dei cambiamenti causati dalla pandemia probabilmente sono destinati a rimanere. Ma quando la pandemia finirà difficilmente “il triopolio” continuerà ad aumentare le sue quote di mercato a questo ritmo: con la diffusione del vaccino e l’allentamento delle restrizioni, i consumatori dovrebbero riequilibrare la loro quotidianità, spendendo meno tempo e denaro online, convincendo gli operatori di marketing a diversificare la loro spesa.

Il Responsabile scientifico dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano Giuliano Noci spiega a Linkiesta che «queste grandi aziende sono diventate ormai piattaforme così pervasive che la loro capacità di acquisizione di dati permette di essere davvero molto precise nella veicolazione di messaggi, pubblicità e quant’altro e questo è un vantaggio strutturale enorme».

Noci però fa una distinzione tra Google e Facebook, da una parte, e Amazon, dall’altra: «Se le prime due hanno un core business su questi servizi di marketing, Amazon è più ancorato alla sua piattaforma: lavora molto in contiguità con il momento in cui si verifica il bisogno d’acquisto, quindi resta più legato al suo stesso ecosistema. Quindi è ancora più evidente la perdita di rilevanza del negozio fisico».

In un mercato come quello italiano, fatto soprattutto di piccole e medie imprese, fa tutta la differenza del mondo. Come dicono da Wavemaker, «per le PMI il digitale è stato spesso l’unico punto di contatto tra loro e il pubblico, in un contesto di chiusura totale o comunque parziale del loro business»

L’utilizzo di Amazon.it come canale di vendita online ha contribuito infatti ad aiutare le piccole e medie imprese italiane a mantenere o a far crescere il proprio business anche durante la pandemia, accelerando un trend già in atto.

Un report di Amazon Italia pubblicato a fine 2020 rivelava che tra giugno 2019 e maggio 2020 «14mila realtà imprenditoriali che vendono attraverso la piattaforma e-commerce hanno venduto più di 60 milioni di prodotti negli store Amazon, rispetto ai 45 milioni di un anno prima, in media si tratta di più di 100 prodotti al minuto, e hanno registrato vendite per una media di oltre 75mila euro, in crescita rispetto ai 65mila circa nello stesso periodo dell’anno precedente». In questo modo è aumentata la dipendenza, se così si può definire, del mercato dai grandi player di Big Tech.

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